giovedì 3 dicembre 2015

Auguri di cuore

Ciao, Classe Dirigente Autoreferenziata, volevo farti gli auguri, con un certo anticipo.
 

Tu sei entrata nelle nostre vite, perlomeno i quelle dei nostri genitori tanti, ma tanti anni fa, per poi coinvolgere anche noi. A quel tempo il tuo esiguo numero di compartecipanti non poteva far pensare quanto ci saresti costata in questi anni.
 

Col tempo quasi nessuno tra quelli saliti su carrozzone è sceso, rimanendo ogni volta a far buona compagnia ai nuovi arrivati; nuovi ruoli, nuove mansioni si inventano facilmente.
Poi pian piano ti sei organizzata ed hai fatto assumere tante persone all'interno delle tue aziende, hai fatto sottoscrivere tante tessere, hai aiutato molti in situazione di disagio, ed altrettanti che non lo erano per natura, a trovare un reddito. Col tempo hai imparato che un favore non lo si nega a nessuno e viene sempre ricordato.
 

Nulla di illegale, si intende, ma sei diventata una macchina ingestibile ed ingorda.
 

Ed allora hai dovuto passare da una tassazione financo troppo allegra, che ha permesso di far diventare un paese una potenza mondiale, ad una tassazzione pesante, spocchiosa, insostenibile fatta da mille sigle e siglette che identificavano ogni nuova tassa o pratica burocratica che stava minando il nostro tessuto sociale ed il futuro nostro, dei nostri figli, dei nostri nipoti.

Oh, sempre nulla di illegale si intende, ma hai svuotato le nostre tasche ed ucciso la nostra economia, il nostro futuro, le nostre speranze, il nostro orgoglio del fare e saper fare.


Molti parlano male di te, parlano di malaffare...io mi limito a quanto dice la magistratura, poi ognuno si fa la propria idea. Una cosa però è certa, quando un paio di anni fa mi candidai come Consigliere Comunale, magari tra il serio ed il faceto eravamo più sul faceto, più d'uno mi disse "cosa offri per un voto"; non posso certo affermare che sia colpa tua cara C.D.A., ma di certo non è colpa mia, tantevvero che come candidato consigliere comunale ho raccolto otto voti, compresi quelli di "mammà e mogliera".
 

Volevo farti gli auguri di un buon Natale cara la mia C.D.A., tu probabilmente indosserai cachemire o modelli dell'ultima moda...io il maglione di quattro anni fa.
Tu probabilmente cenerai nei locali più in, io magari comprerò gli ingredienti della caponata nei discount.
Una cosa è certa però, io gli auguri agli amici potrò farli fiero a testa alta e gonfio della mia dignità...tu sei sicura che potrai fare altrettanto?
 

Tanti auguri di buon Natale dal suddito Giorgio Bargna.

giovedì 26 novembre 2015

Edulcorazione

Non ho mai sopportato il "politicamente corretto" ed i "radical chic", sono il risultato ed i promotori primi di un mondo dorato che chiude in gabbia il futuro.

Come spesso è successo in passato prendo spunto dal pensiero di Alain de Benoist, concordo con lui sui risultati dell'evoluzione del messaggio e del fine che la società degli ultimi decenni ha cercato di inculcarci per renderci dei perfetti beoti.

Scriveva il filosofo francese: "Uno dei connotati caratteristici dell’ 'impero del bene' è quell’invasione del campo politico da parte del lacrimevole e del compassionevole che fa sì che alla minima catastrofe che abbia una portata mediatica i ministri ormai si precipitano per esprimere la loro 'emozione' ".
L’evoluzione del linguaggio è significativa, decisiva, indirizzante.

Oggi si preferisce parlare di “fratture sociali” anziché di conflitti sociali.
Guai oggi a parlare di sfruttati, sarebbe automatico il rimando al sistema capitalista, sono più comodi, accattivanti e rilassanti termini quali “diseredati”, “esclusi”, “sfavoriti”, “più bisognosi”. Scriveva de Benoist: "Anche il concetto di 'lotta-contro-tutte-lediscriminazioni', del resto, è stato sostituito da quello di 'lotta contro le ineguaglianza', che la lottadi classe ancora evocava".
E proseguendo: "In 1984, George Orwell spiegava molto bene che lo scopo della 'neolingua' è 'restringere i limiti del pensiero'. Alla fine, renderemo impossibile il crimine attraverso il pensiero, perché non ci saranno più parole per esprimerlo. Il politicamente corretto funziona come la 'neolingua' orwelliana.

L’utilizzazione di parole dal senso dirottato, di termini deviati, di neologismi obliqui, dipende dalla più classica delle tecniche di sbigottimento. Per disarmare il pensiero critico, bisogna sbalordire le coscienze e sgomentare le menti".

Ha subito un lifting anche la morale; la vecchia morale fondava la propria purezza sulle regole individuali di comportamento: si riteneva che la società trovasse giovamento dall'azione benevola e impegnata degli individui che la componevano. La morale destinata ai beoti è affine alla moralizzazione della stessa società.

Riprendiamo ancora le parole del pensatore francese: "La vecchia morale diceva alle persone quel che dovevano fare, la nuova morale descrive quel che la società deve diventare. Non sono più gli individui a doversi comportare in modo corretto, ma la società a dover essere più 'giusta'. La vecchia morale era orientata al bene, mentre quella nuova è orientata al giusto".

Sostanzialmente, senza pubblicizzarlo, le società moderne aderiscono a questa morale "innovativa", fondata sul dover essere (il mondo deve diventare qualcosa di diverso da ciò che è stato sinora).

Non ho mai affrontato per quieto vivere fino ad oggi la teoria del genere; una teoria che pretende di sconnettere radicalmente l’identità sessuale dal sesso biologico.

Qui nulla può descrivere meglio del testo debenoistiano la situazione: "Questa teoria poggia su un postulato di 'neutralità' dell’appartenenza sessuale alla nascita: basterebbe allevare un bambino come una ragazza per farne una donna o allevare una bambina come un ragazzo per farne un uomo. Chi è di parere diverso viene accusato di propagare degli 'stereotipi' (si dimentica che uno stereotipo è soltanto una verità empirica abusivamente generalizzata). Questa teoria ha l’effetto di confondere i due sessi e di rendere più difficile a ciascuno di essi farsi carico della propria identità. Nei fatti, la teoria del genere è insostenibile. Non soltanto il suo postulato di una 'neutralità sessuale' originaria non corrisponde alla realtà, ma si constata che l’appartenenza sessuata favorisce sin dalla primissima infanzia, prima di ogni condizionamento, comportamenti specifici a ciascun sesso. Ciò non significa che le costruzioni sociali non svolgano alcun ruolo nella definizione dell’identità sessuale, ma che queste costruzioni sociali si sviluppano sempre a partire da una base
anatomica e fisiologica. La teoria del genere confonde peraltro il sesso biologico, il genere (maschile o femminile), l’orientamento sessuale e quello che si potrebbe chiamare sesso psicologico (il fatto che un certo numero di donne hanno tratti caratteriali maschili e un certo numero di uomini
tratti caratteriali femminili). Poggiando sull’idea che ci si possa creare da soli a partire dal nulla, in fin dei conti essa discende da una semplice fantasticheria di auto-generazione. Bisogna però prenderla molto sul serio. Nei prossimi anni, è facendo riferimento ad essa che vedremo
moltiplicarsi all’infinito le accuse di 'sessismo'. "

La standardizzazione procede spedita nella propria marcia, qualcuno però le tende lo sgambetto, più gambe si intraversano, prima ci liberiamo.

