Inseguo un sogno targato “Lavori in Corso” da circa otto
anni. Finalmente da un anno abbiamo il primo “Governo Cittadino” targato LiC .
Non è un segreto che io abbia condiviso molte scelte e criticato altre, a volte
anche in modo aspro, ma sono pienamente convinto che questa Amministrazione
canturina sia la migliore degli ultimi trent’anni. Saranno anche punti di vista
personali, ma per me è così.
In questo anno un Sindaco ed un numero ridotto di Assessori
si sono spesi seriamente nel tentativo di ridurre al massimo le spese, di
ascoltare al massimo i concittadini, di governare al meglio delle proprie
capacità il nostro territorio. Considero i due fiori all’occhiello di questa
Amministrazione il tanto sospirato varo del PGT e l’istituzione degli Organo di
Democrazia Diretta e Partecipata.
A costo praticamente zero, in un anno, grazie al lavoro
fatto dagli Uffici Comunali (alias dipendenti pubblici validi e valorizzati) è
stato varato un PGT oltretutto innovativo negli obbiettivi. A costo zero e
grazie anche a dei gruppi di lavoro formati da volontari sono state varate le
modifiche allo Statuto Comunale ed i regolamenti del caso grazie ai quali oggi
abbiamo a disposizione Prosindaci, Assemblee di Quartiere e, prossimamente, Referendum
rinnovati ed innovativi.
In questi mesi si è discusso in città di molte scelte varate
da questa Amministrazione, alcune sono piaciute, altre no, ai nostri
concittadini. Avrebbe voluto “Lavori in Corso” (a mio vedere, sia chiaro) fare
molto di più, ma non ha potuto, per vari motivi, forse per uno solo.
Cantù è, a mio vedere, una città stupenda. Non certo per il
proprio aspetto esteriore, la bellezza è dovuta a quello che Cantù ha
concretizzato negli anni, quello che i
cittadini canturini hanno promosso, in termini di lavoro, di civicità, di
accoglienza. Prima che questa crisi globale colpisse l’economia e lo sviluppo
in genere Cantù si è resa famosa in tutto il mondo anche e soprattutto per il
mobile, settore che tra annessi e connessi coinvolgeva praticamente ogni nucleo
familiare, tanto da crearsi in città una morfologia architettonica speculare, fine
a se stessa, fatta da edifici misto abitativo/produttivo di cui ancora oggi
vediamo le tracce. Una città dove si era sviluppato anche un discreto commercio
di vicinato, una città che ha assorbito, secondo me, dando buona risposta, nei
decenni, due ondate di immigrazione, la prima interna, la seconda esterna
traendone sicuramente giovamento non solo in campo economico. Una città dove
l’associazionismo si è sviluppato bene, una città che non ha mai negato un
aiuto a chi ne necessitava … ritengo questo essere un grande punto di partenza
per un futuro incerto.
Esprimo questi pensieri perché oggi siamo davanti ad un
quadro diametralmente opposto, gli artigiani ed i piccoli commercianti sono
posizioni sostanzialmente estinte, le industrie ed il grosso commercio che li
hanno di fatto cancellati stanno implodendo su loro stessi, l’indigenza moltiplica
le proprie percentuali di presenza a dismisura, non ci sono più soldi, non c’è
più lavoro (e non solo per i giovani) ed a chi amministra tocca dare una
risposta anche a questi problemi, una risposta che deve essere innanzitutto,
per quanto ci sia possibile fare, immediata, ma anche lungimirante: quanti
stanno amministrando la città, ma anche ogni singolo cittadino, dovranno avere
la lungimiranza di guardare senza rassegnazione alla nuova Cantù che sta
arrivando, una città probabilmente sarà sempre più povera economicamente e
privata di un suo simbolo, il lavoro.
Governare in questi tempi bui ha portato anche a scelte
impopolari, non condivisibili a prima vista dalla maggioranza dei cittadini.
Parto da qui: dovremo, se vogliamo vivere dignitosamente, proteggere
la nostra città dagli attacchi di chi penserà solo a salvaguardare i propri
privilegi e di chi ha acquisito potere su di noi attraverso il Trattato di
Lisbona e quanto gli è seguito.
