mercoledì 31 dicembre 2014

Futuribilità

Si sta concludendo in queste ore un anno, il più terribile di una serie recente che hanno minato la mia vita. Soprattutto quest’ultimo ha colpito duro, alcuni accadimenti sono prettamente privati e solo il mio cuore ed il mio istinto potevano avere campo di scelta, vedremo dai frutti se la semina è stata la migliore; altre circostanze, altri problemi sfuggono al mio potere decisionale, sono conseguenze di una macchina molto più grande che milioni di persone faticano a controllare.

Ho dovuto raggiungere la boa della mezza età per riuscire a ritrovarmi senza un lavoro garantito, a volte proprio senza; sono dovuto arrivare a questa età a studiarmi come eseguire i salti mortali per riuscire a pagare tasse e bollette, li ho fatti quando ancora un lavoro lo avevo “certo” e (credevo) sicuro, domani sinceramente mi preoccupa come riuscire a bissare questo traguardo, questa impresa.

Sono anni che lavoro, sono anni che faccio politica (una politica alternativa), devo oggi arrendermi all’evidenza che davanti a questo muro di gomma che è il “sistema itaglia” poco si può fare se non proclamare principi ed aspettare che qualcosa avvenga.
Sebbene stia impegnando qualche ora della mia vita ad aiutare la mia amministrazione in alcuni settori, sebbene stia spendendo qualche ora nel progetto che vorrebbe vedere nascere una nuova Regione a Statuto Speciale ormai sto seduto in riva al fiume ed aspetto che passi quel famoso cadavere.

E’ difficile stabilire la densità del tempo, la sua brevità, la sua infinità; è difficile stabilire per me quando, ma sono certo che, a tempi non lunghissimi, il “sistema itaglia” scorrerà sotto la riva dove fingo di pescare fumando quintali di sigarette.

Ci scorrerà perché questo sistema si sostiene, si sosteneva sulle nostre tasse, sui nostri sprechi, su un consumismo che non possiamo più sostenere. Come il cane che si morde la coda ci ha tolto (succede in un regime che si autoalimenta) la possibilità di sostenerlo.

Il “sistema itaglia” prima di vivere la propria Brindisi ci spremerà fino all’osso, poi quando non sarà più in grado di pagare lo stipendio ai propri lacchè scapperà dal linciaggio, quel linciaggio che vorranno fortemente quanti di esso sono stati i servi, essi lo vorranno più di quanti ne sono stati gli schiavi moderni.

Parlavo di un anno che finisce, descrivo una situazione che sono convinto stia per accadere, ma non credo ai limiti temporali che ci diamo per le scadenze, succederà tutto per conseguenze, quando dovrà; a preoccuparmi però non sarà quando succederà (spero anche domani), ma quanto accadrà.

Questa è una nazione ad alta mentalità mafiosa, piena di schiavi silenti e di passeggeri saliti al volo sul carro del vincitore. Una nazione dove pochi fanno qualcosa senza pensare di avere un rientro personale.

Questo futuro mi fa quasi più paura del presente; mentre sarò seduto in riva al fiume in attesa oltre che fumare e fingere di pescare parlerò ad ogni viandante cercando di convincerlo che solo nel “bene comune” risiede il futuro.


Giorgio Bargna

martedì 23 dicembre 2014

Dire, fare, baciare, lettera ...



Gli accadimenti e i comportamenti si susseguono nel tempo seguendo la teoria del caos?

Verrà un giorno in cui chiederai chi sono, chi sono stato, cosa potrei essere; mille e più persone potranno risponderti.

Qualcuno ti dirà che ho affrontato gente di malaffare semplicemente chiudendo i pugni, altri che non ho mai avuto gli attributi.

Qualcuno dirà che rubavo, altri diranno che non c’è mai stata persona più onesta di me.

Qualcuno dirà che sono stato un fascista, altri che sono stato anarchico, qualcuno comunista, altri diranno che sono stato un ribelle.