Giorgio Bargna

domenica 15 novembre 2015

Qual'è il mondo migliore?

Ieri sera, un po’ di getto, ma con convinzione, ho aggiornato il mio stato su Facebook; la frase incriminabile era questa:
Forse più che usare foto celebrative conviene impegnarsi per un mondo migliore, sarà difficile che finiscano le morti se c'è un dislivello della qualità della vita così ampio e se l'economia regna sovrana”.

Una frase concisa che contiene ragionamenti molto più ampi, una frase che in momenti più sereni viene letta per quello che è da chi ha voglia di guardare verso il mondo, in attimi di tensione come questi magari crea discussione.

Premetto che al tempo di Charlie Hebdo pur cercando di restare sull’analisi anch’io mi sono fatto contaminare dalle matite spezzate, sarà comunità, sarà solidarietà, saranno anche belle cose, ma temo che esporre la bandiera francese serva proprio a nulla in termini concreti…in verità probabilmente, nella concretezza,  non serve a molto neppure leggere o scrivere analisi politiche, però almeno possiamo farci sopra dei ragionamenti.

Preciso per chiarezza che non difendo il terrorismo e tanto meno chi si fa bandiera della religione per far le guerre che si tratti di fondamentalisti islamici tipo ISIS o cristiani di stampo balcanico.

Ma non voglio neppure fare un analisi sulla situazione attuale, intesa come il fatto di cronaca in se stesso, ma prendo punto da alcuni commenti lasciati sullo stato Facebook per spaziare un attimo e rispondere ad alcuni; lo spunto me lo ha dato il primo commento di un’amica francese su cui si può discutere, che poi ha lasciato un secondo commento nello svilupparsi della discussione con altri amici che da il polso della situazione, seguito da un terzo a cui una risposta va data.

Nel secondo commento Lilian dice “Vogliono il loro mondo nel nostro mondo e questo non lo accettiamo”, se questa frase l’avesse pronunciata un equadoregno non mi avrebbe toccato, ma pronunciata da un francese cambia significato, la Francia ha colonizzato paesi in ogni continente del mondo, si sono mai chiesti se gli autoctoni ne fossero felici? Temo di no!

Nel terzo commento punta il dito: “Quando ammazzeranno i vostri figli cambierete discorso”.

L’Italia è certamente un paese strano, probabilmente privo di una vera base identitaria, ma il terrorismo, le stragi, i morti, il pianto li conosce bene. Conosce i morti per i muri di gomma, per le stragi politiche, per le stragi mafiose, per le stragi in paesi di guerra sebbene non sia certo la nostra nazione il primo beneficiario dei beni sottratti ad altri paesi. L’Italia in un modo o nell’altro si è sempre risvegliata ed ha sempre reagito alle stragi, nessuno venga ad insegnarci qualcosa in merito.

Però avevo deciso di scrivere questo articolo alla pubblicazione del primo commento di Lilian ed in seguito ad altri. Agli altri sarebbe semplice rispondere ma sono argomenti da botta e risposta, dove ognuno dice quello che pensa, Lilian invece fa un’osservazione pesante: “Noi facciamo di tutto per un mondo migliore ma loro non lo vogliono. Vogliono il "loro" mondo”.

Nel botta e risposta ci starebbe alla grande la risposta di Giorgio Masocco: “Il loro mondo sono le praterie afgane, irachene, pachistano, palestinesi, in balia di droni francesi, americani, inglesi, israeliani, che gli sterminato interi villaggi, ospedali di MSF, dove con licenza di uccidere ammazzano, gli occidentali. Inermi madri e bambini. C' est la vie, come dite voi.

Però io voglio provare a confrontare due mondi per un attimo e chiedermi:
E’ meglio un mondo dove si muore per un mal di denti o quello dove hai quintali di medicinali, ma muori di tumore per la carne che mangi o per quello che respiri al lavoro?

E’ meglio un mondo dove per ignoranza o intelligenza (non sta a me stabilirlo) segui delle regole arcaiche o un mondo dove credi di essere libero ed invece devi alzarti la mattina per andare a lavorare in modo di potere pagare le rate dell’auto che ti porta a lavorare e dove sei schiavo del consumismo che ti lega al denaro obbligandoti a compromessi meschini?

Fatto salvo che tanto in un mondo che nell’altro chi si fa largo col terrorismo rappresenta solo la parte estremista di quel tessuto e chi (come dice Giorgio) usa i droni rappresenta solo l’élite dominate, viene difficile stabilire qual è il mondo migliore tra i due, soprattutto senza averli vissuti entrambi e non dico vissuti da turista o di passaggio, ma vivendoli quotidianamente per tempo.

Ragiono però guardando il mio modello di mondo, quel modello che si è imposto su altri grazie anche a grandi stermini, ricordiamo le Americhe ai tempi delle invasioni spagnole, tanto per citarne uno, quel modello che per sopravvivere ha distrutto l’ambiente e l’habitat naturale, un modello che se fosse applicato in ogni angolo del mondo avrebbe già creato una catastrofe naturale immane.

Io non so di preciso cosa dovrebbe fare chi vive nell’ “altro mondo”, so che io devo impegnarmi nel mio nel cercare di frenarlo e migliorarlo e so anche che se vado ad impormi altrove prima o poi qualcuno se la prende a male e reagisce, magari anche sovvenzionato dalla mia élite, e non devo lamentarmi troppo se per avere la casa calda d’inverno qualcuno paga con la pelle.

Ribadisco il concetto, aborro il terrorismo e le guerre, ma sono conseguenze dirette di un sistema che esiste, anche se in forma più lieve, dai tempi di Adamo ed Eva, ma che spero sia dismesso quando nasceranno i miei pronipoti.

Forse alla fine di queste pagine non siamo venuti a capo di nulla, fatene ciò che volete, conservatele nel diario oppure appallottolatele e buttatele nel cestino, l’importante è che facciate una piccola riflessione in merito.


Giorgio Bargna

domenica 25 ottobre 2015

Il manipolatore

A volte capita che io commenti di quanto scrivo anche in privato, con chi ha la forza di leggere i miei post, personalmente oppure via mail o similari.

Un’amica Facebook, diametralmente lontana dai miei pensieri politici ma affascinata da quelli filosofici, commentando positivamente il post “Self control”, dedicato ai provocatori, suggeriva di scrivere qualcosa anche su un argomento che definirei parecchio correlato: la manipolazione.

Tecnicamente potremmo dire che manipolare è il tentativo subdolo di influenzare indirettamente i comportamenti e le azioni di una persona approfittando anche di relazioni ed emozioni che interferiscono con la visione della realtà nascosta dietro i secondi fini.

