giovedì 23 ottobre 2014

Controbattere alla Tecnocrazia

Non solo in Italia, anche in Europa si sta affrontando quella che non possiamo limitarci a descrive come una semplice recessione economica, stiamo vivendo, anzi direi subendo, una concreta perdita della sovranità sia essa nazionale che continentale. Le sovranità storicamente si poggiavano su precisi principi fondamentali: la sovranità economica, quella militare ed infine quella culturale. La liberalizzazione dei mercati finanziari ha reso impossibile alle autorità politiche di influire sulle decisioni di natura economica, grazie alla NATO  l’Europa non gode più di una sovranità politico-militare. La globalizzazione poi non ha fatto altro che accelerare il processo di americanizzazione dell’Europa. La lingua inglese di fatto viene quasi imposta ed attraverso le produzioni cinematografiche e televisive  gli Stati Uniti hanno plasmato il nostro modo di fare erodendo pian piano gli usi e i costumi dei popoli europei.

Come alcuni di voi sapranno da sempre condivido in gran parte le idee di Alain de Benoist.
Il teorico francese si esprime in questo merito proponendo una formula consistente nell’applicazione di un protezionismo su scala europea, nel ritorno concordato alle singole monete nazionali, nella statalizzazione delle banche (accompagnata dalla creazione di un credito socializzato), nella tassazione delle transazione finanziarie, nel far scomparire i paradisi fiscali e nell’annullamento del debito.

Questa formula economica (protezionismo non autarchia), che poi di seguito trascinerebbe dietro di se anche “risanamenti” democratici, militari e culturali di certo non verrà praticata ne dai partiti politici di destra ne da quelli di sinistra, pare abbastanza appurato che l’odierno capitalismo non sia né di destra né di sinistra o meglio che sia di destra che di sinistra. “E’ di destra nell’economia ma è a sinistra nel costume. Criticarne l’aspetto meramente economico senza mettere in discussione quello sociologico  è un po’ come pensare che la febbre sia la causa della malattia”.

Qualcuno tra gli “studiosi” delle situazioni politico-economiche-sociali è dell’opinione che sia impossibile trasformare l’Unione Europea nel sogno perfetto dell’Europa dei Popoli visto e considerato che essa sta perfettamente incarnando il proprio ruolo affidatole: eliminare l’«eccezione europea» ed integrare pienamente l’economie dei paesi membri nel modello americano fondato sul liberismo selvaggio. Così facendo però l’Unione Europea segue un modello che vorrebbe trasformare l’Europa in una «grande Germania», ovvero un enorme macchina produttiva trainata dal commercio; il limite di una simile economia è che vive semplicemente sulla domanda esterna e stiamo già verificandone la debolezza così come stiamo assistendo ad una recessione dagli effetti potenzialmente devastanti. Inoltre seguendo questa linea l’Unione Europea costringe le nazioni facenti parte dell’area euro ad una politica deflazionistica messa in pratica attraverso una pressione al ribasso sui salari la quale non può altro che avere effetti negativi sulla domanda interna.  

E’ parere di alcuni che ad opporsi a questo sistema tecnocratico vi sia essenzialmente  una grezza democrazia populista capace soltanto di criticare e demolire priva delle capacità di costruire un alternativa.

Prendo le parole espresse da de Benoist su questo aspetto e di seguito aggiungo il mio pensiero.
“A mio parere la demagogia e il populismo prosperano proprio laddove il potere politico mostra la propria vulnerabilità. Quando le istituzioni si mostrano deboli ed incapaci di affrontare l’influenza dell’economia sulla vita pubblica si creano le condizioni affinché le masse popolari seguano i progetti di leader megalomani e folli”.

Ritengo, smentendo i critici, che esistano parecchie reti, parecchi movimenti che stiano invece lavorando per una ricostruzione alternativa a questo sistema folle. Alcuni di essi (ne sono testimone diretto) si ispirano a principi di autonomia e di responsabilità tracciando una linea che segue le direttrici del localismo supportato anche dalle sue formule economiche, della sostenibilità, della riconversione energetica e del bene comune.

