sabato 4 gennaio 2014

Visioni alternative 2

Proseguiamo con l’esposizione di questo pensiero dove teorizzo su possibili, nuova modalità di intendere un movimento politico ed una governance.


 Iniziamo ad immaginare le alternative di un movimento

Diciamo che abbiamo chiaro un concetto, la letteratura di una politica alternativa si fonda su un pensiero forte: sradicare la presenza dei partiti dalle istituzioni e dalla vita pubblica, visto che consideriamo l’essenza dei partiti totalitaria chi è fedele alla verità è nemico dei partiti perché i partiti nascono per esercitare una pressione collettiva sul pensiero dei cittadini, perché i partiti esistono solo per giustificare la crescita del loro consenso e del loro potere e non del benessere del popolo: perché il fine del partito è esso stesso.
Scriveva la già citata Weil: “Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra, che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici
Lo abbiamo già letto qualche riga sopra che non possiamo certo immaginarci di usare violenza ai partiti, forse neppure li potremo/dovremmo eliminare completamente, abbiamo il dovere di strutturare invece dei movimenti alternativi, lo abbiamo già detto, il punto di partenza è il bene comune, i gruppi che lo sviluppano, le persone che lo vogliono e lo incrementano.

Dicevo, non è facile scovare l’alterativa, soprattutto praticarla, lascio una citazione:
"... Il metodo sperimentale non è che una tecnica, infinitamente preziosa, ma deprimente. Esso richiede dal ricercatore un sovrappiù di fervore per non crollare prima di raggiungere il suo scopo, su quello spoglio sentiero che bisogna percorrere accompagnati appunto dal metodo. L’uomo è un essere sentimentale. Senza sentimento, niente grandi creazioni, e l’entusiasmo si esaurisce rapidamente nella maggior parte degli uomini, a mano a mano che si allontanano dal loro sogno". (Louis-Ferdinand Céline, Il dottor Semmelweis, Adelphi, Milano 1975)

Parlando di movimenti alternativi, Lavori in Corso possiamo già considerarlo un esperimento che ha dato frutti, si tratta certamente di un movimento alternativo, costruito sulla compartecipazione, la condivisione, la partecipazione comune, il reciproco rispetto e la voglia di fare.
Mi chiedo è modificabile, migliorabile, diversamente strutturabile? Possiamo tracciarci un’ancor più nobile via? Come?

Una piccola filosofia
Mi chiedevo concludendo il precedente paragrafo se il nostro movimento  sia modificabile, migliorabile, diversamente strutturabile e se possiamo tracciarci un’ancor più nobile via, nel caso quale?
Sicuramente dobbiamo dotarci di una filosofia che tracci una nobile via. Di quanto segue parecchio è nel nostro DNA; occorre oggi, forse, uno sforzo di fantasia e di produttività per concretizzare.

Il futuro, che possiamo porre in una posizione situata  tra scoperta ed invenzione, deve costituire il nostro  primo interesse: questo significa avviare discussioni e/o azioni sulle differenze presenti tra dominio e potere, dominio e parità, fatalismo e sfida, passività e proattività, malessere e benessere. Si “scopre” ciò che esiste anche senza di noi e invece si “inventa” ciò che non esiste senza di noi, si scopre il malessere e si inventa il benessere … converrà  inventare anziché scoprire.

Dobbiamo sponsorizzare  il soggetto attivo che si distingue dall’individuo, perché il primo è la percezione nostra di noi stessi ed il secondo, invece, è la percezione che gli altri hanno di noi. Conseguentemente possiamo avere un soggetto individuale ed uno collettivo, da questo può dipende il valore del gruppo, la progettualità, la negoziazione, il dovere ed il diritto. Dobbiamo considerare sempre più l’emergere della soggettività attiva come una componente insostituibile della vita democratica.

Le relazioni, anzi direi, le collaborazioni tra amministrazione e cittadinanza debbono perciò essere di spiccato interesse per noi: in futuro sarà sempre di più il cittadino (portato alla consapevolezza) ad essere origine e conseguenza della formazione e delle relazioni che influenzano la cognizione coscienziosa della cittadinanza. Questa cognizione la possiamo cementare tramite l’appartenenza e la partecipazione, il nascere del plurale, le relazioni umane ed economico/solidali. Concretizzare l’avvento della cultura delle relazioni e delle connessioni provoca lo sviluppo dell’invenzione e della creatività ed attraverso il proprio cementificarsi sviluppa l’idea di parità.