La presenza di un manipolatore porta spesso a un deterioramento dei rapporti all'interno di una squadra, di una famiglia o di un gruppo di amici.

Individui del genere hanno l'abitudine di insinuare il sospetto, con l'obiettivo di seminare zizzania e di isolare.

In sostanza si tratta di orientare inconsapevolmente il comportamento delle  persone a vantaggio dei fini del manipolatore e viceversa a svantaggio di quelli del manipolato.

Varie possono essere le tecniche utilizzate e faranno spesso si che la vittima paghi in una perdita di fiducia in se stesso, in un senso di inadeguatezza e di inferiorità.

Il manipolatore colpevolizza, si deresponsabilizza, semina zizzania, sottovaluta, si “vittimizza”, cambia i propri atteggiamenti, è indifferente alle esigenze degli altri, fa leva sui sentimenti, sui rapporti, svaluta le persone, tende a screditare, nasconde sempre i suoi fini, “usa” gli altri e questi sono solo alcune dei modi di comportarsi dei manipolatori.

Stacchiamo un attimo, qui sotto vi lascio parte del pensiero dell’amica:
Credo che i manipolatori professionisti cerchino nella sostanza di ottenere potere sulla vittima . Credo anche che un manipolatore professionista debba sempre attuare tecniche più raffinate per ottenere lo scopo diventando anche una persona costruita e falsa. Da cosa è' mosso nel profondo? Come spesso accade, forse da un smisurato bisogno di riconoscimento, di amore? Potrebbe avere a che fare anche con una forma di narcisismo? In ogni caso lo immagino come una persona molto sola e triste. Poi ogni caso è ma quanto sarà consapevole? Magari non ho centrato nulla ma son quasi certa che il manipolatore sia una persona molto poco libera, così come il potenziale manipolabile”.

Lasciando a parte un approfondimento freudiano del manipolare e concentriamoci su alcune tecniche manipolatorie.

Esistono i casi in cui viene tirato in ballo il senso di colpa, che spingerà ad agire perché “dovresti”, non perché lo si vuole. Il manipolatore parte sempre da un presupposto falso, questa tattica manipolativa cerca di trasformare il tuo comportamento in quello che percepisce il manipolatore, nonostante la sua interpretazione non sia accurata.

Esistono i casi in cui il manipolatore si incarica di dirti quello che una terza persona crede sia la cosa giusta da fare, quindi si scrolla la responsabilità di dosso e la passa a te.

Un altro approccio si fonda sulla creazione di un litigio, così il provocatore finirà per far sentire male e in colpa la vittima rispetto alle sue parole e otterrà la sua empatia per poter ricominciare a manipolarlo. Non sono assenti neppure i casi di autocommiserazione: “Nessuno mi vuole bene, sono malato, sono una vittima, ecc.”.  Ogni tanto tutti usiamo queste frasi, ma il manipolatore le utilizza abitualmente.

Ognuno di noi certamente durante l’arco temporale della propria vita ha provato a manipolare qualcuno e questo è perdonabile se ridotto a caso isolato, ma ci sono anche i  manipolatori ad oltranza che si muovono oltre le ragioni, il buon senso ed il rispetto altrui; questi secondi vanno “sputtanati” ed isolati, sono alcune delle cellule tumorali della società.

Concludo questa breve considerazione lasciando alcune delle caratteristiche dei manipolatori, fatene buon uso.

Può essere egocentrico e autoritario, vanitoso e disinteressato delle esigenze altrui siano essi familiari, collaboratori o amici.

Si serve di principi morali per spingere le persone a fare o non fare determinate cose. Raggiunge i propri scopi a spese della vittima, anche utilizzando la menzogna. Le sue richieste non sono mai chiare, se gli è possibile non mette nulla per iscritto.

Il Nostro colpevolizza sempre gli altri, svaluta le persone, tende a screditare dichiarando sempre la propria estraneità a fatti sia pur essendone stato la mente.

Cambia spesso le proprie decisioni, comportamenti, sentimenti a seconda delle situazione, provando anche fare la vittima per inculcare un senso di colpa nell’altro e indurlo ad una azione, per poi fare discorsi compassionevole una volta che lo scopo e stato raggiunto.

Il Nostro spesso utilizza parole allarmanti, sfrutta quei principi morali, che non rispetta, per fare agire o fare adottare le proprie decisioni. Usa spesso il ricatto come arma di persuasione, fa la vittima, responsabilizza, generalizza, colpevolizza.

E’ spesso costume del manipolatore esagerare un falso problema, cambiare il vero oggetto di disappunto, usare pretesti per attaccare una persona dichiarandosi vittima di avvenimenti secondo lui non prevedibili utilizzando la falsità un suo strumento principe.

Esso crea disagio, semina zizzania, non informa chiaramente, utilizzando spesso un intermediario in modo di poter negare successivamente ciò che è stato detto per suo conto.

Spesso il Nostro porta avanti dei discorsi contraddittori mutando le proprie opinioni in funzione delle situazioni o delle persone.

Quando effettua una richiesta atta ai suoi scopi aspetta l'ultimo momento per richiederla, mette fretta e fa richieste apparentemente semplici e in luoghi informali cercando anche magari di cambiare l'accordo all'ultimo momento.

Il manipolatore fa pesare agli altri la logica che devono essere perfetti, sapere tutto e rispondere alle richieste o domande immediatamente (in modo che la vittima non ha tempo per riflettere). Il Nostro mette in dubbio la qualità e le  competenze degli altri, li critica, umilia, giudica, spesso senza darlo a vedere ed alle spalle della vittima.

Il Nostro crea sospetti in modo da screditare la vittima, è capace altresì di fare la vittima per farsi commiserare, minaccia in modo velato o ricatta apertamente, evita se possibile appuntamenti, riunioni, o di mettere per iscritto decisioni, si circonda di persone bisognose, di cultura bassa, per sentirsi superiore o far credere la propria superiorità.

Il manipolatore spesso è geloso, non sopporta le critiche, nega spesso l'evidenza, i suoi discorsi sembrano logici ma le azioni e il suo stile di vita e al contrario, non ama la democrazia, cerca di controllare tutto e tutti, negando libertà espressione di pensiero.

Pensando di essermi già dilungato troppo, chiudo,
Giorgio Bargna 

mercoledì 21 ottobre 2015

Self control

Quando si parla di teoria, di ipotesi, di progetto essi sono in grado di dare il massimo, sono il meglio. In gara partono bene, fanno i primi giri in apnea battendo ogni record parziale, poi si spengono, si trasformano e non riescono più a dimostrare quanto valgono … si bloccano incapaci di dimostrare le loro eccellenti capacità. Sebbene lavorino giorno dopo giorno, quando giunge il fatale momento di dimostrare quanto valgono non ce la fanno, qualcosa glielo impedisce. A questo punto si ritrovano a guardare qualcuno dal basso verso l'alto, sentono le persone distanti e irraggiungibili, come se qualche forza oscura e impercepibile li trascinasse lontano da loro. Quando giocano in squadra lottano strenuamente per un traguardo comune, poi (errando) credono di ricevere un misero premio di consolazione. A questo punto non riescono più a rapportarsi con le persone con cui condividevano gli sforzi e “sballano”.

