L’argomento in essere probabilmente poteva rientrare in quel blocco di riflessioni dedicate ai “Valori”, non lo abbiamo fatto allora, recuperiamo oggi.
Parlando di
dignità ci si riferisce essenzialmente ad uno stato, un sentimento che scaturisce
dall’importanza, dall’autorevolezza che utilizziamo, in quanto esseri umani,
per certificare il nostro valore morale e la nostra onorabilità ritenendo che
esse non possano assolutamente essere lese per motivo alcuno. Non tutti viviamo
un concetto di dignità comune, la gradazione dipende in massima parte dal
percorso che ciascuno sceglie di compiere, sviluppando il proprio
"io".
E’
incontestabile quanto possiamo leggere su Wikipedia: In filosofia, con il termine dignità umana si usa riferirsi al valore
intrinseco e inestimabile di ogni essere umano: tutti gli uomini, senza
distinzioni di età, stato di salute, sesso, razza, religione, grado
d'istruzione, nazionalità, cultura, impiego, opinione politica o condizione
sociale meritano un rispetto incondizionato, sul quale nessuna "ragion di
Stato", nessun "interesse superiore", la "Razza", o la
"Società", può imporsi. Ogni uomo è un fine in se stesso, possiede un
valore non relativo (com’è, per esempio, un prezzo), ma intrinseco.
Chi sulla
dignità ha puntato alto si vota senza indugio a questa frase: “L'orgoglio si può mettere da parte ma la
dignità non si perde per nessuno”.
Sono
parecchie le idee da difendere e per cui lottare nel percorso di una vita, ma
in assenza di questo valore gli uomini, nella loro concreta vita di ogni
giorno, sono in balia della sopraffazione, della schiavitú, del nichilismo.
Scrive Moni
Ovadia in Madre Dignità:“La dignità umana
è inviolabile ed è un valore che non ha prezzo. Non può esistere dignità
sociale o collettiva senza dignità individuale della persona, cosí come non può
esistere dignità della persona senza dignità sociale. La cosiddetta rivoluzione
liberale, nel grembo delle sue derive mercantili, ha generato il piú efficace e
terrificante dei totalitarismi, e cioè il totalitarismo del denaro e del
profitto, responsabile dei due piú vasti e perduranti crimini della storia: il
colonialismo e l'imperialismo. La micidiale deriva ideologica del sedicente
liberismo ha fatto carne di porco della dignità della persona, nel suo aspetto individuale
come in quello sociale, e i suoi sacerdoti si ingegnano cinicamente a
persistere, giorno dopo giorno, in quest'opera nefasta”.
Orgoglio, onore
ed autostima, tre vocaboli, tre modi di essere, tre valori che si sono persi
nel tempo.
Come perdere
la dignità senza accorgersene. Oggi parliamo della dignità sotto quello che
considero il suo lato moderno e più infido. Sono anni ormai che sentiamo
parlare della piaga dell’assistenzialismo, un governo dopo l’altro, senza
soluzione di continuità, hanno riproposto questa subdola ricetta.
Come
funziona? Semplice: se sei una ragazza madre ti danno soldi, se hai molti figli
ti danno soldi, se sei povero ti danno soldi (e fin qui possiamo annoverare
casi di veri bisognosi a cui un aiuto va dato senza ombra di dubbio alcuno
tramite formule costruttive), se voti per quel politico ti danno soldi, viene l’amministratore
di turno e ti dice: “Bene, se vuoi ti do una pensione per invalidità…”
Il
meccanismo è viscido ed i cittadini, gradualmente, hanno riprogrammato il
cervello su un unico input: “Ti voto se mi dai”. Come oche da ingrasso
inghiottono di tutto, riempiono la pancia ignari di firmare la condanna a morte propria e quella dei loro discendenti.
Ne parliamo
tutti ogni giorno, con i colleghi e con gli amici del bar, ci sono cose che non
funzionano, smodatezze delle autorità alla luce del sole, eppure ci si limita a
constatare subendo. Si tratta, del resto, della scappatoia più comoda visto l’ambiente
che è andato creandosi; il sistema assistenzialista è un salvagente che ti fa
galleggiare quantomeno. Peccato, perché abbiamo braccia e gambe, e qualcuno
potrebbe anche insegnarci a nuotare…
Chi si ferma
davanti ai facili benefici dissipa la possibilità di dimostrare la grandezza
della propria persona, la sua capacità di sopportare la situazione critica e di
agire per superarla. Viene a diminuire anche il valore del bene comune: ognuno
pensa ai benefici personali tralasciando la dimensione comunitaria della vita.
