domenica 6 novembre 2022

L'Europa dei Popoli quale rimedio ai danni della Globalizzazione


 Non potrò essere breve nel cercare di illustrare la necessità di un autonomia fiscale ed economica quale contrappeso alla fine (o comunque alla staticità) del sistema capitalistico.

In stretti termini economici il Capitalismo sarebbe un sistema supportato da Partite IVA e Codici Fiscali che possedendo mezzi produttivi genera un profitto attraverso la vendita diretta o indiretta ad acquirenti degli stessi. Questo genera l'economia di mercato, contrapposta allo Statalismo. 

Politicamente invece, si intende definire quegli ordinamenti statuali che pongono il "capitale" al centro della tutela costituzionale. Negli anni, nei secoli e nelle varie tesi se ne è data una molteplice definizione, ma sostanzialmente possiamo sicuramente affermare che si tratta del sistema economico in cui i beni capitali appartengono a privati individui; o perlomeno questo è quanto ci hanno venduto e ci stanno "vendendo".

Sostenitori e detrattori, nell'epoca attuale vivono volenti o nolenti il capitalismo e, credo, sia intuibile per tutti che esso sia il  continuo tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita  a discapito di altri soggetti o di altre comunità. Non è cattiveria del genere umano, ma il naturale sviluppo di questo sistema sociopolitico/culturale, il quale, tra l'altro ha portato alla nascita di un altro fenomeno, la Globalizzazione, il fenomeno creato grazie all'intensificazione degli scambi economico-commerciali e degli investimenti internazionali su scala mondiale che, come "effetti collaterali", ha generato interdipendenze sociali, culturali, politiche, tecnologiche e sanitarie i cui effetti positivi e negativi andrebbero ben analizzati.

Tra quelli positivi potremmo allocare  la velocità delle comunicazioni e della circolazione di informazioni, l'opportunità di crescita economica per nazioni a lungo rimaste ai margini dello sviluppo economico mondiale. Tra i negativi lo sfruttamento, il degrado ambientale, il rischio dell'aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, l'aumento del potere di aziende economiche multinazionali a discapito delle sovranità nazionali e dell'autonomia delle economie locali. E questi ultimi aspetti politici interessano noi autonomisti.

A livello economico istituzioni quale la Banca Mondiale, la BCE, i Governi Occidentali ritengono che la globalizzazione abbia portato ad una maggiore crescita a livello globale, migliorando l'economia e le condizioni sociali dei paesi in via di sviluppo; molte organizzazioni non governative invece asseriscono che la globalizzazione sia legata ad un aumento delle disuguaglianze mondiali e, in alcuni casi, della povertà. Forse hanno ragione entrambe le fazioni, oppure entrambe potrebbero avere preso abbagli.

Io personalmente ritengo (e credo debba essere così per ogni autonomista che si rispetti) che si riscontri nella globalizzazione la diminuzione dell’autorità dello Stato-nazione, l'aumento del divario tra ricchi e poveri tra nazioni e dentro ogni nazione, la frammentazione culturale, l'assenza di confine (creando spaesamento), l'aumento di conflitti tra culture diverse e dei fondamentalismi. 

Sicuramente abbiamo vissuto un "americanizzazione", una sorta monocultura umana. Questo processo ha distrutto le identità culturali, dominate da una cultura consumistica, omologata e occidentalizzata. 

Fatto questo sunto, politicamente parlando, il capitalismo e soprattutto la globalizzazione oltre a minare la stabilità mondiale ha distrutto il "locale" ed ogni sua forma identitaria, sia economica che sociale.

Economicamente invece questa struttura, sorretta da fonti energetiche, per le quali quotidianamente si combattono guerre, fatica a stare in piedi ultimamente e questo influisce sulle economie degli stati nazionali, i quali si trovano sempre più poveri venendo a mancare ogni giorno di più il gettito fiscale a causa delle difficoltà riscontrate proprio da quelle partite IVA e codici fiscali citati all'inizio. Lo Stato pensa ovviamente prima a sostenere il proprio apparato e quindi ai territori locali e ai cittadini sono riservate solo le briciole accompagnate quotidianamente da nuovi balzelli.

L'autonomia locale ovviamente non è l'unica soluzione per svincolarsi dai danni che subiamo noi cittadini, ma è una buona contrapposizione che da nord a sud dovrebbe essere attuata, ma nord e sud d'Europa, quell'Europa dei Popoli che ridarebbe speranza e fiducia ai suoi abitanti.