Alcuni di questi attori abbandonano il palcoscenico, appendono le scarpe al chiodo; altri subiscono trasformazioni che ricordano il Dottor Jekyl e Mr Hyde. Lo fanno spesso utilizzando in modo sbagliato il grande cervello di cui sono dotati, si trasformano in provocatori patentati.

Proviamo a descrivere in qualche riga questi patentati provocatori.

Certamente, grazie alle loro qualità intellettive, hanno l’abilità di esaltare il peggio dalle persone con cui si “relazionano”, sanno anche farle arrabbiare e sono in grado di irritarle (come nessun altro è capace), con loro riescono a creare discussioni e litigi dal nulla e sono insuperabili nel disorientarle e nel metterle in imbarazzo.

Il provocatore è una persona come tante altre, che può anche apparire mansueto e gentile, aperto e disponibile che però in alcuni momenti utilizza una modalità comunicativa finalizzata a colpire sul vivo l’interlocutore per vedere se e come reagisce.

Salvo rare eccezioni il provocatore agisce in modo consapevole e al contempo automatico, cioè identifica da tempo nella provocazione un “valore aggiunto”, uno strumento per affermarsi, ma anche fosse accidentalmente “maligno” agisce sempre in modo magistrale, riuscendo a tirare fuori dai gangheri anche le  persone dotate di notevole self-control e di ottima autostima, figuriamoci gli irascibili e coloro che l’autostima non l’anno mai vista nemmeno dipinta in cartolina.

Non esiste una vera prova del nove, ma spesso il provocatore pungola, spiazza, mette in difficoltà con l’intesa di volersi prendere un vantaggio nella relazione per gestirla come meglio gli aggrada ed anche con l’intesa di attirare attenzione e per uscire dall’anonimato o da una posizione defilata o comunque non di primo ruolo. Questi comportamenti spesso sono anche un arma di difesa, attaccano per prevenire critiche e per spostare l’attenzione sull’altro.

Di certo un provocatore  fa di tutto per tirare fuori la parte più aggressiva e scomposta di una persona, per metterlo alla prova e vedere quanto resiste, tanto che a volte chi reagisce cascandoci si ritrova pure nella situazione di dovergli chiedere scusa. Rimanere “immuni” ai provocatori però è possibile e  significa migliorare notevolmente la qualità della propria vita.        

Riassumendo proviamo a descrivere come si comportano i provocatori e come dovrebbero comportarsi gli istigati.

I primi inseriscono nelle conversazioni critiche gratuite e letture della realtà faziose; tentano sempre di esprimere “verità scomode” che feriscono; banalizzano gli sforzi, i risultati e l’aiuto di chi hanno di fronte; fanno del sarcasmo e cercano di concretizzare azioni svilenti della controparte.

I secondi devono invece essere in grado di non cadere nella trappola, non debbono rispondere alle provocazioni con altre provocazioni o finiranno col creare la baruffa che il provocatore tanto auspica. Non dovranno nemmeno mai cercare di giustificarsi, di spiegare e di chiarire; chi è in mala fede non li ascolterà, non è quanto gli interessa.

Il provocatore dunque si aspetta qualcosa dal provocato: un’arrabbiatura, una chiusura, uno sguardo ferito, un insulto. A questo punto ridigli in faccia spudoratamente, oppure simula indifferenza o stai in silenzio guardandolo con distacco assoluto.

L’importante è non cedere a questo sporco gioco, in breve tempo non saprà più cosa fare e capirà che “non attacca” e che forse è meglio tornare ad utilizzare le proprie qualità in modo più produttivo.


Giorgio Bargna

domenica 11 ottobre 2015

(Gli altri) Clandestini

Chi tra voi mi legge con attenzione sa che saltuariamente alterno alla politica delle tematiche “social”.  Mi ritengo un acuto osservatore che spesso ama immedesimarsi, per indole, in ruoli che assolutamente non conosce, ma che crede di poter assimilare anche grazie ad una sorta di “talento psicoterapico” che in realtà non è dimostrabile.

Tratteremo in questo post, che da qualche mese tengo chiuso nel cassetto, un tema che è tra quelli più vecchi e discussi, un tema che divide sempre la platea, un tema dal quale spesso molti preferiscono, per ovvie ragioni, stare lontani. Tratteremo come possibile, visto che non lo conosco da vicino, un tema che secondo me coinvolge una vasta quota della popolazione terrestre.

Tempo fa ho dimenticato, nell’auto parcheggiata, il cellulare collegato al caricabatteria da viaggio, abbandono la mia location per recuperarlo e senza volere (e non senza un certo imbarazzo) incrocio una persona che conosco discretamente la quale  passeggia con una certa “confidenza” assieme ad una donna che di certo non è sua moglie. Qualche giorno dopo, in un altro parcheggio, quello di un bar, mi accorgo di un’altra coppia clandestina e la mia fantasia comincia a galoppare.

Incomincio ad interpretare le possibili emozioni di un amante poco prima dell’incontro, presumo che siano intense; mi chiedo se il cuore gli batte forte per amore o per la paura di essere scoperto, oppure se invece non gli batte perché si tratta semplicemente di sesso o comunque di una storia priva di forte passione.

Voglio però immaginare, mi piace sia così (del resto è la situazione che fa più scalpore) che si tratti di due persone entrambe impegnate, conosciutesi  magari per caso, chissà forse in una pizzeria d’asporto, che alternano un’opaca vita matrimoniale a dei momenti di passione fedifraga. Immagino l’intensità di quelle ore e la tristezza alla fine della giornata al rientro tra le mura domestiche.

Lasciamo però perdere ora queste ipotetiche emozioni e proviamo a fare un quadro più “tecnico”, analitico, della situazione.

Gli amanti (quelli clandestini ovviamente) all’inizio godono di una condizione privilegiata simile a quella degli amori adolescenziali, leggeri; essi si vedono, si incontrano, si frequentano, seppur tra le tante difficoltà dovute alla clandestinità, con una certa soluzione di continuità che non è concessa alle coppie conviventi.
Non credo sia il caso di andare ad indagare sui motivi che spingono a tradire, possono essere talmente molteplici e variabili che diventerebbe lungo trattarli; solamente diciamo, presumiamo, per meglio dire, che a causa di essi nascano rapporti attrattivi di una certa intensità, quasi incontenibili. 

Aggiungiamo però anche che affianco alla poesia appena descritta probabilmente potremo scorgere semplici storie a fine sessuale le quali partono, ovviamente, da presupposti diametralmente antitetici.

Immagino che il rapporto di questi “amanti leggeri”, nato da una attrazione reciproca sia, spesso, qualcosa di incontenibile. Dicevo, non voglio indagare sui motivi che spingono una persona a "tradire", potrebbero essere infiniti, ma sono convinto che anche la persona che è "felice a casa sua" o che non vive particolari carenze affettive potrebbe, per mille motivi oscuri, tradire un partner con il quale tutto sommato non ha gravi problemi di “coesistenza”. 