La sinergia tra pubblico e privato rappresentano un altro capitolo importante,  con l’emergere delle nuove soggettività attive e la creazione del “pensiero comune” ( cioè della terza dimensione tra le due forme “classiche” soggettività e pluralità, tra privato e pubblico, tra singolare e plurale) possiamo in parte abbattere la corruzione, da considerare come l’utilizzo di risorse pubbliche per accontentare interessi privati.


Spunti da un vecchio testo

Tempo fà scaricai (non ricordo più da dove) uno studio sulle comunità locali, da qui partiamo con questa serie di ipotesi.
Il testo partiva asserendo che "La relazione tra comunità e società, se si pone come relazione tra una parte e il tutto, presenta aspetti di intrinseca incompatibilità, che si sviluppano col crescere dell’egemonia che la società, in qualsiasi modo la si intenda (stato, nazione, città ecc.), intende imporre alla comunità."
Questo lo abbiamo già appurato, è scritto nella storia del nostro pianeta che questi due andamenti si ripetono nel tempo:
-là dove la società si amplifica, configurandosi spesso in stato, le comunità locali (quindi anche le famiglie, che ne sono il fulcro) perdono terreno
-là dove una società più ampia od addirittura uno stato tendono a sfaldarsi, subito, le comunità locali tendono a risorgere, riemergendo da uno stato, solo apparentemente, dormiente che le aveva sin li ospitate; qui, lo studio di cui sopra, poneva un attenzione pertinente sull’ascesa e il declino dello stato romano.
La storia del resto ci parla dell'immortalità dimostrata dalle comunità, abbiamo visto lottare strenuamente, per non lasciarsi sopraffare, le poleis greche, i comuni italiani del XIII e XIV secolo, le minoranze etniche e religiose di ieri e di oggi; anche dopo una pesante sconfitta sono in grado di rimanere per lunghissimi periodi in uno stato dormiente, pronte a risorgere innanzi al minimo spiraglio di ripresa dello spazio sottratto..
Nella modernità occidentale quando si parla di  "comunità" spesso si equivoca, se ne fà un uso metaforico, privo dei fondamenti, che qui spesso rimarchiamo, in realtà i sociologi, invece, quando trattano di comunità si riferiscono alla  “comunità locale”, cioè ad un gruppo omogeneo di persone insediate su un territorio, nel tempo, è ormai certo, la base territoriale garantisce stabilità.
Lo studio di cui accennavamo all'inizio affermava che una comunità locale è:
a. un sistema socio-economico che svolge al suo interno la maggior parte o tutte le funzioni che ne assicurano la sopravvivenza,
b. dotato di un territorio definito
c. e, sebbene interagisca con l’ambiente esterno umano e fisico, mantiene nei confronti di questo una sua specifica unità

Sul dizionario di sociologia di Luciano Gallino troviamo la seguente descrizione:
Popolazione, gruppo di dimensioni ridotte — da alcune centinaia a poche decine di migliaia di membri — che vive stabilmente entro un territorio delimitato e riconosciuto come suo sia all’interno che all’esterno, non sempre dotato di un governo formalmente istituito, ma sufficientemente grande, differenziato e attrezzato da poter abbracciare tutti i principali aspetti della vita associata: lavoro, famiglia, educazione, commercio, assistenza, pratiche religiose, ricreazione, ecc.; minima entità territoriale che soddisfa a tali requisiti la comunità locale è stata spesso considerata la sede privilegiata dell’agire di comunità

Nel nostro paese, i rari studi compiuti dal dopoguerra in avanti (lasso di tempo in cui, comunque, le istituzioni hanno cercato di falcidiare le comunità) pongono al centro dell’analisi le trasformazioni che la struttura sociale delle Comunità locali hanno subito a causa dell’industrializzazione e del declino della cultura contadina.

