Prendo spunto nel cercare l’argomento da trattare
approfittando di un tema che stiamo trattando in un gruppo privato, intenzionato
a diventare progetto attivo: l’ educazione civica.
Si tratta di un argomento abbastanza fumoso, per come è
sempre stato trattato nel nostro paese. L’educazione civica, più che per la
propria attuazione, è sempre stata famosa quale materia scolastica da seguire
senza troppa passione.
Nelle intenzioni dei governanti essa dovrebbe educare i cittadini a comportamenti socialmente utili, il punto è: cosa vogliono insegnarci persone che eticamente hanno poco valore? Non parlo degli insegnanti, parlo di chi gestisce la “patria podestà”…non ho sbagliato battere lettera, podestà intesa in questo senso.
Credo
sia sensato incorporare in questo argomento temi quali educazione ambientale, educazione stradale, educazione sanitaria,
educazione alimentare, leggi e
costituzione, risparmio energetico. Potremmo, concentrandoci, aggiungere probabilmente
molti altri temi, diciamo però che l’educazione civica debba servire
soprattutto a fornire conoscenze e strumenti che consentano di parlare di
cittadinanza attiva, quindi, a mio avviso, diritti e doveri, poteri e
responsabilità.
Per molti anni ho scritto essenzialmente di
politica, oggi incrocio, possibilmente, ad essa qualcosa di sociale anche se
non essenzialmente legato in senso stretto; quanto scrivo oggi però, oltre che
essere una specie di disamina sociale è anche un invito alle amministrazioni,
locali e non, per un percorso … non mi dispiacerebbe che l’amministrazione
della mia città (espressa dal movimento politico a cui appartengo) ne tenesse
conto.
Possiamo quindi a livello amministrativo locale, ma
si potrebbe ampliare il discorso, parlare di cittadinanza, oltre che “educata”
anche attiva.
Promuovere della cittadinanza attiva vuol dire
anche invitare i cittadini a fare cose, aderire a programmi, esserci, quindi
numeri, persone che aderiscono, che vengono convocate, anche attraverso le
iniziative on line, a “fare” qualcosa, ad esserci. In realtà Cantù già si
fregia di tutto ciò, ma occorre spingere affinché sia possibile fare sempre
meglio e sempre meglio venga rappresentato e divulgato.
Oggi in un periodo in cui i tradizionali soggetti
della rappresentanza sono in crisi, viaggiano in rotta di collisione col mondo,
è giunto il momento per far valere nuovi criteri di rilevanza. Le regole che ordinano
le modalità di selezione degli interlocutori hanno ormai variato i valori e
vanno adeguate all’evoluzione dei rapporti sociali e istituzionali, vanno
moltiplicati i luoghi istituzionali, i ruoli e le funzioni pubblici, le
occasioni in generale in cui la rappresentanza civica diventi un fattore
ordinario di partecipazione.
Una reale rivoluzione civica non può prescindere
dalla creazione e il consolidamento di un ambiente in cui contino i temi
civici. Occorre quindi strutturare una politica culturale, creare alleanze tra
soggetti associazioni e di altri mondi, rendere “pesante” e visibile perché
ricco di cose, di idee, di persone intelligenti il mondo dei cittadini
organizzati. Può voler dire creare cordate con altri soggetti, dare vita a
siti, fare campagne “civili”. Partire soprattutto dal presupposto che certe
battaglie non si vincono da soli e che l’unione fa la forza.
Occorre impossessarsi delle informazioni che
occorrono a capire le priorità e i problemi di interesse pubblico, per costruirne
agende e politiche, per definire gli interventi definiti e per valutare
l’operato dei governi. Occorre che questo accada non solo per alzare il livello
qualitativo delle politiche, ma anche per allargare sempre più ai cittadini,
direttamente interessati, la governance dei sistemi di intervento pubblico.
Purtroppo una delle lacune dell’attivismo civico è
la propria invisibilità, vale a dire la difficoltà a rappresentare quello che
si fa, le persone che lo fanno, i risultati che si raggiungono. E’ necessario rilanciare,
con il contributo delle istituzioni e dei media, campagne di comunicazione per
far conoscere a tutti la possibilità di attivarsi prendendosi cura dei beni
comuni del proprio territorio.
Parliamo quindi, miscelando educazione civica e
partecipazione, di ciò che in molti ambienti viene definita “buona pratica”; una
“buona pratica”, per essere definita tale, deve
soddisfare a mio, e non solo, parere sicuramente almeno questi
requisiti:
• MISURABILITÀ (possibilità di quantificare
l'impatto dell'iniziativa);
• INNOVATIVITÀ (capacità di produrre soluzioni
nuove e creative per il miglioramento della qualità dei servizi e per la tutela
dei diritti dei cittadini);
• SOSTENIBILITÀ (attitudine a fondarsi sulle
risorse esistenti o capacità di generare essa stessa nuove risorse);
• RIPRODUCIBILITÀ (possibilità di trasferimento e
applicazione in luoghi e situazioni diversi da quelli in cui è stata
realizzata);
• VALORE AGGIUNTO (impatto positivo e tangibile sui
diritti degli utenti e sulla promozione della partecipazione civica).
Ne torneremo a parlare, Giorgio Bargna