Come sempre faccio prima di scrivere un articolo, mi sono fatto un giretto tra i motori di ricerca ed ho isolato una frase che presumo possa avere il proprio perché:

Il privilegio degli amanti è sempre lo stesso. Il puro desiderio di stare insieme in tutti i momenti in cui questo è possibile. E quei momenti vengono consumati con il livello più alto e inimmaginabile di passione, di tensione, di eros. E ogni incontro viene vissuto, assaporato con la stessa elevata intensità. Perché potrebbe essere l'ultimo, e quasi sempre non lo è”.

Dio vuole che io non abbia mai vissuto questa situazione, quindi mi baso sempre sulle presunzioni, ma presuppongo che le relazioni clandestine durino a lungo soprattutto perché basate su una sorta di "sospensione a mezz'aria”, la quale permette loro di non conoscere la routine della vita ordinaria, i problemi di tutti i giorni, casa, lavoro, figli consentendo agli interpreti di vivere il piacere di momenti definibili come irreali. Penso, ragionando per sommi capi, proprio che sia la paura che, una volta regolarizzato quel rapporto, tutto si trasformi in una nuova routine ordinaria, che la passione scemi in un normale rapporto affettivo, ad impedire la regolarizzazione di molteplici relazioni clandestine.

Sempre dalla fonte internet precedente estrapolo altre considerazioni:

Ha, ovviamente, la sua importanza il fatto che l'amante si presenti sempre al meglio della sua forma, del suo desiderio, della sua disponibilità.  E, quasi sempre, il confronto con la persona/compagna che vive a casa tua è impietoso, ma anche molto ingiusto”.

Essere "traditori" e avere delle amanti non significa, necessariamente, non avere un senso etico.  E io non vivo questa condizione con leggerezza. Sono ben consapevole di ciò che posso causare alla persona che mi sta accanto. Ma non posso neppure negare la mia natura e sacrificarmi all'infelicità assoluta”.

Come scrivevo all’inizio il tema divide la platea. Io non sono in grado di dare un parere certo, se non che giustificare, almeno in parte, chi segue il cuore e non giustificare assolutamente chi si muove solo dietro l’istinto sessuale.

Voi, se volete, lasciate il vostro pensiero tra i commenti, io in calce lascio un’altra frase presa in prestito dal Web:

La passione malinconica e intensa che vivono solo gli amanti, quella che al mattino lascia l’amaro in bocca e l’altra parte del letto vuota”. (Mumford & Sons – Lover of The Light)


Giorgio Bargna

domenica 20 settembre 2015

Riflessioni sull'emigrazione condotta

Fino ad oggi era difficile parlare di emigrazione cercando di sviscerare le cause e gli effetti. Oggi i flussi migratori hanno subito un accelerazione, paurosa ed improvvisa se vogliamo, qualcuno davanti a questo magari inizia a porsi delle domande ed a cercare delle risposte, magari inizia anche a darsele di per se, come proverò a fare io adesso.

Il primo acchito quando si parla di migrazioni porta sempre a quei ragionamenti che si limitano al solo immediato, al solo momento vissuto; si parla di diritti, di necessità da parte di chi l’immigrazione la subisce da ospite; di autodifesa da parte di chi l’immigrazione la subisce da ospitante.

Ragionamenti limitati all’immediato, a tentare di risolvere situazioni impellenti e difficili da mediare. Ragionamenti che sviano dalla reale portata del fenomeno e che agevolano, se mai ne avesse bisogno, chi politicamente ed economicamente trova giovamento dalla situazione.

Ho scritto più volte che per qualcuno immigrato spesso significa lavoro a basso costo, associazioni dedicate, paura da incutere agli autoctoni, schiavi da fornire a droga, prostituzione, malavita in genere. Ho scritto anche che immigrazione è fuga da un mondo, già di per se brullo, che è stato l’abbeveratoio di molti paesi occidentali. E’ un pensiero comunque limitato.

Proviamo a ragionare, a ipotizzare, ad analizzare cosa c'è veramente dietro questo fenomeno, proviamo a identificare chi sono i trafficanti di uomini, sia pur in linea di massima e se ci riusciamo.

I media, quando possono, ci illustrano solo dei continui sbarchi a Lampedusa, con barconi fatiscenti e tutte queste notizie ci impediscono di capire cosa c'è veramente dietro al fenomeno dell'immigrazione. Praticamente a nessuno conviene parlare e riflettere in pubblico di questi fenomeni migratori, non si è mai parlato e riflettuto sulle vere cause di questi avvenimenti, né con il piccolo né con il grande pubblico.
A me pare lampante che esistano dei “facilitatori di immigrazioni clandestine”, che vi sia presente sul mercato una sorta di networking di “agenzie viaggi speciali” offerente di pacchetti di viaggio su misura; misura determinata dalla domanda e dall’offerta. Si, domanda ed offerta, perché le masse non si spostano a caso, ragionateci.

Queste ultime settimane ci hanno amplificato il cono d’immagine, non ci sono solo i barconi di Lampedusa ma sono divenuti visibili a tutti anche “ingressi” dai Balcani, dall’ Est. Abbiamo anche scoperto che l’Italia e gli altri paesi di transito non sono certo la meta desiderata (se non da qualche delinquente patentato) ma che fungono soprattutto, ma non solo, da ponte per i Paesi del centro e nord Europa.

Potremmo snocciolare anche mille cifre su quanto le bande organizzate lucrino in questo settore, ma a noi non interessa questo, interessa il fenomeno generale e le sue motivazioni.
Diciamo solo che un viaggio Pakistan-Italia vale dai 30.000 ai 45.000 euro, altri
esempi di tariffe, in dollari Usa, sono: Afganistan-Regno Unito 25.000, Cina-Usa 40-70.000, Iraq-Germania 7-14.000. (Dati Global Black Market Information).
Nessuno  parte a casaccio spendendo queste cifre, gli hanno venduto un punto di arrivo, anche se non sempre immediato, anche se non sempre garantito.

Qualcuno potrebbe illudersi che si tratti semplicemente di un network criminale organizzato, io sono convinto che dietro ci sia molto di più, che ci siano alle spalle pianificazioni socioeconomiche di stampo internazionale.
Io credo che il sistema occidentale chiami a raccolta nuovi attori e che li stia scritturando, attraverso varie azioni, nei paesi terzomondisti ed è chiaro che, per diversi motivi, trovi risposta positiva.

L'emigrazione è causata da macrocause geopolitiche (ribadisco, anche indotte) come: richiesta d'asilo, scappare da guerre, povertà, differenza di benessere sociale e sanitario. Lo stile vita occidentale, consumistico, influisce sulla scelta di abbandonare il proprio paese. Se la scelta socioeconomica fosse quella di arginare l’immigrazione e di parificare, almeno in parte, la sostenibilità della vita su tutte le aree del globo si agirebbe direttamente sul miglioramento delle economie povere, ma questo mi pare non stia accadendo, non sia mai accaduto.