Occorre però impegnarsi alacremente in tale direzione, “la gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature”; un pensiero questo di Franklin Delano Roosevelt su cui  riflettere attentamente. 

Giorgio Bargna

lunedì 20 ottobre 2014

Atomizzazione

In questi giorni un post di un’amica su Facebook e la manifestazione delle “Sentinelle in piedi” contro il “ddl Scalfarotto” mi ha portato a riflettere ancora una volta su come in fondo non esista solo il bianco o il nero e sul fatto che l’uno non prevalga necessariamente sull’altro.
Aldilà delle manifestazioni estremistiche di vario genere scatenate dalle due fazioni in campo, una sorta di carnevalata della divisione in tifoserie calcistiche pro e contro la famiglia tradizionale, a me che cerco di vedere sempre le questioni da un’ottica antiglobalizzatrice ed oppositrice di ogni pensiero unico questa situazione porta a rendermi conto che i padroni del vapore aspirano alla distruzione, alla disgregazione della famiglia, prima forma di comunità. Malgrado quanto di cui cerchino di convincerci i fanatici  dell’individualismo noi tutti nasciamo in comunità e l’individuo ne è parte integrante e può riconoscersi tale solo all’interno di un processo di soggettivazione la cui base è sempre e comunque comunitaria.

Torniamo al discorso iniziale, credere nella famiglia tradizionale non si traduce necessariamente in omofobia, io sono fermamente convinto che la famiglia esista e vada tutelata ma anche altrettanto convinto che le coppie gay godano del diritto di esistere e di quello di instaurare rapporti in forme legalmente tutelate. La mia visione mi porta a pensare che questa falsa opposizione sia figlia del pensiero capitalista il quale mira a dividere per comandare. Il gioco è semplice e lineare, l’omofobia e la distruzione della famiglia in nome della lotta all’omofobia risultano le due facce della stessa moneta coniata sotto il segno dell’integralismo economico: il primo consiste nella turpe violenza contro l’omosessuale; il secondo nella non meno indecente violenza ai danni della famiglia tradizionale in nome della difesa dell’omosessuale.

Da sempre sono convinto che una terza soluzione esista a dispetto di una situazione che paia prefigurarne soltanto due; io riconosco serenamente la possibilità dell’esistenza della famiglia tradizionale congiuntamente alla piena legittimità del rapporto omosessuale, questo aldilà dei diktat delle tifoserie di parte.
Chi tra i giovani o i portatori di molte più primavere protesta contro la famiglia perché si ritrova nella difficoltà di farne o mantenerne una deve rendersi conto di stare interpretando la parte delle pedine nel gioco proposto dal capitale il quale nel nome della flessibilità e della precarietà, sta distruggendo la famiglia come luogo della stabilità affettiva e sentimentale. Lo stesso discorso vale per chi si conforma nell’omofobia che va comunque ad opporsi ad una forma di amore e socializzazione che ha tutto il diritto di avere spazio nella comunità.

Più delicato e sicuramente pericoloso discutere il pensiero che vuole condurre all’assegnazione di figli a coppie gay, qui uscire dalla logica del tertium non datur mi appare decisamente (almeno a livello personale) più difficile. Come rispondevo all’amica citata qui sopra sono anche convinto che la natura ha un proprio senso compiuto. La famiglia con figli (non strettamente intesa in senso religioso, ma anche quale coppia di fatto) è formata da un uomo, una donna e dai figli procreati; se la natura ha disposto questo come assetto naturale, questo è l'assetto sostenibile, non solo per un discorso biologico, ma anche perché un papà non sarà mai sostituito da una papina ed una mamma non sarà mai sostituita da mammo; queste sostituzioni risultano a mio avviso delle semplici surroghe con i limiti e le difficoltà che ne conseguono tanto per i genitori che per i figli.

Giorgio Bargna