Qualcuno dirà che bestemmiavo Dio, facendo sforzi di petto, altri diranno di non aver mai sentito una parola di troppo da me.

Qualcuno dirà che sapevo amare sopra le righe, rispondendo a chi è convinto sia arido di cuore.

Di fronte a chi mi ha sempre visto come un lazzarone ci sarà chi loderà il mio lavoro.

Ti diranno che sono stato grugnoso, in contraltare a chi ha riso con me mille e più volte.

Tutte queste cose sono vere, anche se può sembrare strano; non sempre le persone si comportano allo stesso modo, non sempre le situazioni lo consentono.

Se tu lo chiedessi a me ora ti risponderei che ogni azione è la logica conseguenza di una situazione e non sempre ti comporterai in egual modo nel corso della tua vita.

Sono sempre stato convinto che si debbano sentire i consigli di chi ha più esperienza per poi sbagliare da soli, quindi ti lascio il mio consiglio.

Nella vita fatti guidare dal cuore e dall’istinto, la ragione è un marchingegno costruito dagli altri che mal ti si adatterà.

Buena vida a mi hijo.


martedì 16 dicembre 2014

La nuova forma di autodeterminazione

Per chi segue quanto scrivo è noto che è iniziato un processo teso alla nascita di una nuova Regione a Statuto Speciale il quale racchiude le aree geografiche del Lario, della Brianza e della Valtellina. Chi mi legge sa anche che ho scritto recentemente di Insubria ed Insubri. Affermavo al termine di quel pensiero che oggi è ora di rendere consapevoli gli Insubri di esserlo, qualcuno glielo ha fatto dimenticare, noi abbiamo il dovere di farli rinascere.

Specificavo nell’estensione del pensiero che, a mio avvisio, la nostra Regione (l’Insubria è per me il passo successivo e logico a Lario, Brianza e Valtellina) in causa deve essere sostenuta da un concetto geo-culturale ma anche da un fattore legato agli interessi economici. Le aree territoriali che descrissi hanno in comune sicuramente un tessuto produttivo comune, ma in collegiale, inserite nel contesto lombardo, hanno pure una tassazione decisamente iniqua e che non produce servizi e beni sociali.

Mi è sempre risultato antipatico porre questi termini, ma oggi viviamo schiavi di una tecnocrazia costosa e parassitaria ed ognuno deve trovare la propria via di salvezza; snocciolo qualche dato.

L’ultimo saldo, lo prendo da questa fonte, è da quasi 48 miliardi di euro, pari a circa cinque mila euro pro capite, differenza tra quanto versato (in tributi) dalla Lombardia al governo centrale e quanto ricevuto indietro (in termini di servizi erogati). Nel triennio 2009-2011, la regione dal maggior «residuo fiscale» è la Lombardia (47,773 miliardi), seguita da Emilia Romagna (13,5 miliardi) e Veneto (11,5 miliardi). Chiudono la classifica Campania (-14,5), Calabria (-10,8) e Puglia (-10,6) che ricevono di più di quanto versano.

Dal web apprendo anche (scoperta dell’acqua calda) che uno studio della Cgia di Mestre ha effettuato un confronto su scala regionale sul gettito fiscale derivate dalle tasse versate dall’intera platea dei contribuenti, siano essi imprese, pensionati, lavoratori dipendenti o lavoratori autonomi. Analizzando le 20 Regioni italiane, e prendendo a riferimento i ultimi dati relativi all’anno 2007, l’Associazione degli artigiani mestrina ha rilevato come i contribuenti lombardi versino ogni anno in media sia allo Stato centrale, sia ai governi locali, un ammontare complessivo di tasse pari a ben 12.456 euro, corrispondenti ad una media di 1038 euro al mese.

Se il territorio, le tradizioni, la cultura e la lingua forse, e solo forse, fungono da collante tra coloro che possono essere considerati autoctoni, quando si parla di denaro, di servizi, di tasse e gabelli proprio tutti, anche il cittadino arrivato ieri, rimangono coinvolti.