Dagli studi emerge il concetto di Comunità come un sistema sociale e spaziale di dimensioni relativamente ridotte; questa logistica socio-territoriale consente alla maggior parte dei suoi membri di avere una conoscenza ed esperienza personale e diretta delle attività, degli orientamenti, della posizione sociale, dei connotati degli altri. Questo particolare "modus operandi"  origina una forma peculiare di solidarietà
e di identità soggettiva in grado legare affettivamente le persone a quel territorio ed a quella popolazione più che ad ogni altro.
Credo che oggi nessuno possa contestarmi l'affermazione, quando nego la possibilità di chiamare Comunità le grandi città, le quali, ormai, hanno perso questo titolo, che a loro toccava qualche decennio fà; toglieremo quindi dai protagonisti del cambiamento le città, cambiamento che come spesso nella storia è successo, si baserà sulle diverse accezioni del concetto di Comunità Locali, le quali spesso hanno ispirato vari progetti di riforma dell’organizzazione statale, intesi a fare della Comunità il modulo base su cui questa dovrebbe fondarsi. Tra i vari, uno dei più fondati fu probabilmente quello proposto nell'immediato secondo dopoguerra da Adriano Olivetti (1946, 1948), di cui va ricordata la capacità di anticipare le istanze a favore di una democrazia dal basso, centrata su aree socialmente integrate tipo i quartieri, emersi con forza un
quarto di secolo dopo, intorno agli anni ‘70, quale reazione al gigantismo anomico delle metropoli ed allo sradicamento socioculturale che vi si accompagna. Di Olivetti vi lascio un pensiero:
LA NOSTRA PICCOLA PATRIA
"Cos’è dunque la nostra Comunità? È il luogo d’incontro del tuo prossimo. (Ricordate bene: il vostro prossimo è quello che potete e dovete soccorrere perché il destino l’ha posto davanti a voi, perché l’avete incontrato).Ma nella solidarietà che ti unisce al tuo fratello germano, al tuo fratello Veneto o calabrese, ed al tuo fratello più lontano, di altra razza e di altro popolo, vi sono legami, dei fili invisibili che non sono uguali perché corrispondono a tre differenti comunità viventi: la famiglia, la patria e la società universale. Ma tra la famiglia e la patria c’è un vuoto, un vuoto che deve essere richiamato alla vita. È quello di una piccola patria intorno alla città natale, lo spazio vitale dove si esprime la nostra vita sociale, la natura che ci è intorno, monti, colline, campagna.
Questa, l’abbiamo già descritta, è la nostra Comunità. Questa piccola patria non è riconoscibile ovunque, perché la città ha ucciso la natura con una separazione che non può più a lungo continuare. Perciò la Comunità è storia che si fa ogni giorno ed un giorno sarà cosa viva, quando avrà operato a lungo nelle coscienze ove alberga già in potenza il desiderio di verde e di pace del desolato uomo moderno, quando avrà anche operato nella materia costruendo unità residenziali e villaggi nuovi che gli architetti hanno progettato per avvicinare la natura alla vita.
Ma la Comunità sorta come un ingranaggio amministrativo avrà anche vita spirituale nell’esercizio della solidarietà e della fratellanza, quando sarà ed allora soltanto veramente «una comunità cristiana»."


Sottolineiamo  il punto in cui la comunità può essere intesa anche come un' estensione della famiglia, non prendiamola proprio nel vero senso della parola, ma immaginiamo un qualcosa che si riconosce in se, sapendo di avere al proprio interno una storia, una cultura, una lingua, un arte lavorativa; insomma un insieme armonico di valori che fa si di sentirsi appartenenti allo stesso ceppo genealogico.
Oggi purtroppo, in Italia, causa la politica secessionista della Lega, chi parla di Autonomia Locale viene tacciato di irresponsabilità e isolazionismo (in verità anche di razzismo); vi assicuro non è il caso mio. Io intendo ciò che descrivo come Autonomia Locale punto di partenza per una Confederazione di Culture, italiane ed europee, e non come la voglia di separatismo.
Dopo aver parlato di Comunità Locali, la forma in carne ed ossa, parliamo , per una parte più istituzionale, di democrazia partecipativa, una forma di democrazia relativamente nuova, ma in fase sicura di sviluppo. Oggi se andiamo a cliccare (tanto per fare un esempio) in Google digitando  su “democrazia partecipativa” ci troviamo innanzi a circa 3 milioni di risultati. Il proliferare di interesse attivo a questa formula democratica è un evidente sintomo del disagio provocato dalle derive oligarchiche e asfittiche della democrazia rappresentativa. Se ne facciamo una analisi, anche appena approfondita, vi troviamo parecchie "causali”, tuttavia, se guardiamo al contenuto di quelle pagine web troviamo veramente di tutto: giuristi che ragionano sui referendum, politologi che parlano della partecipazione elettorale, gruppi politici di base che rivendicano le primarie, social forum che si interrogano sul nuovo modello di sviluppo, sindaci che sperimentano bilanci partecipativi. Insomma sotto questo titolo pare che tutti abbiano casa, ma io vorrei, in modo sostanziale, riferirmi ad un processo riportato in una frase di Umberto Allegretti. “un relazionamento della società con le istituzioni un intervento di espressioni dirette della prima nei processi di azione delle seconde”; poi potremo aggiungerci dei surplus, ma ne discuteremo.
Tentiamo dunque di "sdoganare" questa locuzione, spezzettando un pò questo concetto e approfondendone, secondo le mie conoscenze, i vari "aspetti".


