martedì 26 novembre 2013

Lettera aperta a chi mi amministra ed ai miei concittadini

Inseguo un sogno targato “Lavori in Corso” da circa otto anni. Finalmente da un anno abbiamo il primo “Governo Cittadino” targato LiC . Non è un segreto che io abbia condiviso molte scelte e criticato altre, a volte anche in modo aspro, ma sono pienamente convinto che questa Amministrazione canturina sia la migliore degli ultimi trent’anni. Saranno anche punti di vista personali, ma per me è così.

In questo anno un Sindaco ed un numero ridotto di Assessori si sono spesi seriamente nel tentativo di ridurre al massimo le spese, di ascoltare al massimo i concittadini, di governare al meglio delle proprie capacità il nostro territorio. Considero i due fiori all’occhiello di questa Amministrazione il tanto sospirato varo del PGT e l’istituzione degli Organo di Democrazia Diretta e Partecipata.
A costo praticamente zero, in un anno, grazie al lavoro fatto dagli Uffici Comunali (alias dipendenti pubblici validi e valorizzati) è stato varato un PGT oltretutto innovativo negli obbiettivi. A costo zero e grazie anche a dei gruppi di lavoro formati da volontari sono state varate le modifiche allo Statuto Comunale ed i regolamenti del caso grazie ai quali oggi abbiamo a disposizione Prosindaci, Assemblee di Quartiere e, prossimamente, Referendum rinnovati ed innovativi.

In questi mesi si è discusso in città di molte scelte varate da questa Amministrazione, alcune sono piaciute, altre no, ai nostri concittadini. Avrebbe voluto “Lavori in Corso” (a mio vedere, sia chiaro) fare molto di più, ma non ha potuto, per vari motivi, forse per uno solo.
Cantù è, a mio vedere, una città stupenda. Non certo per il proprio aspetto esteriore, la bellezza è dovuta a quello che Cantù ha concretizzato negli anni, quello che  i cittadini canturini hanno promosso, in termini di lavoro, di civicità, di accoglienza. Prima che questa crisi globale colpisse l’economia e lo sviluppo in genere Cantù si è resa famosa in tutto il mondo anche e soprattutto per il mobile, settore che tra annessi e connessi coinvolgeva praticamente ogni nucleo familiare, tanto da crearsi in città una morfologia architettonica speculare, fine a se stessa, fatta da edifici misto abitativo/produttivo di cui ancora oggi vediamo le tracce. Una città dove si era sviluppato anche un discreto commercio di vicinato, una città che ha assorbito, secondo me, dando buona risposta, nei decenni, due ondate di immigrazione, la prima interna, la seconda esterna traendone sicuramente giovamento non solo in campo economico. Una città dove l’associazionismo si è sviluppato bene, una città che non ha mai negato un aiuto a chi ne necessitava … ritengo questo essere un grande punto di partenza per un futuro incerto.

Esprimo questi pensieri perché oggi siamo davanti ad un quadro diametralmente opposto, gli artigiani ed i piccoli commercianti sono posizioni sostanzialmente estinte, le industrie ed il grosso commercio che li hanno di fatto cancellati stanno implodendo su loro stessi, l’indigenza moltiplica le proprie percentuali di presenza a dismisura, non ci sono più soldi, non c’è più lavoro (e non solo per i giovani) ed a chi amministra tocca dare una risposta anche a questi problemi, una risposta che deve essere innanzitutto, per quanto ci sia possibile fare, immediata, ma anche lungimirante: quanti stanno amministrando la città, ma anche ogni singolo cittadino, dovranno avere la lungimiranza di guardare senza rassegnazione alla nuova Cantù che sta arrivando, una città probabilmente sarà sempre più povera economicamente e privata di un suo simbolo, il lavoro.
Governare in questi tempi bui ha portato anche a scelte impopolari, non condivisibili a prima vista dalla maggioranza dei cittadini.