In questo periodo dove si lotta per la sopravvivenza tra una casta auto referenziata e il cittadino che ogni giorno deve studiarsi come sopravvivere, la battaglia sull’autodeterminazione di un territorio, sul proprio autogoverno va giocata su questo settore, un settore che non divide, nella difficoltà, nessuno. Chi vuole continuare a mantenerli faccia pure, ma a proprie spese.

Giorgio Bargna



sabato 6 dicembre 2014

Lario, Brianza e Valtellina, l'esempio da seguire

Quando gli uomini sono scontenti di se stessi e di ciò che li circonda, secondo un principio di scuola anarchica, si accende una rivolta, una ribellione; può manifestarsi sotto diverse forme, pacifiche o cruente, non è una levata di scudi, ma un sollevamento di individui, una ribellione che, generalmente, non si preoccupa assolutamente delle istituzioni che potrà produrre, una lotta contro ciò che esiste. Una volta riuscita, ciò che esiste crolla da solo.

Pur nutrendomi di molti principi anarchici non sono attratto solo da questi ideali, la mia filosofia ribelle al sistema si nutre parecchio anche di principi legati all’autonomia, alla responsabilità ed alla partecipazione, nonché al localismo ed alla sostenibilità, ambientale ed economica.
Quindi mi preoccupo anche dell’istituzione che i miei moti potrebbero produrre, mi preoccupo di come scardinare il sistema.

Da qualche anno, con Claudio Bizzozero ed altri amici, coltivo il sogno dell’autonomia decisionale ed economica del Territorio che vivo, di un federalismo a base municipale, della compartecipazione del Cittadino alle scelte politico/amministrative.
Si trattava di trovare una leva, un grimaldello in grado di scardinare il sistema costituitosi un questo Paese: riteniamo che il passaggio ad Autonomie Regionali strutturate sull’esempio della Regione Autonoma Altoatesina  sia la chiave giusta.

In queste settimane è partita la procedura che intende costituire la nuova Regione a Statuto Speciale che potremmo definire (prendendo spunto dai nomi dei territori che la compongono) Lario, Brianza e Valtellina; tradotto nel geograficamente scolastico: Lecco, Como, Sondrio.

Io auspico che nel proprio diritto ogni Territorio di questo Paese si voti ad azioni simili.

La procedura è certamente lunga e difficile ma pare non spaventare molto i Consigli Comunali di questa costituenda Regione; in poche settimane hanno discusso e votato la delibera i Comuni di Cantù, Lanzo Intelvi, San Fedele Intelvi, Luisago, Laglio, Crandola Valsassina e Cedrasco.

I passaggi che seguono le discussioni e l’approvazione da parte dei Consigli Comunali che insieme rappresentino almeno 1/3 della popolazione interessata sono:

- Referendum Popolare di approvazione da parte della Popolazione delle tre provincie
- Parere della Regione
- Legge Costituzionale conforme alla volontà espressa dai Consigli Comunali e dalla Popolazione

Il mio invito, caldo e sincero, è rivolto innanzitutto ai Consigli Comunali di Lario, Brianza e Valtellina affinché deliberino a favore della costituzione della nuova Regione, poi anche ad ogni amministratore locale di questo Paese; se dilagano iniziative di questa natura Popolazione ed Istituzioni non potranno che convincersi della bontà di questa iniziativa, di questa voglia di ripulire il Paese da un Sistema che ormai non può più autoalimentarsi e che è destinato a fallire.

W la libertà, Giorgio Bargna

mercoledì 3 dicembre 2014

Processo partecipativo e comunicazione (2)

Proseguiamo in quel viaggio che tocca quei due temi che mi stanno parecchio a cuore: la Partecipazione, la Comunicazione.