E’ chiaro, a mio avviso, che questo è il momento in cui il tutto si sta manifestando al massimo regime; sono fiumi immensi di emigranti quelli che stanno scorrendo nell’attuale momento.
Credo che la strada ormai sia tracciata e che non sia fantasia malata ritenere che il futuro dell’Europa sarà multietnico in forma massiccia e che si tratti di una mossa completamente voluta su basi prettamente economiche.

Il sistema consumistico ormai ha raggiunto il punto di non ritorno e chi doveva consumare la produzione illimitata ha già tutto in casa. Di fronte ad un calo di vendite e di produzione occorre un nuovo consumatore e, siccome l’occidentale ormai si riproduce in forma morigerata, per rimettere in pista il sistema; occorre trovare un nuovo mercato e siccome è insostenibile, a livello ecologico, esportare il sistema si è portato in loco il nuovo consumatore.

Io amo ragionamenti lineari e quindi provo ad immaginare la situazione della mia città (di dimensioni non esagerate), essa offre ottocento appartamenti liberi. Pensate a quanti mobili, accessori per la casa, cibo e contribuenti possano sfornare questi locali vuoti e moltiplicateli per le altre città e cittadine italiane ed europee.

Io, senza la presunzione di avere ragione, il “gioco” lo vedo racchiuso in questa logica. Una logica che sicuramente condizionerà, anche se non so pronosticare come, il futuro di noi occidentali che il sistema capitalistico e consumistico lo abbiamo cavalcato senza mai chiederci magari come sarebbe andata a finire quando avesse raggiunto il punto di non ritorno.


Giorgio Bargna

sabato 5 settembre 2015

Il mio percorso (intervista live)

Circa un anno fa Greta, una ragazza conoscente di alcuni amici, stava preparando la propria tesi.

La tesi trattava, tra le altre cose, di democrazia diretta e partecipata e degli sviluppi dell'azione politica delle liste civiche.

Per prepararsi al meglio, Greta decise quindi di intervistare, tra gli altri, anche alcuni militanti di "Lavori in Corso" e di "Cantù Rugiada", in modo di avere in audio gli appunti che le sarebbero serviti.

Purtroppo questa piattaforma non mi consente di caricare direttamente i file audio come podcast, ma cliccando qui, potrete scaricare il tutto ed ascoltare 46 minuti del mio pensiero politico.

Buon ascolto ai temerari, Giorgio Bargna.

lunedì 31 agosto 2015

Fascismi

Specifico dall'inizio che quando scrivo dei pezzi, firmandoli semplicemente con il mio nome, esprimo il mio parere personale, nulla a che vedere con il mio piccolo ruolo in politica e con il movimento di cui sono attivista.

Negli ultimi mesi ho letto parecchio (e male a mio avviso) di immigrazione e fascismo, anzi di antifascismo, di un antifascismo che a volte capita si nutra di metodi fascistoidi nella propria espressione.
Attualmente rifletto parecchio sul rischio di una deriva fascista che potrebbe alimentarsi grazie alle possibili modifiche costituzionali ed alla prossima legge elettorale.

Fascismo, troppo buonismo e voglia di speculazione sono punti cardinali che trovo invece, spesso, leggendo di immigrazione.

Si festeggia annualmente l'anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo. Una data che non deve perdere il suo valore, ma che si concentra su qualcosa di lontano, di sempre pericoloso, ma che oggi non è il primo pericolo. La stabilità democratica del Paese oggi è molto più minata dalle strategie mafiose (Roma Capitale dovrebbe far riflettere) e dalle strategie di una classe dirigente autoreferenziata che sta minando il futuro nostro, dei nostri figli, dei nostri nipoti. Anche chi ha la memoria storica della lotta antifascista (e ne fa prestigio) oggi, a mio avviso, anzichè concentrarsi sul passato alla ricerca di eroi da consacrare dovrebbe indirizzare gli sforzi verso la lotta al nuovo fascismo strisciante, non dichiarato, difficilmente visibile solo agli occhi nudi degli struzzi.

Ponendosi in osservazione dei nuovi razzisti, seduti in poltrona, che non esitano a seminare la guerra tra poveri per raccimolare quattro voti e le politiche di austerità, che pretendono tagli e sacrifici, è evidente che c’è bisogno di una nuova e più forte resistenza.

E' chiaro che la tendenza è quella di tenerci ignoranti così che dimentichiamo quanto è accaduto in passato, dal ventennio agli anni di piombo della strategia della tensione, al libro di Stella e Rizzo, alle leggi sul lavoro. Si tagliano storia e scuola in generale, chi non ha memoria non ha futuro.

Ricollegandomi all'immigrazione citata all'inizio, va ricordato che l'Italia fascista diventò razzista per imposizione, grazie alle leggi razziali, e va fatto notare che l'Italia di oggi sta diventando sempre più razzista per disperazione, a "causa" dell'immigrazione.

Già da qualche anno la forza moralizzatrice della crisi ha reso i privilegi e le spese pazze della casta più insopportabili eticamente e più insostenibili a livello economico; per distrarre il cittadino occorre carne da buttare sul fuoco del dibattito, occorrono sempre nuovi attori sulla scena, ma non dimentichiamoci che quei politici che non ci piacciono più li abbiamo eletti noi e che spesso e che in fondo (in linea generale) noi siamo gli stessi e la casta cambierà solo se cambieremo noi.

Non a caso ultimamente Beppe Grillo e Matteo Salvini si dividono le pance dello stesso elettorato scambiandosi kafkianamente spesso i cavalli di battaglia, non di rado infatti Salvini sconfina nel regno degli scontrini e degli sperperi della politica mentre Grillo invade il campo leghista che vede lo “straniero” come l’origine di tutti i mali possibili. Paradossale è che il primo vive il lusso e gli sprechi della politica da circa venti anni senza aver mai lavorato veramente e non ricorda gli scontrini di Belsito, mentre il secondo preferisce dirottare le sue fortune in paradisi fiscali “stranieri” che, in questo caso, non sono l’origine dei mali ma i garanti di imposte più vantaggiose.

Del resto questo è l'elettorato da conquistare, quello che indirizza (che cerca di indirizzare) la protesta, quello degli incazzati che cercano il condottiero che li porti alla rivoluzione; il comportamento di chi cerca di accapparrarsi questa "fetta di mercato" dimostra che nonostante la situazione sociopolitica drammatica questo bacino d'utenza è unico e limitato.

I padroni del vapore hanno reso davvero la politica simile ad un teatro ed ad essere premiata non è la qualità dell’opera ma il consenso facile di un pubblico ignorante ma pagante.

Cito dal WEB: "Forse è questa la vera metamorfosi, essere passati, nonostante l’offerta sia varia, da un pubblico che si nutriva con “Ladri di biciclette” ad un pubblico che si nutre con “Vacanze di Natale”. L’ignoranza crea mostri che l’indifferenza banalizza".

Questa è la forza del nuovo fascismo, questo è il mostro da combattere, qui vanno spese le energie non alla ricerca di vecchi mostri che ormai faticano a galleggiare senza il sostegno di chi dirige la baracca.