(continua)

mercoledì 1 gennaio 2014

Visioni alternative

In questi giorni su un altro mio blog, dove ritrasmetto miei vecchi pensieri, ho postato un articolo dove qualche anno fa andavo ad analizzare quale approccio avrebbe dovuto usare un nuovo movimento nascente dal basso nei confronti di un “potere autoalimentato”. Se in quell’articolo mi cimentavo a razionalizzare i passi di un movimento in crescita, “oggi” (potrebbe sembrare le ipotesi cozzino), teorizzo su una possibile, nuova modalità di intendere un movimento politico.

Quanto esposto è stata la mia riflessione su questo tema, nata questa estate dopo un paio di conversazioni con Emilio (Mimmo) Arnaboldi (Capogruppo Consiliare di “Lavori in Corso”) che ho inviato ad alcuni membri di LiC  con l’intesa di averne un ritorno in pareri, proposte e discussione.

Dividerò in parti la riflessione lunghissima, ma che comprende parecchi temi, augurandomi che qualcuno abbia la forza di leggersi il tutto.

Dei primi come e perchè

Ci si chiede spesso perché non vi sia un vero moto di ribellione rivolto verso certe situazioni. Un motivo è certo e dimostrato spesso dai corsi e ricorsi della storia: giunti ad un certo livello di prevaricazione, i potenti, cercano di cautelarsi, cercando di farsi amare dai loro schiavi. Nell’insieme di un gruppo abbondantemente assuefatto e ripulito da possibili dubbi residenti nel cervello, automaticamente, anche chi non condivide viene costretto ad accettare suo malgrado, per non correre il rischio di essere un oggetto di scherno, un personaggio isolabile, un escluso, esso alla fine si persuade di compiere volontariamente ciò a cui viene costretto.

Dovrebbe entrare in ballo, ad un certo punto, la volontà; accalorati da un volere, sostenuti da un idea chiara di un dovere, non risulta difficile “fare”. L’eventuale difficoltà  subentra nel momento in cui la chiarezza dell’idea, per vari motivi, svanisce, si adombra, e ci si rende conto che è difficile sopportare questo mutamento. E’ vero anche che nell’istante esatto in cui prendiamo una decisione, un partito, una convinzione, il senso, la voglia, del dovere sono presenti e concreti, ma la fatica ed il percorso non sono ancora percepibili, quantificabili. Si dovrebbe, quando le bocce sono ancora quasi ferme, darsi una programmazione da attuare, concretizzare, nel momento in cui, durante la procedura ci si sentirà deboli.

Un primo approccio a Partiti e Movimenti alternativi

In questi miei appunti non parlo certamente di nulla che possa risultare nuovo a chi mi conosce, punto il dito contro la “partitocrazia” e seguo un sogno costituito da piccole patrie federate e possibilmente cerco di segnare le tracce di queste patrie e di come si dovrebbe intender un movimento politico alternativo. Un imposizione intellettuale e mediatica dilagante ci opprime, per liberarsene occorre, senza dubbio, essere forniti di libertà interiore e autonomia pensante … le si trovano scavando dentro se stessi … si utilizzano solo se convinti che la fatica, il tempo, un percorso, degli ostacoli non spaventano. Non mi invento certo io le ipotesi possibili di un percorso, vi sono persone più intelligenti e colte di me che le ipotesi di percorso le hanno già tracciate.

Diamo per scontato che la soppressione dei partiti politici non può e non deve avvenire con un atto di forza, essa per intanto deve avvenire dentro di noi, come un’opera di disinganno collettivo che orienterà il lavoro delle future generazioni.

Ogni nuova idea potrà essere presentata e sviluppata solo attraverso movimenti alternativi che si richiamino ai club aperti, a ciò che si concretizza solamente attorno, ad esempio, ad una rivista o a una “scuola” o a un “circolo” e che ad una “logica di partito” sostituiscano la convergenza delle idee di un gruppo che lavora in attuazione di un bene comune, idee che uniscono l’uomo, anziché contrapporlo ai propri “comproprietari” del bene convissuto.