I confini della manovra
Quando un amministrazione si propone verso un processo partecipato occorre che essa preliminarmente definisca dei margini di manovra, quanto ciò che è possibile progettare e quanto che non potrà essere discusso. Si pone, in sostanza, con questo passaggio, la definizione del confine tra i vincoli che limitano il processo partecipato e la libertà inscritta nell’idea stessa di processo partecipato

I vincoli possono essere di carattere etico, economico, riguardanti gli obiettivi del progetto, le sue possibili funzioni sociali, gli aspetti di carattere politico, le possibili opportunità riguardanti i privati, il ruolo degli attori coinvolti.
Accade storicamente che si metta in gioco anche quel rapporto tra la memoria del luogo e la sua possibile ridefinizione, questo soprattutto quando (ed accade spesso) si va a deliberare una scelta riguardante un quartiere, un edificio, un parco o un intervento urbanistico; si può però mantenere una memoria così come lasciare aperte le possibilità e lo spazio per una re-invenzione del luogo fuori da un possibile rapporto con la sua storia pregressa.

In queste ore è a Cantù attualità la riqualificazione dell’Area dell’ex Tribunale, attraverso questo progetto constatiamo che le nuove tecnologie non solo consentono di bypassare il classico si/no, allargando il numero delle variabili sia pure all’interno di uno schema, ma favorisco un processo attraverso il quale la soluzione è concretizzata attraverso il processo di consultazione che cambia sostanzialmente natura poichè approda a un risultato non prefigurabile in precedenza.

Pur rimanendo nei margini di manovra che legislazione, buonsenso e  situazione economica consentano la libertà ha la necessità di essere effettiva: non paga, anzi diviene  controproducente la realizzazione di un processo partecipativo se la decisione è già stata presa: è basilare che venga riconosciuto un margine di libertà durante tutto il progetto deliberativo. A questo fine la prima analisi dei confini e del contesto deve servire anche a capire se veramente esista lo spazio per una decisione condivisa.

Durante lo sviluppo del processo deliberativo non tutti i punti di vista necessitano di essere accolti ma tutti i punti di vista possono essere avanzati, negoziati e  motivatamente respinti.


Chi sono gli interlocutori interni del processo partecipato

Facendola breve potremmo conclamare che nell’applicazione di un processo partecipato vi sono tre tipologie di attori, che possono però essere slegati tra loro, ma anche uno e trino: lo sponsor politico, il gruppo di lavoro, il comitato promotore.

L’avvio del processo, ideologicamente nasce da una scelta politica che può nascere da un esigenza amministrativa o da una scelta politica che può arrivare anche dalle forze politiche che appoggiano l’Amministrazione, nello sviluppo viene adottato dal Sindaco o dall’Assessore alla Partita, la gestione del processo partecipato è invece in capo a un gruppo di lavoro, che però si confronta con chi precedentemente citato e anche col Segretario Comunale, non plus ultra dei Regolamenti e delle Legislazioni.

Il gruppo di lavoro è quello che, fin dal suo inizio, segue il processo partecipato e la relativa comunicazione, lavorando anche alla definizione, di volta in volta, delle azioni precise da realizzare nelle diverse fasi. E' importante che oltre  alla fase dedicata allo sviluppo della partecipazione fine a se stessa sia ben sviluppata anche una fase comunicativa.

Capita spesso, erroneamente, che la comunicazione venga coinvolta solamente quando si produce materiale mentre sarebbe utile il suo coinvolgimento fin dall’inizio del processo per definire una strategia comune. Il lavoro in parallelo della partecipazione e della comunicazione, potrebbe anche facilitare una maggiore sensibilizzazione verso l’interno dell’ente. Il gruppo deve necessariamente aver studiato i temi dei processi partecipati, conoscere le metodologi ed i risultati raggiunti da altre esperienze. Gli esempi positivi, infatti, fanno capire il potenziale di certi strumenti e possono motivare le persone a provare esperienze analoghe nella propria realtà.