Giorgio Bargna

mercoledì 29 luglio 2015

L'epoca moderna, da superare


Per chiunque mi segua non è un segreto che il mio pensiero vada spesso e volentieri di pari passo con quello del pensatore francese Alain de Benoist, personaggio, come me, difficile da collocare e incastonare in una precisa area politica di senso tradizionale.
Pur senza volere assolutamente paragonarmi al suo valore entrambi scriviamo delle stesse cose e se da lui ho affinato le idee vi assicuro che a queste ci ero arrivato solo.
Ribadiamo ancora una volta, non fa mai male, alcuni principi comuni.
Critichiamo entrambi, legandole l'una alle altre, ogni forma di individualismo e di universalismo oltre che, comunque, i nazionalismi etnocentrici; tutte formule basate sulla soggettività. Entrambi spingiamo verso dei passaggi che possano portare alla decomposizione di questa attualità basata sulla ragione mercantile e adagiata sui danni psicomorali esercitati dalla Forma-Capitale. Entrambi ci spendiamo in favore delle autonomie locali basate sulla difesa delle differenze e delle identità collettive, ma mai sull'esclusione.
Entrambi sponsorizziamo un federalismo reale, concreto, basato sul principio di sussidiarietà e sulle comunità, sulle tradizioni ma anche sul multiculturalismo.
Vi lascio in calce una sua intervista rilasciata alla rivista “Tradizione”. Buona lettura.

De Benoist, a più riprese Lei ha parlato del fenomeno della “colonizzazione dell’immaginario” prodotta dalla Forma-Capitale. In sintesi, in cosa consiste?
“E’ stato Serge Latouche che, per primo, ha parlato di “colonizzazione” dell’ immaginario simbolico per indicare l’invasione e il condizionamento degli spiriti da parte dei valori mercantili. Nell’epoca moderna, l’affermazione dell’individualismo borghese si è accompagnato all’espansione del capitalismo liberale, che ne è stato il principale strumento di diffusione. Ora, il capitalismo non è soltanto un sistema economico, ma è anche latore di un’antropologia: non concepisce in effetti l’uomo che come Homo oeconomicus, produttore-consumatore la cui esistenza è protesa a massimizzare in modo egoistico il suo non limitabile interesse materiale. In tale prospettiva, cioè quella dell’assiomatica dell’interesse, i componenti di una stessa società non sono più vincolati gli uni agli altri che dal contratto giuridico o dallo scambio mercantile. Questa “reificazione” (Verdinglichung) dei rapporti sociali, che Karl Marx aveva così bene anticipato, si sviluppa di pari passo con l’idea che “l’economia, è il destino”. Mentre tutti gli ambiti dell’esistenza, compresi quelli che un tempo vi si sottraevano almeno in parte (la terra, il lavoro, lo sport, l’arte, la cultura etc.), si sono progressivamente mercantilizzati, vale dire è stata loro imposta la sola legge della resa economica e del profitto, tutti i valori umani che non sono quantificabili cedono il passo al valore di scambio. L’economia considerata (a torto) come una scienza, può allora pervadere il mondo del pensiero.
La Forma-Capitale mette in vendita dei prodotti solo per riprodursi, cioè per accrescere la propria dimensione quantitativa senza alcuna considerazione di possibili limiti. Essa può così essere definita quale auto valorizzazione del profitto in una prospettiva illimitata. La novità del capitalismo fa si che tutte le cose, in esso, si trasformino in merci – a cominciare dall’uomo stesso, ridotto a vendersi sul “mercato del lavoro”. Ora, produrre per il mercato, significa produrre per un campo d’equivalenza ove ogni cosa vale l’altra, in quanto il valore è stato ridotto all’unità monetaria. L’immaginario simbolico, così “colonizzato”, diviene strettamente dipendente dal sistema del denaro, nel quale è possibile leggere la forma aggiornata del regno della quantità”.

La ragione mercantile tende a presentare lo stato attuale delle cose come invalicabile, la società dei consumi come il migliore dei mondi possibili e la “fine della storia” quale orizzonte esistenziale definitivo per l’ultimo uomo. Cosa pensa di tale rappresentazione della realtà?
“La maggior parte degli storicismi moderni, a partire dall’ideologia del progresso, postulano che la storia umana sia votata a concludersi in una fase terminale, verso la quale sarebbero incamminate necessariamente tutte le culture. Per altri liberali, tale stadio terminale si confonde con il regno planetario del mercato, considerato sistema autoregolatore ed autoregolato. Quando il mercato, avrà fornito la prova della propria superiorità assoluta, la storia recederà. E’ in tale ottica che si situò Francis Fukuyama quando annunciò la “fine della storia” per il solo motivo che dopo l’implosione del sistema sovietico, il mondo occidentale aveva perso il suo principale competitore. Ben inteso, la storia si è rapidamente ripresa i suoi diritti. Si è allora realizzato un periodo di transizione, un Zwischenzeit, dal quale oggi non siamo ancora usciti, ma che annuncia con tutta evidenza il darsi di un nuovo “Nomos della terra”, per dirla con Carl Schmitt.
Sfortunatamente, l’ideologia dominante continua a pensare che lo stato attuale delle cose sia più o meno insuperabile. Essa non sostiene che viviamo indubitabilmente nel migliore dei mondi possibili, ma che nonostante i difetti del mondo attuale (che si spera di poter progressivamente emendare), non sia più possibile realizzare un nuovo tipo di società. Ogni tentativo rivoluzionario, e non più soltanto riformista, condurrebbe al peggio (il “totalitarismo”) o equivarrebbe ad un “ritorno al passato”. Tale posizione è assai paradossale: l’ideologia del progresso non ha smesso di idolatrare il novum, ma tende ormai a rifiutare l’idea della novità radicale! Per fare un confronto con l’ideologie messianiche, l’ideologia progressista considera che il Regno non sia da porsi ancora nell’avvenire, ma che si sia già realizzato. I nostri contemporanei non sono molto felici nel mondo attuale, ma vivono schiacciati dall’orizzonte della fatalità, dell’inevitabilità. Bisogna che comprendano che la storia non è finita”.

Per Lei la storia è dunque inesausta apertura. In quali termini la sua valorizzazione dell’idea sferica della temporalità dipende dalla opzione “pagana” che ha caratterizzato la sue posizioni speculative fin dagli anni Settanta? E soprattutto, è oggi possibile proseguire nella ricerca di Nuove sintesi ideali su questo specifico tema? Penso in Italia alle posizioni recentemente espresse in un suo libro da Diego Fusaro.
“Dire che la storia è sempre aperta, vuol dire rifiutare il fatalismo storico, sia che tale fatalità sia interpretata come “progresso” necessario o come inevitabile “declino”. La nozione di “senso della storia” scaturisce d’altronde, con tutta evidenza, dalla idea giudaico-cristiana di una storia vettoriale, lineare, con un inizio e una fine assoluti, per il fatto di essere del tutto antitetica alla concezione ciclica o sferica della storia propria dell’antichità europea. Ma la questione delle “nuove   sintesi” ha poco a che vedere con la concezione della storia. In campo politico, essa emerge molto più dalla decomposizione della vecchia contrapposizione destra-sinistra, che non corrisponde più a nulla. L’epoca contemporanea non smette, in effetti, di produrre divisioni di tipo trasversale, che attraversano tutte le famiglie politiche ed ideologiche. Tale evoluzione rende possibile dialoghi proficui e l’affermarsi di “nuove sintesi” E’ in questa prospettiva che è necessario collocare le posizioni sostenute in Italia da Diego Fusaro (e prima di lui da Costanzo Preve) e in Francia da Jean-Claude Michéa”.

