venerdì 17 ottobre 2014

Regione Autonoma a Statuto Speciale

Quanto andremo ad illustrare è un’azione politica già messa in opera nell’aprile del 2008, i tempi allora però non erano ancora maturi; l’atrito delle istituzioni rallentò molto la procedura e la mozione venne bocciata persino dalla locale Lega Nord. Oggi la gente è molto più conscia delle difficoltà di ogni giorno e la delibera passerà, ci sono i numeri, sicuramente al Consiglio Comunale.

Ora, il 16 Ottobre 2014, il Sindaco di Cantù Claudio Bizzozero (sostenuto dalla “Coalizione Civica Lavori in Corso” e dalla lista civica “Cantù Rugiada”) ha protocollato una delibera che porterà all’inizio dell’iter atto alla nascita di una nuova Regione a Statuto Speciale. Le Province interessate sono Como, Lecco e Sondrio. Nei Territori interessati vivono ad oggi circa 1.122.000 persone, un numero sufficiente, sulle basi della Costituzione, per costituire una nuova regione. 

L'art.132 della Costituzione prevede che la richiesta di nuova costituzione debba essere deliberata da tanti consigli comunali che rappresentino almeno 1/3 della popolazione interessata (e dunque che rappresentino almeno 374.000 abitanti).
I primi 40.000 saranno garantiti da Cantù, il resto dovrà venire di seguito grazie all’azione dei molti consiglieri comunali e sindaci davvero civici e davvero liberi dalle gabbie di partito, che in questo momento, governano molti nostri Comuni.

Siamo ormai esausti del chiacchiericcio partitocratico, non c’è più nulla da ascoltare, non c'è più alcuno spazio per i soliti giochini partititici. Come dice Claudio Bizzozero “Da oggi si gioca a carte scoperte in modo che tutti possano vedere e giudicare chi fa sul serio e chi no”.

Non siamo partiti allo sbaraglio, da tempo stiamo tessendo una rete con Movimenti e Sindaci del Territorio, che deve comunque sempre più alimentarsi, dalla diffusione di questa delibera in tanti Consigli Comunali e da far rete sul territorio anche per la gestione delle risorse i prodromi di un Federalismo che nasce dal basso sulla spinta dei Municipi.

Un Federalismo che si fonda sul localismo, sull’autonomia, sulla responsabilità e sulla partecipazione popolare; un Federalismo che si fonda sul Municipio e che vuole arrivare lontano.

Giorgio Bargna


martedì 14 ottobre 2014

IL FEDERALISMO

Pubblico quest’oggi  un mio pensiero sul Federalismo scritto nell’Aprile del 2011, o meglio su la mia visione di esso, buona lettura.