Parto da qui: dovremo, se vogliamo vivere dignitosamente, proteggere la nostra città dagli attacchi di chi penserà solo a salvaguardare i propri privilegi e di chi ha acquisito potere su di noi attraverso il Trattato di Lisbona e quanto gli è seguito.
Imposte comunali e quanto ne consegue sono uno dei temi principali di queste ore. Governare schiavi dell’impossibilità di spendere e del Patto di Stabilità è il nostro presente, sarà il nostro futuro, probabilmente la nostra “morte”  quindi se la prima necessità è certamente governare bene col poco a disposizione, dobbiamo avere anche la lungimiranza di tentare di sovvertire questo status.

Scrivo da anni (per pochi e probabilmente folli lettori) di buone pratiche locali ed “Autogoverno”. Bene, le buone pratiche locali le stiamo applicando, ma senza l’Autogoverno continuano a lasciarci i buchi sulle strade e le casse comunali vuote.

Approfondiamo un attimo la questione. L’autogoverno poggia sul principio di sussidiarietà, sulla sovranità democratica degli elettori, sulla libertà di associazione tra cittadini e sulla libertà di unione tra istituzioni territoriali, in genere viene esercitato nell’ambito degli Stati decentrati o federali, in applicazione del principio di sussidiarietà. Le leggi costituzionali di uno Stato prevedono spesso l’estensione o la riduzione orizzontale delle competenze di un centro di decisione, oppure il trasferimento verticale delle competenze tra autorità politiche di vario. Dunque, l’autogoverno è un concetto politico che si regge sui principi di sussidiarietà, solidarietà, cooperazione e coordinamento che sono tipici del federalismo (io amo quello municipale), gli organi di vertice vengono formati attraverso la partecipazione della collettività, attribuendo a essa l’esercizio delle funzioni pubbliche in un determinato ambito territoriale, con l’esclusione di quelle relative ai rapporti con l’estero e la difesa il che consente la costruzione dell’unificazione politica dell’umanità, dalla comunità locale alla dimensione mondiale, nella pace e nell’osservanza della legge, attraverso l’esercizio del sovrano democratico del cittadino ai diversi livelli del potere organizzato, il tutto previsto dalla Carta delle autonomie locali del Consiglio d’Europa, che è stata ratificata come legge interna in quasi tutti gli Stati membri dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e per la Cooperazione in Europa), tra cui anche l’Italia.

Una via lunga e faticosa da percorrere, ma necessaria. Io presumo, ma spesso sbaglio, sia chiaro ad ogni mente libera ed elastica che ormai si tratta solo di sopravvivenza, che siamo davanti ad una classe politica arroccata, che tende semplicemente a difendere i propri interessi, quelli dei propri parenti, quelli degli amici e, se possibile, quegli interessi che possono creare un bacino di voti di scambio. Una classe politica che ci tartassa coi balzelli e che ci taglia ogni servizio impedendoci di avere a disposizione una sanità sicura, un’istruzione decente, un sostegno sostenibile a disabili e bisognosi, solo per fare alcuni esempi.
Dopo tante parole arriviamo ai punti cruciali di questa lettera aperta.

Cosa posso chiedere alla mia Amministrazione ed ai mie concittadini?
Alla mia Amministrazione chiedo due cose:

1) Ogni decisione che potrebbe risultare impopolare e difficile da capire va messa in discussione con i cittadini, essi debbono rendersi conto di quanto accade!

2) Occorre liberarsi dal giogo della classe dirigente centralista che ci ha sopraffatto. Occorre organizzarsi per creare rete sul territorio, un Comune isolato a se stesso, anche se governato al meglio, muore ucciso da un solo motivo: chi lo amministra alla fine diventa (suo malgrado) un burocrate che pensa al solo bilancio, non un bilancio sereno, un bilancio di sopravvivenza. Discutiamo di come liberaci dal giogo.

Ai miei concittadini chiedo invece questo:

Se l’Amministrazione vi chiederà parere dateglielo, se non ve lo richiederà imponetegli di farlo!
E’ ora anche per il cittadino di smetterla di sputare su ogni governo che ha eletto e di tirare fuori le palle!
Con un certo livore, anche perché mi rendo conto che nulla cambierà mai e sto perdendo la voglia di lottare, di sognare
Giorgio Bargna





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