La gente
ormai attende per anni le cose, perché le aspetta dall’istituzione, eppure la
maggior parte delle cose sono attuabili anche dai cittadini, soli od
accompagnati dallo Stato, occorre almeno una volta decidersi e farle di propria
iniziativa. Si ascolta in sostanza un
lamento continuo contro l’autorità, si denota un’apatia spiazzante di fronte a
situazioni che gridano ingiustizia… un sistema perfetto per un potere politico
che, dando contentini, continua senza ostacoli le sue strategie di proprio interesse,
personale o lobbistico.
Dignità è
l'unico vestito che può e deve essere indossato ad ogni occasione. Chi se ne
priva, non solo non si ama, ma rinuncia.
Vi sono
stati tempi e luoghi in cui un uomo
provava vergogna di una situazione perché considerato infame oppure disonesto,
oggi le situazioni si sono invertite; chi delinque non prova rimorso o
vergogna, oggi la dignità se la sentono sfuggire di mano solo i pochi onesti
che credono ancora nei valori e basta per
loro semplicemente perdere il posto di lavoro o farlo perdere ai propri
dipendenti oppure trovarsi nella situazione di non poter onorare i propri
debiti. Le morti disperate susseguenti sono all’onore delle cronache.
Vi lascio un
pensiero preso di seconda mano dal Web ma non per questo poco valido:
L'art. 1 della Costituzione italiana,
come tutti sappiamo, stabilisce: "L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle
forme e nei limiti della Costituzione." Quindi la nostra bella Costituzione
inizia esattamente così, con tre parole fondanti per l'Italia: repubblica,
democrazia, lavoro. Nonostante questo, ancora oggi, vi sono tante persone per
cui il diritto al lavoro non è garantito, conseguenze? Per tre mesi, in estate,
aveva lavorato come operatore ecologico stagionale. A novembre, con il
passaggio di gestione del servizio di raccolta dei rifiuti, aveva presentato
domanda alla nuova ditta, che tuttavia l'ha rifiutata. Un uomo di 45 anni,
Paolo N., sposato, con un figlio di 18 anni a carico, ha così ritenuto di farla
finita. Si è tolto la vita impiccandosi ad una trave del suo garage, nella
tarda serata di ieri, senza lasciare messaggi o annunciare le proprie
intenzioni. Così, in silenzio, al culmine di una crisi depressiva dovuta al mancato
rinnovo del contratto di lavoro, l'uomo si è lasciato andare al tragico gesto
di disperazione! Chi lo conosceva ed aveva lavorato con lui ha raccontato che
Paolo soffriva parecchio per questa situazione di precarietà del lavoro. Aveva
provato ad intraprendere anche altre strade, ma sempre di breve durata. Per
questo motivo aveva riposto tutte le sue speranze nella domanda presentata alla
nuova ditta. Quando gli hanno detto che al momento non c'era bisogno di lui,
probabilmente colto dallo sconforto, ha deciso di togliersi la vita!!!! Personalmente
provo un grande dolore per questa persona, per la sua famiglia. Non si può
pensare che fosse impazzito, credo che un uomo, soprattutto se con la
responsabilità di una famiglia da mantenere e con un'età non più giovane, possa
raggiungere la disperazione assieme alla sensazione di non valere più nulla per
la società a cui appartiene. Penso sia tremendo rimanere senza lavoro e perdere
la speranza di poterlo riavere. Alcuni dicono che l'art. 1 della Costituzione
sarebbe da cambiare, non si può dichiarare che la nostra repubblica è fondata
su una merce. Propongono di sostituirla con la parola "libertà",
valore importantissimo. Ma se non c'è il lavoro, dov'è la libertà,
l'indipendenza di quella persona ?
L’incoraggiamento
è quindi ad andare contro questo sistema, a dimostrare che si può fare
altrimenti e soprattutto a non perdere la dignità. Non sono avvezzo a mettere
in campo i pensieri religiosi ma recentemente Papa Francesco ha toccato il
tema: “Non avere lavoro non è soltanto
non avere il necessario per vivere, noi possiamo mangiare tutti i giorni:
andiamo alla Caritas, andiamo a questa associazione, andiamo al club, andiamo
là e ci danno da mangiare. Ma quello non è il problema. Il problema è non
portare il pane a casa: questo è grave, e questo toglie la dignità! Il problema
più grave non è la fame, è la dignità".
È fondamentale allora “lavorare e difendere la dignità che dà il lavoro”.
È fondamentale allora “lavorare e difendere la dignità che dà il lavoro”.
Giorgio
Bargna