Giorgio Bargna

lunedì 25 aprile 2022

Il vero 25 Aprile degli Ucraini

Mi duole molto vedere associata la lotta al Nazismo con la guerra in atto in Ucraina.

Ovviamente ci sono nefandezze in corso, come in ogni guerra, Putin non nè un santo, come non lo è Volodymyr Zelens'kyj, ma da qui a rincorrere il nazismo c'è un mondo in mezzo.

La liberazione del popolo ucraino è di tutt'altra fattura, il nazismo di cui sono vittime si chiama politica economica internazionale, gli attori sono la Russia, la Nato in rappresentanza dei Governi occidentali, l'Unione Europea, la Cina (pur restando apparentemente in disparte), la parte ucraina rappresentata da Zelens'kyj, il quale si permette di dettare lui stesso gli interventi che l'Occidente dovrebbe fare in favore dell'Ucraina in questo momento.

Approfondiamo, quella che si sta giocando sulle spalle dell'Ucraina è una partita molto più ampia che riguarda le relazioni tra Mosca e l'Occidente, in particolare gli Stati Uniti. 

Traggo spunto da qui .

L'Ucraina storicamente, sia nel tempo dell'Impero che in quello della Repubblica, è stata "russa" e ha ottenuto l'indipendenza nel 1991 in seguito alla dissoluzione dell'Urss, e non ha caso Vladimir Putin ha sottolineato spesso l'unità storica tra Russia e Ucraina. Ma non è certo questa la causa del conflitto in corso.

Intanto cosa non vorrebbe Putin.


Che l'Ucraina entri a far parte della Nato, nell'Alleanza Atlantica dove dopo il 1997, hanno aderito Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Romania e Bulgaria. 

Sia l'Ucraina che la Georgia, due Stati ex sovietici, ottennero nel 2008 l'impegno formale che un giorno sarebbero entrati nel club. Ed entrambi i Paesi hanno cominciato a virare sempre più verso l'Occidente, sia dal punto di vista politico che da quello economico.

Noi tendiamo a condannare la Russia per alcune sue ingerenze, ma bisogna riconoscere che anche il "Mondo Occidentale"non è estraneo a questa pratica, ingerenze sicuramente più all'acqua di rose, le abbiamo viste in Ucraina, Georgia, Kirghizistan, Azerbaigian, Bielorussia e Mongolia. Che abbia ragione o torto, Mosca non può permettersi che eventi come quelli accadano ancora.

Poi ovviamente c'è la questione del gas. Mosca e Washington puntano entrambi ad aumentare o almeno mantenere le loro fette di mercato in Ue. Storicamente la Russia mandava i suo gas in Europa attraverso proprio l'Ucraina, pagando alte commissioni di transito a Kiev, e in maniera minore da Bielorussia e Polonia, ma il futuro è ovviamente il Nord Stream, che adesso potrebbe presto inaugurare anche una seconda conduttura. La Russia fornisce tra il 40% e il 50% del consumo di gas in Europa, circa 200 miliardi di metri cubi. Nord Stream 1 ha una capacità di 55 miliardi di metri cubi e quando il 2 verrà finalmente completato questa capacità raddoppierà. Ma anche gli Usa che ci vendono il loro Gas naturale liquefatto, che arriva su navi attraverso speciali terminali presenti in tutti gli Stati membri con accesso al mare. Le importazioni di Gnl dagli Stati Uniti sono aumentate notevolmente dalla prima spedizione avvenuta nell'aprile 2016. I dati mostrano che nel 2021 queste esportazioni hanno registrato il volume più alto, raggiungendo oltre 22 miliardi di metri cubi, con un valore stimato di 12 miliardi di euro. Non è un caso che Washington sia tanto contraria al gasdotto della Gazprom.

Un resoconto, invece, della parte pratica degli albori della guerra lo lascio qui, traendo spunto da un articolo pubblicato qui

La guerra in Ucraina non è scoppiata il 24 febbraio 2022, ma il 20 febbraio 2014, quando la guarnigione russa della base di Sebastopoli è uscita dalle caserme ed è entrata in territorio ucraino in Crimea. 

Di fatto nessun altro Stato ha riconosciuto l'annessione, ma tutti hanno tollerato e lasciato che fosse, anche perchè la Russia è membro del Cosiglio di Sicurezza dell'ONU e perchè in fondo in fondo Putin faceva comodo a molti, poco conta che questo conflitto creò morti e profughi.

