Continuiamo a scorrere il capitolo "fondamenti", del cartello politico del movimento "La Nuova Destra",
sempre attraverso quanto ho trovato, scritto da Alain de Benoist e Charles Champetier su
"DIORAMA LETTERARIO" - Numero 229-230 (ottobre-novembre 1999)
7. La tecnica: mobilitazione del mondo
La tecnica accompagna l’uomo sin dalle origini:
l’assenza di specifiche difese naturali, la deprogrammazione dei nostri istinti
e lo sviluppo delle nostre capacità cognitive vanno di pari passo con una
crescente trasformazione del nostro ambiente. Ma la tecnica è stata per lungo
tempo regolata da imperativi non tecnici: necessaria armonia tra l’uomo, la
città e il cosmo, rispetto della natura come dimora dell’Essere, sottomissione
della potenza (prometeica) alla saggezza (olimpica), ripudio dell’hybris,
preoccupazione per la qualità piuttosto che per la produttività, e così via.
L’esplosione tecnica della modernità si spiega con la scomparsa di queste
codificazioni etiche, simboliche o religiose. Affonda le sue lontane radici
nell’imperativo biblico "Riempite la Terra e dominatela" (Genesi),
che Cartesio farà suo due millenni dopo invitando l’uomo a "rendersi
signore e possessore della natura". La cesura dualista teocentrica tra
l’essere increato e il mondo creato si è in tal modo trasformata in cesura
dualista antropocentrica tra il soggetto e l’oggetto, in cui il secondo è
offerto senza riserve al dominio del primo. La modernità ha inoltre
assoggettato la scienza (contemplativa) alla tecnica (operativa), dando così vita
alla "tecnoscienza" integrata, la cui unica ragion d’essere è una
trasformazione sempre più accelerata del mondo. Nel solo XX secolo, il nostro
modo di vita ha conosciuto più sconvolgimenti che nei quindicimila anni che lo
hanno preceduto. Per la prima volta nella storia dell’umanità, ogni nuova
generazione deve integrarsi in un mondo che quella precedente non ha
sperimentato. La tecnica si sviluppa per sua stessa natura come un sistema
autonomo: ogni nuova scoperta viene immediatamente assorbita nella potenza
globale di operatività che contribuisce a rendere più complessa e a rafforzare.
Il recente sviluppo delle tecnologie di stoccaggio e circolazione
dell’informazione (cibernetica, informatica) accelera a una velocità prodigiosa
questa integrazione sistemica, di cui Internet è l’esempio più conosciuto:
questa rete non ha né centro decisionale né controllo di ingresso e uscita, ma
mantiene e accresce di continuo l’interazione fra i milioni di terminali che le
sono collegati. La tecnica non è neutra, ma obbedisce a un certo numero di
valori che ne guidano il corso: operatività, efficacia, efficienza. Il suo
assioma è semplice: tutto quello che è possibile può essere e sarà
effettivamente realizzato, essendo inteso che solo un sovrappiù di tecnica
potrà rimediare ai difetti dell’attuazione delle tecniche già esistenti. La
politica, la morale, il diritto vengono soltanto dopo,per giudicare gli effetti
desiderabili o indesiderabili dell’innovazione. La natura cumulativa del
progresso tecnoscientifico – che conosce stagnazioni, ma mai regressione – ha a
lungo confortato l’ideologia del progresso, certificando l’accrescimento dei
poteri dell’uomo sulla natura e riducendo i rischi e le incertezze. La tecnica
ha così dato all’umanità nuovi mezzi di esistenza, ma nel contempo gli ha fatto
perdere le ragioni per vivere, dal momento che il futuro sembra dipendere
unicamente dall’indefinita estensione del dominio razionale del mondo.
L’impoverimento che ne risulta viene sempre più nettamente percepito come la
scomparsa di una vita autenticamente umana sulla Terra. Dopo aver esplorato
l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, la tecnoscienza inizia adesso
a dominare lo stesso uomo, soggetto e nel contempo oggetto delle proprie
manipolazioni (clonazione, procreazione artificiale, schedatura genetica,
ecc.). L’uomo diventa il semplice prolungamento degli strumenti che ha creato,
adottando una mentalità tecnomorfa che ne aumenta la vulnerabilità. Tecnofobia
e tecnofilia sono due atteggiamenti inaccettabili. La conoscenza e le sue
applicazioni non sono biasimevoli in sé, ma l’innovazione non può valere per il
solo fatto della sua novità. Contro il riduzionismo scientista, il positivismo
arrogante e l’oscurantismo ottuso, è importante subordinare lo sviluppo tecnico
alle nostre scelte sociali, etiche e politiche, nonché alle nostre aspettative
(principio di prudenza), e reinserirlo nella simbologia di una visione del
mondo come pluriverso e continuum.