Chi sono gli interlocutori esterni del processo partecipato

I soggetti a cui ci si rivolge, soprattutto quando si mira ad un progetto ben delimitato ad un area o ad un tema specifici, nell’ambito dei processi partecipati devono preesistere ed è opportuno (fattibilmente) che essi vengano coinvolti nel processo partecipato: non è possibile inventarsi di sana pianta interlocutori interessati al tema oggetto del processo partecipato, di conseguenza occorre concentrarsi in modo da  non dimenticare, escludere, nessuno dei possibili interessati. Un processo partecipato come può essere  sottoposto a tutta la cittadinanza può anche svilupparsi come un’azione mirata, rivolta a particolari categorie di interlocutori, gli stakeholders.

Nello sviluppo di un progetto partecipato occorre anche non dimenticarsi di alcune fasce emarginate come magari gli abitanti di quartieri “poveri” o le generazioni future, interessi che sono faticosamente organizzabili e che spesso non hanno la possibilità di far sentire la propria voce e che andrebbero considerate in qualsiasi progetto che abbia implicazioni di carattere ambientale, la stragrande maggioranza dei casi.

Oltre a quanto possono produrre nel concreto, i processi inclusivi sono in grado di generare un secondo, importante, effetto: stimolare la nascita di nuove relazioni tra i partecipanti o rafforzare quelle esistenti. Più queste relazioni si solidificano più è probabile che nascano in futuro iniziative cooperative per risolvere i problemi comuni.

(continua)

mercoledì 26 novembre 2014

Insubria ed Insubri

Quando parlo di un Territorio, di un “nostro” Territorio, lo penso quale tassello di un Europa che oggi è dei “sogni”, un Europa intesa come un mosaico di culture, di Popoli; un Europa dei Popoli, dei Territori, dove i Cittadini rivendicano un Potere vicino che lo Stato-nazione non è in grado di offrire, sia perché in crisi sia perché non ha convenienza nel farlo.

Sono convinto che poi si possa modificare ma che si debba partire dallo status di Regione Autonoma come primo step, in nome dell’Autonomia, della convinzione che avvicinare il Potere ai Cittadini sia un Processo Democratico. Lo stato ha ormai ceduto potere verso l’alto e tanto esso che la miseria di questa europa (la e minuscola è voluta) non vogliono cedere verso il basso. L’indipendentismo e’ una radicalizzazione logica di fronte a questo rifiuto a cedere parte del potere e sviluppare una politica piú vicina ai cittadini. Non è auspicabile un Europa di altri, anche se piccoli, stati ma ad un’Europa dei Popoli e delle Regioni. A mio avviso la nostra Regione in causa deve essere sostenuta da un concetto geo-culturale ma anche da un fattore legato agli interessi economici.

Noi, io e molti di voi che leggete, viviamo in un Territorio identificabile facilmente come Insubria; in un secondo tempo opterei per una soluzione ancora più ristretta, ma oggi dicevo partirei da questo, da una Regione Autonoma a Statuto Speciale identificabile in questa cerniera territoriale che potremmo racchiudere in quei confini montani e pedemontani compresi più o meno tra l'Adda e il Sesia oppure in forma più ristretta nell’Unione di quelle che oggi sono le province di Lecco, Sondrio, Varese, Como, Verbano Cusio Ossola, buttando un ipotetico occhio verso il Canton Ticino.

Una base geografica questa ben distinta, che si supporta anche con un quadro economico-produttivo abbastanza comune nel dispiegamento del Territorio, che si supporta solidamente su basi storiche e su un particolare veramente importante, che va anche oltre le tradizioni e le culture (in via generale) comuni su questa cerniera: la Lingua.

Non occorre molta fatica per informarsi sul dialetto occidentale (o insubre)  della lingua lombarda, parlato in tutta la Regione Insubre come la abbiamo intesa in questo pensiero allargandosi a quei Territori che dell’Insubria Storica  hanno fatto parte nel Ducato di Milano, quindi parliamo di Milano, di Monza, di Lodi, di Pavia, di Como, di Varese, di Lecco, di Verbania, di Novara, nel Canton Ticino e in alcune valli del Canton Grigioni e della Valsesia.