Un paio di mesi iniziò l’insurrezione nel Donbass che fu quantomeno sostenuta dai russi e per questo la narrazione ufficiale ucraina parla di “invasione” più che di un’insurrezione spontanea. Fu un successo parziale, fallì in sei delle otto regioni in cui scoppiò. Solo Donetsk e Lugansk rimasero nelle mani dei separatisti che, l’11 maggio 2014, proclamarono l’indipendenza a seguito di un altro referendum effettuato dalle autorità separatiste senza la presenza di osservatori internazionali riconosciuti. Nella prima fase della guerra del Donbass, che ebbe il culmine fra il giugno e l’agosto del 2014, l’esercito ucraino e i battaglioni di volontari al suo fianco presero lentamente il sopravvento, riconquistando il porto di Mariupol, le città di Sloviansk, Kramatorsk e Debaltseve, arrivando fino alla periferia di Shakhtarsk, sulla strada che collega Donetsk a Lugansk. Dopo una serie di offensive e controffensive la situazione si stabilizzò in settembre, con la riconquista di circa il 50% del territorio degli oblast di Lugansk e Donetsk. La battaglia vera e propria si concluse con gli accordi di Minsk, con la mediazione dell’Osce e la partecipazione diretta di Germania e Francia, il 5 settembre. Fra i 12 punti dell’accordo si stabiliva il riconoscimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina in cambio di uno statuto speciale per Lugansk e Donetsk, previo il ritiro delle truppe al di là di una fascia di sicurezza, il tutto monitorato da osservatori dell’Osce. L’accordo saltò in novembre, quando i separatisti, ulteriormente rafforzatisi, sferrarono un nuovo attacco.

In questa ultima fase del conflitto, fra il settembre 2014 e il febbraio 2015, i separatisti assediarono i regolari ucraini nell’aeroporto Sergej Prokofiev di Donetsk e puntarono alla riconquista di Debaltseve, per appiattire il suo saliente e mettere in sicurezza le due capitali del Donbass. L’aeroporto cadde in mani separatiste (e russe) solo il 21 gennaio 2015, dopo quasi quattro mesi di assedio. Entro la prima settimana di febbraio, i separatisti riconquistarono anche Debaltseve ponendo fine a questa fase della controffensiva. L’11 febbraio vennero raggiunti i secondi accordi di Minsk (Minsk 2) che riproponevano lo stesso formato.

I mesi dall’aprile del 2014 al febbraio del 2015 hanno lasciato cicatrici indelebili e creato miti. Una guerra compiuta da milizie irregolari, in un periodo di disfacimento dell’esercito regolare è un ambiente sicuro per criminali. I russi denunciano i bombardamenti indiscriminati, oltre a massacri del Battaglione Azov, formato da volontari di estrema destra non solo ucraini. Gli ucraini denunciano la tortura e l’uccisione di prigionieri da parte dei separatisti, il ritrovamento di fosse comuni piene di corpi dei civili trucidati, i crimini commessi dai volontari ceceni e russi. La guerra ha anche creato miti guerrieri, come la resistenza dell’aeroporto di Donetsk, difeso dai “cyborg” ucraini, tuttora esempio per i militari ucraini che stanno combattendo contro i russi.

Finita la battaglia, comunque, non è mai finita la guerra. L’Ucraina non accettò mai la riforma costituzionale che avrebbe garantito lo statuto speciale alle due nuove repubbliche autoproclamate, perché i separatisti non si sono mai ritirati e i russi non hanno mai ammesso la presenza di loro truppe sul terreno. Dopo l’11 febbraio, il conflitto è stato “congelato”: nessuna operazione militare, ma sporadiche azioni con armi leggere. In alcuni casi, sono entrate in azione anche le artiglierie. Mai si è raggiunta di nuovo la violenza del conflitto del 2014-15. Le repubbliche di Donetsk e Lugansk, governate dai separatisti, sono diventate dei buchi neri della storia d’Europa, come i casi analoghi di Transnistria, Abkhazia e Ossezia, repubbliche riconosciute dalla sola Russia.

Il costo umano di questa guerra invisibile è immenso. Gli ucraini dichiarato 4.641 caduti fra i propri militari, i separatisti dichiarano 5.772 caduti fra i loro miliziani. I civili uccisi sono 3.393 secondo l’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite. I profughi del Donbass fuggiti in Russia sono 800mila. Gli sfollati interni in Ucraina circa un milione. Fonti russe parlano di decine di migliaia di vittime civile ed ora, a giustificazione per l’invasione dell’Ucraina, parlano di “genocidio” in Donbass. Tuttavia non è chiaro come mai, per otto anni, la Russia, che è membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non abbia mai accusato il governo ucraino di genocidio e non abbia chiesto, quantomeno, di aprire un’indagine o di inviare una forza di pace.