8. Il mondo: un pluriverso
La diversità è implicita nel movimento stesso
della vita, che evolve in maniera sfuggente, facendosi più complessa. La
pluralità e la varietà delle razze, delle etnie, delle lingue, delle abitudini
o delle religioni caratterizza lo sviluppo dell’umanità sin dalle origini. Di
fronte a questo fatto, si manifestano due atteggiamenti opposti. Per gli uni,
questa diversità bioculturale è un fardello e bisogna sempre ed ovunque ridurre
gli uomini a ciò che hanno in comune, il che non manca di comportare, per
reazione, tutta una serie di effetti perversi. Per gli altri, fra i quali ci
iscriviamo, le differenze sono ricchezze che è opportuno difendere e coltivare.
La Nuova Destra manifesta una profonda avversione per l’indifferenziato. Essa
ritiene che un buon sistema è quello che trasmette perlomeno tante differenze
quante ne ha ricevute. La vera ricchezza del mondo consiste prima di tutto
nella diversità delle culture e dei popoli. La conversione dell’Occidente
all’universalismo è stata la causa principale della sua volontà di convertire a
sua vita il resto del mondo, un tempo alla sua religione (crociate), ieri ai
suoi principii politici (colonialismo), oggi al suo modello economico e sociale
(sviluppo) o ai suoi principii morali (diritti dell’uomo). Intrapresa sotto
l’egida dei missionari, dei militari e dei mercanti, l’occidentalizzazione del
pianeta ha rappresentato un movimento imperialista alimentato dal desiderio di
cancellare qualsiasi alterità imponendo al mondo un modello di umanità
pretesamente superiore, invariabilmente presentato come "progresso".
In questo quadro, l’universalismo omogeneizzante non era altro che la
proiezione e la maschera di un etnocentrismo allargato alle dimensioni del
pianeta. Questa occidentalizzazione-globalizzazione ha modificato la maniera in
cui intendiamo il mondo. Le tribù primitive si definivano "gli
uomini", lasciando intendere di considerarsi le uniche rappresentanti
della propria specie. Un romano e un cinese, un russo e un inca potevano vivere
nella medesima epoca senza avere consapevolezza della reciproca esistenza. Quei
tempi sono finiti: a causa della smisurata pretesa dell’Occidente di rendere il
mondo interamente presente a se stesso, viviamo in una nuova epoca nella quale
le differenze etniche, storiche, linguistiche o culturali coesistono nella
piena consapevolezza della loro identità e dell’alterità che la riflette. Per
la prima volta nella storia, il mondo è un pluriverso, un ordine multipolare
nel quale grandi insiemi culturali si trovano messi a confronto l’uno con
l’altro in una temporalità planetaria condivisa, vale a dire in tempo zero.
Tuttavia, la modernizzazione si distacca a poco a poco
dall’occidentalizzazione: nuove civiltà accedono ai moderni strumenti della
potenza e della conoscenza, senza per questo rinnegare le loro eredità storiche
e culturali a profitto dei valori o delle ideologie occidentali. L’idea secondo
cui potremmo giungere alla "fine della storia", caratterizzata dal
trionfo planetario della razionalità mercantile, generalizzando il modo di vita
e le forme politiche dell’Occidente liberale, è falsa. Stiamo viceversa vivendo
l’emergere di un nuovo "nomos della Terra", un nuovo ordinamento
delle relazioni internazionali. L’Antichità e il Medioevo avevano visto
svilupparsi in modo ineguale grandi civiltà autarchiche. Il Rinascimento e l’Età
classica furono segnati dall’emergere e dal consolidarsi degli Stati nazionali
in concorrenza tra loro per il dominio dell’Europa e poi del mondo. Il XX
secolo ha visto disegnarsi un ordine bipolare nel quale si affrontavano il
liberalismo e il marxismo, la potenza talassocratica americana e la potenza
continentale sovietica. Il XXI secolo sarà segnato dall’avvento di un mondo
multipolare articolato attorno a civiltà emergenti: l’europea, la
nordamericana, l’iberoamericana, l’arabo-musulmana, la cinese, l’indiana, la
giapponese e così via. Queste civiltà non sopprimeranno i vecchi radicamenti
locali, tribali, provinciali o nazionali; in compenso si imporranno come la
forma collettiva ultima nella quale gli individui potranno identificarsi al di
qua della loro comune umanità. Esse saranno probabilmente chiamate a
collaborare in taluni ambiti per difendere i beni comuni dell’umanità, in
particolare quelli ecologici. In un mondo multipolare, la potenza si definisce
come capacità di resistere all’influenza degli altri piuttosto che di imporre
la propria. Il nemico principale di questo pluriverso di grandi insiemi
autocentrici è ogni civiltà che si pretende universale, si crede investita di
una missione redentrice e vuole imporre il proprio modello a tutte le altre.