Non saranno certo queste mie righe  a tracciare una linea che è già ben contraddistinta, battuta e ribadita anche meglio nelle forme da molti altri prima di me; a me però preme oggi spingere affinchè si convinca l’insubre di esserlo, di essere componente di un Popolo vero, che lo stato centralista nega ma che esiste e che ha tutto il DIRITTO DI AUTOGOVERNARSI!!!

Molti movimenti politici questo lo hanno ben chiaro, oggi è ora di rendere consapevoli gli Insubri di esserlo, qualcuno glielo ha fatto dimenticare, noi abbiamo il dovere di farli rinascere.


Giorgio Bargna

venerdì 21 novembre 2014

Sulla via dell'Autogoverno

Piangiamo in queste ore morti e danni materiali. Li piangiamo oggi, li piangevamo ieri ed anche l’altro ieri. Lo chiamano dissesto idrogeologico.

Sappiamo bene che non si tratta di qualcosa di naturale, sappiamo bene che si tratta delle conseguenze di scelte umane e non di eventi naturali.

La pioggia incessante, la mutazione atmosferica sono le conseguenze di un inquinamento ambientale creato dall’uomo.

Le case e le strade spazzate via o invase dall’acqua sono conseguenze di scriteriate scelte amministrative.

Ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni ora la macchina auto referenziata che esiste, impera nel nostro paese ha bisogno di autoalimentarsi, ha bisogno di denaro per alimentare la propria voracità.

A questo scopo il fulcro centrale sottrae denaro e possibilità di scelte alle arterie, agli enti amministrativi di minore importanza; da anni, non da oggi, le casse comunali devono far fronte a necessità e bilanci con sempre meno liquido a disposizione, arrangiandosi come possono a far cassa.

Se l’ultimo trand per la sopravvivenza è la tassazione locale attuata al massimo regime, per anni le amministrazioni hanno scelto di far cassa tramite gli oneri di urbanizzazione; da qui la scelta di far costruire ovunque e comunque case e spazi commerciali. Il prezzo lo paga economicamente il piccolo imprenditore, lo paga economicamente e con la vita che abita o frequenta immobili piazzati a raffica dove non dovrebbero o abita laddove si è costruito senza pensare che aumentando abitazioni ed abitanti andavano adeguati anche i “servizi”.

Oggi ne paghiamo il prezzo amaro, amaro come il fiele, come il fiele sgradevole, insopportabile.

Negli ultimi anni si sono affacciate sulla scena alcune amministrazioni svincolate completamente da questa macchina auto referenziata, amministrazioni che vorrebbero migliorare il bene comune, diffonderlo, ma non riescono a centrare l’obbiettivo perché vessate da piani di stabilità e da tagli economici attuate da parte dello Stato.

Ho descritto (chi mi conosce lo sa) tanti motivi e tante cause che indicano perchè occorra votarsi verso un “Federalismo reale”, a mio avviso di stampo municipale. Questo stato di fatto produce morti violente dovute ai nubifragi e morti forse ancor più pesanti legate alla crisi economica che questa situazione tecnocratica alimenta.

Occorre, per liberarsi dal pantano, la libertà economica; necessitano spazio di movimento, scelte locali.

In questo senso si muove l’azione intrapresa partendo da Cantù di istituire una Regione Autonoma a Statuto Speciale. Un obbiettivo questo da replicare attraverso altre Province cercando di sfruttare quell’unico metodo costituzionalmente concesso che porterebbe ad un Federalismo di nuova generazione, quello che nasce ridisegnando i territori, quello che nasce dal basso.

Nell’azione specifica canturina si punta alla nascita di una Regione che comprende le province di Como, Lecco e Sondrio; io auspico nasca al più presto un azione che cerchi di coinvolgere Varese e Novara che nell’insieme completerebbero una fascia insubrica, fascia  che nel tempo si potrebbe saldare.

Libertà economica, scelte locali dicevamo. Non basta. Quantomeno lascia ancora spazio al pericolo che nascano mille Roma locali, all’azione vanno associati anche strumenti di Democrazia Diretta di esempio svizzero che consentano al cittadino di controllare, partecipare, deliberare.