Federalismo, Stato federale e Stato regionale.
Da ormai quasi un ventennio il nostro paese, almeno a parole, si è affacciato al panorama del federalismo, attrezzandosi verso di esso con alcune "formulette magiche", cercando di adeguarsi al trand normativo proprio di alcuni stati di area comunitaria;  in realtà, in Italia di federalismo vero e proprio non si può di certo parlare, anche se esso (così come dicemmo dei processi partecipativi)  non è un concetto unico e ma un principio definibile una volta per tutte, è piuttosto un processo dinamico che segue il percorso tracciato dalla voglia di autonomia dei vari status territoriali e da quella dei cittadini.
Per proseguire lucidamente il nostro discorso distinguiamo immediatamente lo Stato federale dal Federalismo:  uno è un'organizzazione politico-costituzionale, l'altro è un processo storico che si delinea grazie alla condivisione di intenti di componenti di varia natura che tendono a trattarsi con dei rapporti di tipo paritario; a volte i due concetti si incontrano, ma lo stato federale non necessariamente nasce da una spinta federalista concreta. In Italia durante questo processo si è parlato di federalismo fiscale, di devolution, financo di stato regionale, di federalismo reale, ben poco.
Il Federalismo, di per se stesso, lo dice la parola, è un processo, non solo politico, che tende ad aggregare tanto nel privato (vedi le associazioni), che nel politico-istituzionale.
Il vero Federalismo, a dispetto della falsità propinataci, fa si che lo stato centrale serbi per se solo alcuni poteri, gli altri sono riservati alle comunità associatesi, nella legislazione e nell'amministrazione; le falsità federative italiane invece dispongono leggi stabilite a Roma e fatte rispettare dagli enti locali: definirlo stato regionalista a fargli un complimento!
E' chiaro che nei nostri territori la Federazione non possa nascere certo dall'esistente teoria di aggregazione (lo stato unitario) ma bensì delle Autonomie Locali associate in territori omogenei, aventi lo stesso ceppo linguistico, le stesse tradizoni, le stesse ambizioni; il tutto supportato dalla decisione popolare, la democrazia diretta e partecipata, in pratica la sovranità popolare, unici poli aggregativi moderni.
Punto di forza necessario al Federalismo è il principio di sussidiarietà che presuppone un assetto fondato su di un criterio di distribuzione delle competenze che lascia molto spazio alle competenze concorrenti, consentendo di preferire il livello locale piuttosto che quello centrale nell’erogazione delle prestazioni, in quanto il livello locale, essendo per sua stessa natura più vicino ai cittadini, è certamente il più adatto ad avvertire i bisogni della collettività e di conseguenza a soddisfarli.
L’introduzione del principio di sussidiarietà, infatti, dà luogo ad una sorta di “sistema binario” che va a basarsi sulla relazione esistente tra interessi generali ed interessi locali, ma è comunque sempre tendente all’integrazione tra il centro e la periferia.
Spesso i detrattori del federalismo si appellano alle differenze di natura demografica, economica e sociale esistenti nei vari territori, che io ritengo ovvie, ma che costituiscono però la vera ragione di una necessità federativa costituendo il più grande motivo associativo, appianato però dal rischio causato dalle difficoltà alla realizzazione concreta del progetto federale, e che può andare a compromettere l’effettivo rispetto del principio di uguaglianza. Ecco perchè si è posta da subito la necessità di riaffermare che il rapporto tra federalismo, su cui si è avviato il Legislatore costituzionale italiano, ed eguaglianza dei diritti, principio fondamentale contenuto nell’art. 3 della Costituzione, anche nella sua delicata e difficile armonizzazione, è un rapporto che deve necessariamente trovare una combinazione in una ripartizione equilibrata e chiara del potere tra Stato ed autonomie; va dunque applicato un decentramento equilibrato, ma non "buonista" che riequilibri le differenze sostanziali ( a livello economico) tra le varie realtà locali, evitando che si vadano a creare differenze di trattamento tra i cittadini in relazione al luogo ove essi risiedono.
Scrivo questo perchè se io lasciassi parlare la sola parte federalista presente in me asserirei che la libertà sia primaria posta innanzi all'egualianza, per fortuna però mi ritengo anche democraticamente presente e presuppongo quindi che l'istanza libertina e quella egualitarista debbano viaggiare il più possibile di pari passo, anche se questo percorso è di certo tormentato.

Il Federalismo puro
Il Federalismo puro, non quello spacciato dalla Lega in questi decenni, non si connota nella chiusura territoriale,  ma è un federalismo di tipo cooperativo. Laddove il federalismo nasce di sana pianta converrà vigilare con attenzione affinchè esso, essendo visto quale mezzo in grado di tutela delle diversità, non diventi mezzo sterilizzatore dell'eguaglianza, questo perchè, da sempre, il federalismo è visto come un processo tendente all’unità, anche se si tratta dell’unità di diversi, e che l’unità trova, nell’eguaglianza, il suo fattore determinativo.


Equilibrio tra autonomia ed unità.
L'organizzazione federale di uno stato, pur essendo strumento di tutela delle diversità, si orienta comunque ad essere mezzo di integrazione tra centro e periferia, integrazione che va sostenuta grazie alla realizzazione di normative che sostengano l’equilibrio tra autonomia ed unità, equazione di libertà ed eguaglianza; normative che si oppongano ad una troppo marcata frammentarietà del sistema. Le esigenze dello stato centrale e quelle delle autonomie locali vanno inquadrate unitariamente e complementarmente, così da essere in grado di salvaguardare l’indivisibilità della Repubblica ed il principio della cittadinanza sociale, ma anche di tutelare le diversità sociali, economiche e territoriali da sempre presenti nel Paese. Sono assolutamente necessari di tutela due valori: da un lato quello dell’universalismo nell’accessibilità dei beni comuni da riconoscere a tutti i membri della comunità politica nazionale, e dall’altro il rispetto e la promozione dell’autonomia e della responsabilità delle comunità locali che significa, si, dare maggiore spazio alle decisioni che siano più vicine alle preferenze locali, ma che significa anche che in questo modo possono realizzarsi differenze nei servizi pubblici a livello locale.


Giorgio Bargna