Sulle pagine canturine del quotidiano “La Provincia di
Como” qualche settimana fa è stato
trattato a lungo il tema “Cantu’, città dormitorio”?
Molti i pareri da parte di esperti del settore, ma la risposta
vera a mio avviso non c’è.
A mio parere si descrive una mezza verità dicendo che la città a
livello lavorativo e scolastico si sia spenta, ma siamo davanti a quello che
potrebbe essere tanto un harakiri quanto un segno dei tempi moderni; tempi pre
e dopo Covid, anche, se parliamo di una città poco vissuta fuori
dagli orari di lavoro.
Abbiamo oggi davanti a noi una città di buone dimensioni che
si sta sempre più popolando (malgrado la sicurezza diminuisca e il degrado
cresca) ma non è riuscita sviluppare oltre, anzi a mantenere integro, il
settore del legno che attraverso anche il suo indotto (produttivo e
scolastico/sociale) è stata la fonte della ricchezza economica e sociopolitica
della città, città che ha accolto, seppur per necessità, un immigrazione a
larga scala e ha saputo pazientemente integrare autoctoni e “furest”.
Ci si preoccupa che un terzo dei canturini esca la mattina
dalla città e torni la sera, credo che sia impossibile, almeno a livello
lavorativo il contrario.
I dati sono chiari per quanto stampato sul quotidiano: i
titolari d’azienda nel settore sono prettamente ultracinquantenni. Ma il
ricambio generazionale, aggiungo io, non è mancato solo nei titolari, ma
soprattutto nei dipendenti. Poi va aggiunto che il modificarsi della tendenza
commerciale ha modificato gli assetti, non esiste più la “butéga” e con essa è
scomparsa una certa cultura artigianale e pratica del lavoro in questo settore.
Lavoro nel settore da 45 anni, falegname da banco, falegname
da montaggio, autista, imballatore, spedizioniere, lucidatore; oggi vedo che in
nessuno di questi ruoli si trova un operaio preparato e soprattutto motivato e
pronto a sudare. Purtroppo non possiamo stare tutti davanti al PC a programmare
il lavoro, ci sono ruoli che la tecnologia non può soppiantare e che senza la
trasmissione dell’esperienza sono destinati a sparire o a essere svolti dalla
nuova immigrazione che purtroppo nel campo ha poca esperienza.
Se aggiungiamo poi il dato che, dice il quotidiano, piu’ del
14% dei giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano e non lavorano dobbiamo anche
chiederci se abbiamo trasmesso ai giovani la cultura del lavoro, anche se
sicuramente negli ultimi tempi molti giovani si “autoeducano” attraverso
internet e i social media.
Ma chiuso questo aspetto lavorativo passiamo a capire se
Cantu’ è una città morta oppure vive socialmente.
Sicuramente dopo il tramonto non è piu’ la città che ho
conosciuto da ragazzo piena di vita e di compagnie in piazza, piena di bar, con
il cinema e due discoteche. Oggi col calar della sera nelle frazioni appaiono
praticamente solo volti poco raccomandabili e cani che espletano bisogni; nel
centro tra una rissa e l’altra troviamo ancora qualcuno in giro.
Ma questo non succede solo a Cantu’, in moltissime altre
realtà è uguale, a volte anche in grandi centri come Como, Seregno e Monza. La
stoccata finale l’ha data sicuramente il lockdown che ci ha abituati ai vari
servizi di delivery, alla spesa online, alla pay tv, a comunicare sempre piu’
attraverso i social media. Questa costrizione associata a molte altre
insicurezze già presenti ha svuotato le piazze e atomizzato ancor di piu’ le
persone; a mio avviso c’è stata una scelta sociopolitica calata dall’alto a
guidarci verso questo.
Durante la giornata la città grazie al lavoro, il traffico di passaggio
e le scuole appare sicuramente piu’ viva, a tratti anche insostenibile per
traffico e inquinamento, per mancanza di parcheggio in punti strategici e per
la maleducazione dei conducenti di ogni genere di veicolo, dal monopattino al
tir, passando attraverso le biciclette e i pedoni a volte.
Quasi sempre con un mezzo privato, che sia auto, moto o furgone: il 72,5%. Scarso l’utilizzo dei mezzi pubblici, come bus e treno: solo l’11,4%. È addirittura di più la fetta di popolazione che si muove a piedi o in bici: il 15,1%, la cosiddetta mobilità lenta.
«Non credo che questi dati possano essere rapportati a quel
fenomeno delle cosiddette città dormitorio - afferma l’assessore alla mobilità
Matteo Ferrari - Credo che debbano essere rapportati alla vicinanza con Milano
per quanto riguarda l’attrattività scolastica, e con la Svizzera anche per
l’offerta di lavoro. Credo che il confronto con il dato a livello nazionale
debba tenere in considerazione questi due fattori importanti».
Mi fermo qui sul presente, sul futuro tocca a chi amministra questa città e a tutte le altre forze politiche in collaborazione con associazioni e cittadini trovare sul territorio le risposte ai problemi di mobilità, lavoro, socializzazione. Un lavoro a cui nessuno si deve sottrarre, non è più tempo di muro contro muro ma di sinergie e soprattutto di idee che magari coinvolgano e diano ulteriore importanza al polo “De Amicis” che dopo aver rappresentato la storia può rappresentare il futuro.
Giorgio Bargna