La società delle “acque basse” nella quale viviamo, per dirla con Cornelius Castoriadis, o dei “narcisi” dell’eterno presente consumistico, è in via di progressiva femminilizzazione. Questo fenomeno quali contraccolpi sociali potrebbe determinare?
“A giusto titolo il movimento femminista ha protestato ai suoi esordi contro la svalutazione dei valori femminili, che spesso è stata al centro delle società patriarcali. Il problema è che attualmente sia precipitati nell’eccesso opposto. A causa di diverse ragioni sociologiche ed economiche, sono i valori maschili e virili -a cominciare dall’autorità, dall’affermazione di sé, dal vincolo tra uomini, etc. – che sono stati via via denigrati e svalutati. Lo stesso Stato è divenuto uno “Stato terapeutico”, come lo definì Cristopher Lasch, una sorta di Big Mother che si consacra sempre più a problemi di gestione, di assistenza, sanitari, etc. L’equilibrio del maschile e del femminile, pertanto, andrebbe restaurato”.

Negli ultimi anni il mondo occidentale ha visto prepotentemente avanzare l’ideologia del genere che nega le identità sessuali. Quali sono i pericoli che essa nasconde e quali contromisure adottare per riuscire a scongiurarli?
“La teoria del genere è una teoria che pretende che l’identità sessuale non dipenda in nulla dal sesso nel senso biologico del termine, ma solo dai ruoli sociali attribuiti agli individui dall’educazione e dalla cultura. Se ne deduce che l’individuo sarebbe alla nascita sessualmente “neutro”: sarebbe sufficiente educare un bambino come una bambina per farne una femminuccia, o  educare come un fanciullo una bambina per farne un maschietto. L’idea sottesa a tale argomentare rinvia a  un essere indifferenziato. Ciò che bisogna rimproverare alla teoria del genere, non è di aver distinto il sesso biologico dalla costruzione dell’identità maschile e femminile, ma di credere che non ci sia alcun rapporto stretto tra il primo e le seconde, e che tutto ciò che comunemente viene considerato come maschile e femminile, si manifesti in un “genere” sconnesso dal sesso biologico. La costruzione sociale è certo onnipresente nelle società umane, ma non si realizza mai a partire dal nulla”.

Infine e per concludere. E’ possibile a suo giudizio parlare di “terzo” sesso?
“L’espressione “terzo sesso” è una semplice metafora letteraria. In senso stretto, non ci sono che due sessi: da una parte gli uomini, dall’altra le donne. I gay e le lesbiche sono anch’essi degli uomini e delle donne dal punto di vista del sesso biologico. Qualificare l’omosessualità come “terzo sesso”, significa quindi confondere l’orientamento sessuale con il sesso. Esistono molte pratiche, orientamenti e preferenze sessuali, sulle quali a mio avviso non c’è bisogno di articolare un giudizio morale, ma non ci sono che due soli sessi. La molteplicità delle preferenze sessuali non elimina i sessi biologici e non ne aumenta il numero. L’orientamento sessuale, qualunque sia, non mette in discussione il corpo sessuato”.

domenica 19 luglio 2015

Lettera aperta a Francesco


E' capitato più di una volta che io scrivessi delle lettere aperte, hanno certamente il valore che hanno, ma mi consentono di esprimere un parere direttamente al destinatario, fosse che la legga oppure no.
Questa odierna è indirizzata ad una persona che ricopre un ruolo importante e tocca un tema scottante e sempre più attuale, l'indigènza.
La scrivo a te Francesco, si proprio tu, Papa Francesco. A te che non a caso hai scelto questo nome, ispirandoti allo “stile” di questo Santo, alle sue opere, alle sue azioni.
Ricopri il tuo ruolo dal 13 marzo 2013, secondo il Diritto Canonico, oltre che il Capo assoluto della Chiesa Cristiana, sei il Vescovo della Diocesi di Roma, il capo del Collegio dei Vescovi e il Primate d'Italia.
Molti hanno fiducia in te per un cambiamento radicale dei rapporti tra Chiesa e “resto del mondo”, molte tue parole vanno dirette in quel senso, probabilmente anche molte tue azioni anche se è probabile che tu incontri frizioni molto forti al tuo percorso.
Mi rendo conto che non deve essere facile affrontare problematiche tipo lo IOR e la pedofilia nella Chiesa e so che probabilmente non ti sarà mai consentito di far maturare un cambiamento radicale su questi temi, ma io voglio andare a parare altrove.
Sono questi anni di difficoltà per molte persone, sia nel mio Paese che in altri, mi rivolgo a te proprio perchè sei Primate in Italia (e poco conta se si tratta di un titolo più formale che concreto) e Capo della Chiesa nel Mondo.
Oggi in Italia migliaia, milioni di persone vivono una fatica economica pesante, molti di loro non hanno dove dormire e /o mangiare e la situazione sociopolitica attuale non dona loro grandi speranze per il futuro, anzi il lavoro diminuisce ogni giorno a dismisura ed i fondi sociali si riducono quotidianamente. Oggi in Italia approdano quotidianamente decine, migliaia di profughi di ogni nazionalità e/o religione, dai perseguitati agli esiliati, ai delinquenti, a chi cerca solo una vita più umana. Anche loro hanno necessità di un tetto e di un piatto. Tutti coloro che ho elencato sarebbero stati gli amici del Francesco a cui ti ispiri.
Ti volevo dire, chiedere, allora Francesco: la misericordia e la carità sono due principi cardinali della religione cristiana? Se la risposta è si hai l'occasione per dimostrare che ci sei, un occasione che troverà frizioni meno forti di quelle citate in precedenza.
Prendo spunto da alcune parole di Don Mazzi: “E’ comodo dire agli italiani di aprire le loro case quando ci sono conventi vuoti che potrebbero diventare luoghi di ospitalità anche belli. Apriamoli per ospitare i migranti e i profughi.” Io aggiungo a queste parole che possono, devono diventare luoghi di ospitalità anche per gli italiani in difficoltà, che comunque la Chiesa di alto livello deve obbligatoriamente impegnarsi su questo tema, in questo od in altro modo, come fanno già alcuni (purtroppo solo alcuni) Parroci.
Qui caro Francesco puoi dimostrare di essere veramente un Papa che incarna un nuovo stile di Chiesa, un novello Francesco che scende in strada con i poveri. Questo varrebbe molto, ma molto di più di cento Giubilei Straordinari.
Buon lavoro, Giorgio Bargna