Sebbene il partito sia segnato da un peccato originale sin dalla sua creazione, decenni fa ancora si poteva vederne dei margini di sopportabilità. Ora, dopo una conversione in partiti “liquidi”, mi risulta venuta meno una forma di eticità che i partiti tradizionali conservavano e mi appare che si siano concretizzati fenomeni di degenerazione democratica quali possono essere corruzione, concussione e varie forme di malversazione su vasta scala ben note. Se qualche anno fa ancora si aderiva ad un idea associandosi ad un comportamento conseguente oggi appare che ci si associ ad un ad un partito per motivazioni che, come anche la cronaca quotidiana ci mostra, attengono sempre più all’interesse personale. Interessante è il pensiero di Aleksandr Solgenitsin:  “Se un popolo cerca la libertà troverà la libertà e anche il pane, se cerca solo il pane perderà questo e anche la libertà”.

Capita io mi chieda se esista un filo logico, una possibile trama ideologica, un fondamento comune che ci aggreghi in questo paese. Una trama in realtà, anche se pienamente disattesa dai fatti, dalle nostre azioni quotidiane, esisterebbe … il nostro è un paese dove la stragrande maggioranza delle persone si professa (quantomeno si dichiara) cristiana e dove la cultura generale stessa è ben intrisa da quanto i Vangeli e la vita di Gesù Cristo ci indicano ed esemplificano, eppure le cronache quotidiane ci dimostrano che siamo ben lontani da un cristianesimo veramente “incarnato” che tende verso l’avvenire … forse da li qualche indicazione possiamo attingerla, senza esagerare, ma anche senza pregiudizio.

Quando illustro il mio pensiero spesso vengo indicato quale antidemocratico e soggetto pericoloso verso le generazioni a venire. L’ho detto più volte, sono estremo nel pensiero, per me non esiste il grigio. A mio vedere, ma non lo scopro certamente io, chi aderisce ad un partito, per restarne parte attiva, deve conseguentemente sottomettere la propria intelligenza e soprattutto la propria autonomia di giudizio al fine ultimo appena scritto. Il partito nella ricerca sfrenata del proprio scopo non si doma nella ricerca di ogni mezzo: fomentare le passioni collettive e i lati più deteriori delle popolazioni per ottenere il consenso, usare la denigrazione sistematica dell’altro partito, allearsi e cercare l’appoggio di chiunque può guidare la cosiddetta “opinione pubblica” con i mezzi più svariati che vanno dalla pressione religiosa, a quella mediatica, a quella dei grandi gruppi economici finanche, con una contiguità che storicamente è variata di gradazione ma quasi sempre presente, alla grande criminalità organizzata. Alleanze così strutturate annullano e/o limitano fortemente l’autonomia del partito rispetto a queste forze sociali che, teoricamente, un partito dovrebbe regolare nel suo ruolo di elemento di governo o comunque presente nei Parlamenti. Il partito di fatto gioca un ruolo di ostruzione tra le istituzioni  e i cittadini, le istituzioni si trasformano in un mezzo per prosperare dando vita alla degenerazione della democrazia che prende il nome di “partitocrazia”.

Scriveva Simone Weil: “Quando in un Paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque (in buona fede) si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Così, chiunque abbia un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti, in questo caso sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico..

La filosofa francese ci induce, attraverso questo pensiero, a capire la necessità di doversi liberare dalla convinzione che i partiti siano e debbano essere gli unici strumenti possibili per riempire le istituzioni sociali che comunque necessariamente debbono esistere ed a capire che i partiti politici hanno contribuito, con la loro azione deteriore descritta, a peggiorare l’intera vita mentale della nostra epoca educando alla faziosità e di conseguenza alla rinuncia dell’autonomia pensante.
 (continua)


lunedì 30 dicembre 2013

La terza via

Ho scritto spesso dell’implosione del sistema (socio)economico attuale basato sulla produzione sul consumo senza limite che si autoalimentava consumandosi e, come in un ossimoro, appesantendosi.

Si è scritto spesso di come uscirne, ho dato sempre valore ad una via localista e sostenibile, fatta di produzioni dal basso, legata magari anche alle tradizioni, possibilmente “ecologiche” ed a km 0.

Mi è capitato di incocciare tramite la rassegna stampa di Arianna Editrice in un articolo firmato Peppe Carpentieri.

Come me l’autore reputa una “facile semplificazione” e descrive come “pensieri
appartenenti allo spesso piano ideologico” una discussione che si basa  su “liberisti e keynesiani”.