Imposte comunali e quanto ne consegue sono uno dei temi
principali di queste ore. Governare schiavi dell’impossibilità di spendere e
del Patto di Stabilità è il nostro presente, sarà il nostro futuro,
probabilmente la nostra “morte” quindi se
la prima necessità è certamente governare bene col poco a disposizione,
dobbiamo avere anche la lungimiranza di tentare di sovvertire questo status.
Scrivo da anni (per pochi e probabilmente folli lettori) di
buone pratiche locali ed “Autogoverno”. Bene, le buone pratiche locali le
stiamo applicando, ma senza l’Autogoverno continuano a lasciarci i buchi sulle
strade e le casse comunali vuote.
Approfondiamo un attimo la questione. L’autogoverno poggia
sul principio di sussidiarietà, sulla sovranità democratica degli elettori,
sulla libertà di associazione tra cittadini e sulla libertà di unione tra
istituzioni territoriali, in genere viene esercitato nell’ambito degli Stati
decentrati o federali, in applicazione del principio di sussidiarietà. Le leggi
costituzionali di uno Stato prevedono spesso l’estensione o la riduzione
orizzontale delle competenze di un centro di decisione, oppure il trasferimento
verticale delle competenze tra autorità politiche di vario. Dunque,
l’autogoverno è un concetto politico che si regge sui principi di
sussidiarietà, solidarietà, cooperazione e coordinamento che sono tipici del
federalismo (io amo quello municipale), gli organi di vertice vengono formati
attraverso la partecipazione della collettività, attribuendo a essa l’esercizio
delle funzioni pubbliche in un determinato ambito territoriale, con
l’esclusione di quelle relative ai rapporti con l’estero e la difesa il che
consente la costruzione dell’unificazione politica dell’umanità, dalla comunità
locale alla dimensione mondiale, nella pace e nell’osservanza della legge,
attraverso l’esercizio del sovrano democratico del cittadino ai diversi livelli
del potere organizzato, il tutto previsto dalla Carta delle autonomie locali
del Consiglio d’Europa, che è stata ratificata come legge interna in quasi
tutti gli Stati membri dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e per la
Cooperazione in Europa), tra cui anche l’Italia.
Una via lunga e faticosa da percorrere, ma necessaria. Io
presumo, ma spesso sbaglio, sia chiaro ad ogni mente libera ed elastica che
ormai si tratta solo di sopravvivenza, che siamo davanti ad una classe politica
arroccata, che tende semplicemente a difendere i propri interessi, quelli dei propri
parenti, quelli degli amici e, se possibile, quegli interessi che possono
creare un bacino di voti di scambio. Una classe politica che ci tartassa coi
balzelli e che ci taglia ogni servizio impedendoci di avere a disposizione una
sanità sicura, un’istruzione decente, un sostegno sostenibile a disabili e
bisognosi, solo per fare alcuni esempi.
Dopo tante parole arriviamo ai punti cruciali di questa
lettera aperta.
Cosa
posso chiedere alla mia Amministrazione ed ai mie concittadini?
Alla
mia Amministrazione chiedo due cose:
1) Ogni decisione che potrebbe risultare impopolare e
difficile da capire va messa in discussione con i cittadini, essi debbono
rendersi conto di quanto accade!
2) Occorre liberarsi dal giogo della classe dirigente
centralista che ci ha sopraffatto. Occorre organizzarsi per creare rete sul
territorio, un Comune isolato a se stesso, anche se governato al meglio, muore
ucciso da un solo motivo: chi lo amministra alla fine diventa (suo malgrado) un
burocrate che pensa al solo bilancio, non un bilancio sereno, un bilancio di
sopravvivenza. Discutiamo di come liberaci dal giogo.
Ai
miei concittadini chiedo invece questo:
Se l’Amministrazione vi chiederà parere dateglielo, se non
ve lo richiederà imponetegli di farlo!
E’ ora anche per il cittadino di smetterla di sputare su
ogni governo che ha eletto e di tirare fuori le palle!
Con un certo livore, anche perché mi rendo conto che nulla
cambierà mai e sto perdendo la voglia di lottare, di sognare
Giorgio Bargna
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