La nostra posizione sulla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina deve essere sicuramente una battaglia politica contro gli sprechi e i tagli al Nord ma anche il bisogno di dimostrare che il buonsenso sconsiglia a 360 gradi di portare avanti questo progetto.
Un progetto che viene propinato ciclicamente da decenni, che nemmeno lo strapotere del "Pentapartito" era riuscito a portare in opera ma che oggi rischia di essere realizzabile grazie a chi per anni ne è stato detrattore.
Evitiamo di vedere i "Pro", non credo proprio ne esistano, guardiamo i "Contro".
Intanto al momento sappiamo che i pochi assunti sono solo tecnici. Certo può essere normale all'inizio di un progetto, ma questo progetto ancora non ha raggiunto tutti i crismi necessari, gli stipendi di queste persone si.
Fossimo in Giappone, dove nemmeno si sognano una tale eresia, potrei fidarmi, ma qui stiamo parlando di costruire il più lungo ponte al mondo, che dovrebbe consentire il transito di mezzi gommati e treni ad alta velocità, resistere a terremoti, per quanto remoti, in grado di radere al suolo le città sulle due sponde. Sulla base di grottesche illazioni che ipotizzano una crescita delle zone interessate si vuole costruire, senza aver ancora illustrato un serio progetto esecutivo, un ponte strallato con una distanza di 3,3 km fra due pilastri di estremità. Definirla una sfida è semplicemente riduttivo. La Società Stretto di Messina e i committenti politici si stanno assumendo responsabilità enormi che non sono assolutamente ignote.
Fatte salve le critiche poste da esperti di chiara fama quali Remo Calzona e Mario De Miranda sulle sicurezze strutturali, se andate ad indagare scoprirete che sono veramente rari i ponti strallati di grandi dimensioni su cui è ammesso il transito di treni. Oltre alle difficoltà tecniche derivanti dalle rotaie la spinta del vento potrebbe far oscillare pericolosamente l’impalcato, al punto che si prefigura uno stop al transito dei veicoli in caso di necessità.
Aggiungiamo un peso, in caso di conflitti armati il ponte sarebbe un ovvio e facile bersaglio.
Cerchiamo di essere obbiettivi, non è un ponte ciò che potrebbe determinare il decollo economico della Sicilia e della Calabria e dare concretezza a una città metropolitana dello Stretto.
Poi volendo prendete le "Pagine Bianche" e telefonate agli abitanti di Villa S. Giovanni, vi confermeranno che nonostante stime gonfiate artificiosamente dai progettisti (il trend è negativo da decenni), il grado di saturazione dell’infrastruttura nelle ore di punta di un giorno medio non andrebbe oltre il 20%, ovvero la capacità dell’infrastruttura sarebbe ampiamente sovradimensionata e al di fuori di ogni logica tecnico-economica.
Le merci viaggiano sempre più via mare e i siciliani preferiscono di gran lunga l’aereo, questo ve lo confermo per conoscenze personali.
Una volta realizzata l'opera dando per concesso che funzioni sicuramente il numero di personale in confronto allo spostamento marittimo porterebbe ad un calo di occupati in una zona già depressa di proprio.
Inoltre si è già discusso delle migliaia di famiglie che si vedrebbero espropriate le loro case, i loro terreni in territori vasti geograficamente rispetto al mero territorio interessato.
Alla fine di questa disquisizione poniamoci un quesito: quali reali interessi si celano dietro un progetto scadente, rischioso, costosissimo, che produrrebbe assai più danni che benefici? Poniamocelo pensando che in questo caso è lo Stato che dovrebbe pagare una penale all’impresa di costruzione nel caso in cui l’opera non venga realizzata, quando invece è prassi che siano le imprese ad essere sottoposte a penali per la mancata o errata realizzazione dell’opera.
Giorgio Bargna, Patto per il Nord Como