Entrambi concordiamo su una soluzione ben diversa che richiede un salto di qualità culturale non indifferente verso un “piano completamente diverso, ordinato da leggi e regole diverse dal sistema economico-politico attuale”.
Stiamo parlando di nozioni che non sono assolutamente sconosciute, anzi, ma che vengono eluse, per pura convenienza, dallo “status quo”.
Ai padroni del vapore (per quanto espresso qualche riga sopra) conviene cercare di riproporre “politiche degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso”, proprio quelle “che hanno fatto nascere questa crisi (esse ignorano palesemente  le leggi della fisica)  la quale non è ciclica ma di sistema”; non è inseguendo  vecchie o nuove dottrine del sistema  che si risolve il dunque, ma uscendone e riscrivendo da zero (o giù di li) il percorso.

Nel susseguirsi del tempo spesso si è fatta molta confusione su significato da dare al termine benessere.
In nome (ad esempio) di “impianti industriali, miniere, dighe, porti e grandi strade” migliaia, se non milioni, di persone  (eludendo quindi, a mio vedere, anche termini costituzionali) “sono stati cacciati dalla loro comunità e dalla loro terra”.

L’autore cita Luciano Gallino “Il danaro serve a misurare il valore con precisione, e deve essere definito chiaramente e in modo trasparente e soprattutto non deve essere sottoposto a manipolazioni da parte di terzi” ed  anche le teorie di Arthur Cacil Pigou il quale distinse al volo tra benessere sociale, esprimibile con la qualità della vita, e benessere economico, che è misurale solo con la moneta.

L’autore sposa anche le tesi di Frederick Soddy  e Nicholas Georgescu-Roegen così riassumibili: “la reale ricchezza dipende dai flussi di materia e di energia prodotti dalla natura, e pertanto il danaro non può comportarsi come una macchina perpetua poiché contraddice il principio termodinamico dell’entropia. L’economia deve tener conto della ineluttabilità delle leggi della fisica, ed in particolare del secondo principio della termodinamica”.

La storia moderna ci dimostra, senza opinabilità, i limiti del pensiero moderno e liberista che se ne è bellamente infischiato delle leggi della natura, le uniche da rispettare e che non perdonano.
Volessimo anche sposare “tecniche” neokeynesiane non potremmo continuare a
sottostimare le leggi naturali che ci mantengono in vita. Sia per economia, che per qualità della vita, che sopravvivenza  dobbiamo necessariamente ripartire da quelle dimensioni,
piuttosto che riproporre vecchi schemi che non parlano di sviluppo umano.
E’ possibile, quasi sicuro, che non si possa uscire completamente da una logica di sovranità monetaria (possibilmente, sicuramente da contenere), ma vanno eliminate quelle scelte che spesso hanno portato si alla creazione di molteplici posti di lavoro “innovativi”, ma anche ad “attività inutili e persino dannose. Stiamo ancora pagando quei danni e solo oggi possiamo cominciare a misurare il danno biologico ed ambientale di uno sviluppo mortale”.

Sicuramente occorrerà indirizzarsi verso “ambiti virtuosi per migliorare la condizione dei cittadini e garantire un futuro alle prossime generazioni grazie all’uso razionale dell’energia e delle risorse limitate”, premurandoci di cancellare gli sprechi e votandoci a “fonti alternative e sufficienza energetica, conservazione del patrimonio culturale ed ambientale, conversione ecologica dell’industria meccanica e manifatturiera, sovranità alimentare”.

Occorre dunque votarsi a dei modelli alternativi, fare non tanto per fare ma per “fare
meno e meglio ed in modo virtuoso ed utile a creare nuova occupazione ed indirizzandosi, in questo, verso “l’innovazione tecnologica indirizzata in attività virtuose mostra un’altra opportunità straordinaria per una società migliore: lavorare meno con un salario ugualmente dignitoso e guadagnare tempo da investire nelle relazioni umane”.

Tutto quanto sinora ignorato dai nostri governanti “guidati da un’ideologia dannosa che sta peggiorando l’esistenza degli individui”.

Condivido sostanzialmente queste posizioni, potrete trovare mie considerazioni più personali in questo articolo che si sviluppa partendo dalle città ed arrivando oltre, ed in questo ,che non si diversifica molto da quanto espresso qui, letto volentieri sia da localisti che da “ambientalisti”.


Grazie dell’attenzione, Giorgio Bargna