Questa è l’unica via che può salvare vite umane sottraendo vittime sacrificali ai drammi ambientali, economici e sociali che l’attuale sistema continua ad imporci; seguiamo la via dell’Autogoverno, l’unica possibile e sostenibile.

Giorgio Bargna

venerdì 14 novembre 2014

Processo partecipativo e comunicazione

Partiamo quest’oggi per un viaggio che tocca sicuramente due temi che mi stanno a cuore: la Partecipazione, la Comunicazione.
Sicuramente amministrare un territorio è diventato sempre più difficile. Le varianti, i coefficienti, di difficoltà sono molte; possiamo annoverare tra esse i cambiamento dei bisogni del cittadino, una composizione sociale in continua fluidità, l’affanno dei tradizionali strumenti di rappresentanza nel presentarsi credibili. Oggi il cittadino, sempre più attento e competente, con una certa convinzione pretende di metterci del proprio nelle scelte collettive.

Cantù, tramite Lavori in Corso, io siamo da sempre convinti che necessiti coinvolgere i portatori di interesse salvo rischiare di trovarsi di fronte a situazioni di conflitto, della scelta, paralisi delle decisioni; partecipazione e inclusione  portano le amministrazioni a definire politiche pubbliche di qualità, si tratta di un percorso che gli enti sempre più promuovono su vari fronti: riguardo a decisioni sull’organizzazione degli spazi della città, decisioni sulle priorità che si traducono nei bilanci degli enti, ma anche PGT partecipati o politiche sociali.


Come a Cantù, in altre situazioni si sperimenta e si studia sul tema partecipativo e non solo riguardo a regole e metodi ma anche rispetto all’evoluzione della Democrazia, più precisamente riguardo il ruolo della democrazia rappresentativa, quello della democrazia deliberativa e le loro reciproche relazioni.

L’inclusività decisionale, la decisione partecipata, è insita di rischi e problematiche. Un rischio è certamente legato al numero degli attori coinvolti, spesso rischiano di essere troppi oppure pochi, collegato vi è il rischio di una scarsa  informazione atta ad affrontare consapevolmente la decisione che può tradursi in scelte improvvisate, casuali e poco sagge.
Vi è, e non in secondo piano, anche il rischio che il processo partecipato rimanga confinato all’interno dell’ufficio che lo promuove, senza essere poi così recepito nella location che lo riguarda rischiando di non incidere in alcun modo sul contesto in cui si dovrebbe calare.
Qui Partecipazione e Comunicazione dimostrano la loro necessità di essere coppia, sinergia. La comunicazione incide, determina, organizzativamente parlando, tanto la gestione delle relazioni interne quanto quelle dirette verso l’esterno. Necessita una buona, saggia Comunicazione per far conoscere, per coinvolgere, per favorire il confronto, per informare, per alimentare i dibattiti pubblici.
Non sono ne laureato ne dues ex machina,  per formulare le giuste procedure, però cercherò di formulare alcune riflessioni su punti importanti del processo e sulla relazione fra questi e le attività di comunicazione.

1) PRIMA DEL PROCESSO
In questo capitolo proviamo ad analizzare qualche fattore “pre processo di partecipazione”, azioni che possiamo considerare rilevanti per la progettazione strategica delle attività di comunicazione, alcune caratteristiche dei processi partecipativi che possono essere rilevanti nelle scelte relative alle attività di comunicazione.

Contesti di Partecipazione  
Vi sono, essenzialmente, due diversi approcci alla partecipazione:
1) approccio “top down”: è l’amministrazione a decidere che utilizzerà questa modalità per essere più vicina ai cittadini e ai loro bisogni. Qui il politico attiva il processo inclusivo e ne trae delle conclusioni da mettere al voto, per scelta essenzialmente politica che non necessariamente risponde a delle esigenze del territorio.

