sabato 27 settembre 2014

Interpretare il cambiamento

Il tempo passa lento ed inesorabile per tutti; per chi come me ha varcato la soglia di una certa età i ricordi possono già essere anche lontani.

Qualche giorno fa un comunicato di Confcommercio che ci informava del fatto che i redditi delle famiglie sono tornati indietro di 30 anni. Dicevo che i ricordi ci sono; i miei dicono che 30 anni fa la mia famiglia con due artigiani di basso livello ed una casalinga viveva serena, senza far fatica a pagare le tasse e le bollette. Certo la differenza, oltre ad una casta molto meno nutrita, la faceva il minor “consumo inutile”, però non è che ai tempi, ed anche prima, non avessimo case o vizi da soddisfare.

Non trenta, ma quarant’anni fa mio padre e mio zio, col reddito di due artigiani, si costruirono una casa che quindici anni fa, all’apice del boom edilizio, valeva più di un miliardo di vecchie lire spendendo una cinquantina di milioni.

Ricordo ancora il passaggio dell’ApeCar del gelataio e i soldi sempre pronti per il limoncino, i fumetti acquistati all’edicola, il film ogni domenica pomeriggio da bambino. Da ragazzo lo scooter, l’auto, la discoteca e la birra, le vacanze al mare, la ragazzina da scorazzare…tutto senza fatica; la certezza di una vita serena. Erano tempi in cui si riusciva a risparmiare, inoltre.

A sorpresa, per i pochi che non potevano tutto e per i primi che volevano di più, e qualche anno dopo per chi, grazie al primo incremento dei costi, non ce la faceva a seguire i primi “status symbol” ci proposero gli acquisti rateizzati: le prime preoccupazioni, i primi capitomboli, le prime notti in bianco.

E’ da molto lontano, tempi non sospetti, che scrivevo che saremmo diventati una seconda Argentina, ma da tempo descrivo cure diverse costituite da localismo e sana decrescita. Un processo, vista l’attualità lungo, ma che step by step  regala ogni volta un zic di serenità in più.

Ritorniamo al paragone iniziale, siamo molto meno ricchi di trenta anni fa, non di oggetti o comfort, ma di speranze per il futuro. A quel tempo magari ci mancava qualcosa che non si comprava solo perché sembrava superflua, oggi ci manca la serenità della certezza economica del domani; occorre quindi convincersi che è meglio rinunciare a qualcosa pur di conquistarci quella certezza di riuscire a vivere senza affanni all’interno di limiti ben definiti.

Occorre, necessita, farlo poiché a parità di reddito oggi si vive molto peggio, quello che anni fa era certezza oggi è un parametro inavvicinabile se non con costo e sforzo immani considerato che i servizi dello Stato sono meno e i beni primari costano molto di più.

Proprio dall’acquisto a rate è nata la maledizione, è cambiata la nostra capacità di capire cosa serve e cosa no, cosa è più importante e cosa lo è meno.

Oggi è importante combattere la casta e le lobbies economiche che ci schiavizzano, ma è altrettanto importante, necessario, ritrovare gli equilibri interni che ci consentano di riprendere contatto con la realtà di cosa ci serve sul serio. Sarà un percorso impervio che va affrontato però con una certezza: quel mondo di trent’anni fa non tornerà, occorrerà abituarsi a vivere in un mondo, in un modo, completamente differente.

Sono cicli, le cose non torneranno mai come prima, dobbiamo ancorarci all’idea che occorre costruire qualcosa di ancora migliore. Dobbiamo impegnarci in questa direzione, interpretare il cambiamento, apprezzarlo, quasi amarlo, per modellare un nuovo modo di vivere che sia degno di essere vissuto salvo volersi ancora una volta vincolare a delusioni ed ansie.
  

domenica 21 settembre 2014

Benessere equo e sostenibile

Abbiamo già discusso su queste pagine, sotto diverse forme, di “Terza Posizione”; torniamo a farlo una volta in più ragionando, per quel poco che è nelle mie capacità, di economia.

Come spesso accade su parecchi fronti, anche nel dibattito politico sulla macro economia i “padroni del vapore” ci portano a dividere, rigidamente, il discorso fra liberisti e keynesiani, semplificando con estrema sintesi come non esistessero alternative esistenti o da studiare. Esiste sempre e comunque quella minoritaria parte che non ci sta e che sostiene che il “divide et impera” qui sopra illustrato non faccia altro che rappresentare due facce di una stessa medaglia, formule di un pensiero comune che tende ad ignorare le leggi che regolano la vita di questo pianeta.

Ne abbiamo scritto spesso parlando di economia, lavoro, bene comune e sostenibilità: occorre compiere un salto di qualità per districarsi dal pensiero dominante e pervenire ad una scelta alternativa collegata e corrispondente ad un altro livello, completamente diverso, ordinato da leggi e regole diverse dal sistema eonomico-politico attuale.

Non stiamo trattando della scoperta dell’acqua calda ma comunque di criteri consolidati, notissimi, che per un errore/volere ideologico non condizionano il sistema delle istituzioni perché fa comodo allo status quo.

Tralasciando disquisizioni sul liberismo ed il sistema che lo precedette, che entrambi in nome della “crescita” giustificarono e giustificano (ad esempio) in favore di impianti industriali, miniere, dighe, porti e grandi strade lo spostamento di grandi gruppi di persone cacciate dalla loro comunità e
dalla loro terra, andiamo a scrivere di altri parametri ed andiamo a distinguere tra benessere sociale, esprimibile con la qualità della vita e benessere economico, che è misurale solo con la moneta.

E’ naturale invece basarsi su una ricchezza concreta dipendente unicamente dai flussi di materia e di energia prodotti dalla natura, sistema congenito che smentisce categoricamente la perpetuità del danaro.

I politici risultano restii  a sottostare alle leggi che ci mantengono in vita ed a legarsi ai nuovi modelli culturali descritti nel Benessere Equo e Sostenibile.

Abbandonando teorie malsane che stanno incidendo sulla qualità della nostra vita, occorre indirizzarsi verso ambiti virtuosi per migliorare la condizione dei cittadini e garantire un futuro alle prossime generazioni grazie all’uso razionale dell’energia e delle risorse limitate. Necessita indirizzarsi verso una rimozione degli sprechi, verso fonti alternative e sufficienza energetica, verso conservazione del patrimonio culturale ed ambientale, verso conversione ecologica dell’industria meccanica e manifatturiera, verso sovranità alimentare, verso “l’impatto zero”. Il tutto senza tralasciare un particolare non indifferente: l’innovazione indirizzata verso attività virtuose consente di lavorare meno, con un salario ugualmente dignitoso, e guadagnare tempo da investire nelle relazioni umane; l’esatto contrario del risultato susseguente alla strada intrapresa seguendo nei decenni ideologie dannose che sta peggiorando l’esistenza degli individui.

La tecnologia moderna è in grado di farci scegliere cosa, quanto, come e dove indicandoci la giusta quantità necessaria, la tecnologia più adatta e la giusta scelta tra le materie non rinnovabili e/o quelle rinnovabili ed alternative.

Ai più sembrerà improbabile la riconversione economico-sociale, io invece dico che occorre sostituire le chiacchiere da bar con le grandi opportunità offerte dall’innovazione tecnologica, e mostrare quanto sia facile trasformare un’economia basata sull’energia fossile in un’economia con fonti alternative.

Concludeva tempo fa Peppe Carpentieri una sua analisi: Comunità libere tramite le reti intelligenti. Un semplice mix tecnologico consente di transitare da un’economia ad un’altra.


Questo è l’unico futuro sostenibile, Giorgio Bargna