2) approccio “bottom up”: è quello che parte da un’azione già organizzata sul territorio o da una conflittualità a cui l’amministrazione debba far fronte; anche in questo caso necessita comunque la volontà politica dell’ascolto, dell’incusività della deliberazione condivisa.

Cantù, ad esempio, ha fornito varie possibilità partecipative regolamentandole in modo tale che tanto l’Amministrazione che ogni Attore Sociale possano attivarle.

E’ ovvio che i processi partecipativi siano il segnale utilizzato dagli amministratori per dare il senso del cambiamento e per segnare in modo evidente la volontà di ascoltare e coinvolgere il cittadino. Si tratta dunque di una linea di demarcazione netta rispetto alle modalità tradizionali ed un segnale concreto di dialogo e relazione verso il cittadino.

In alcuni casi a concorrere alla decisione politica di attivare una modalità partecipativa è il contesto sociale, il suo lascito, il suo tessuto composto di associazionismo, pratiche di collaborazione pubblico/privato particolarmente diffusi e tradizionalmente distintivi di quella comunità e di quel territorio.  Quindi si scelta politica, ma figlia, oltre che del credo, anche delle caratteristiche del proprio contesto territoriale di riferimento.

Affrontando la parte comunicativa quanto introdotto (la scelta verso la partecipazione, l’inclusione, l’ascolto di voci esterne all’amministrazione) andrebbe trasmesso costituendo una precisa scelta anche per le strategie di comunicazione. Infatti se la decisione del processo partecipato è una scelta politica allora può diventare un elemento e un connotato distintivo in termini di identità e quindi di promozione di quella identità. Una buona comunicazione è atta anche a non alimentare eccessive speranze ed a recuperare in caso di eventuali flop.


Democrazia deliberativa e democrazia rappresentativa
Alcuni dei fattori scatenanti nel conflitto fra democrazia rappresentativa e democrazia deliberativa è il pensiero, la nicchia più o meno reddituale, di alcuni politici convinti che la partecipazione di altri attori non istituzionali alle scelte dell’amministrazione “eroda potere” e leda le loro funzioni di unici “mediatori degli interessi” ritenendo in aggiunta che “i cittadini difficilmente possano portare contributi qualificati”. Di fatto la partecipazione, se ben strutturata, non toglie alcun che alla democrazia rappresentativa, anzi si dimostra di essere una modalità per acquisire maggiore consapevolezza della complessità che deve essere governata (diversificazione dei bisogni; realtà sociali che cambiano; questioni ambientali sempre più rilevanti ecc.). La partecipazione è uno strumento importante per il politico, per il tecnico ed anche per il Cittadino che viene responsabilizzato nel proprio ruolo sociale.

Comunicativamente quando la scelta dell’amministrazione è per il processo partecipato come strumento per giungere a decisioni migliori, occorre promuovere l’idea della democrazia deliberativa, contribuendo a definire gli ambiti, i ruoli, le responsabilità e le reciproche differenze in termini di potenzialità e non di sottrazione.
In secondo luogo la partecipazione è, per i cittadini, anche un momento di assunzione di responsabilità: in questo senso, uno dei messaggi di promozione della partecipazione riguarda la partecipazione come "responsabilità", di contro all’esercizio della "protesta", ovvero la promozione e l’educazione a una "cultura di governo” contrapposta ad una cultura dell'opposizione. Sembra dunque interessante fare proprio questo concetto in termini di valore dell'esperienza partecipativa e quindi veicolarla in termini di messaggi e azioni di comunicazione.

(continua)

martedì 11 novembre 2014

Cantù chiama, a voi rispondere

Non tutti, anzi credo in pochi, sanno che nel pomeriggio dell’8 Novembre 2014 è partito, da Cantù, tramite l’azione della “Coalizione Civica Lavori in Corso” (che già la aveva fatto con altri risultati, allora da minoranza, nel 2008), un processo diretto all’istituzione di una nuova Regione Autonoma a Statuto Speciale. Faremo un po’ di cronaca, elencheremo di critiche e diffidenze, elencheremo i perché, rinnoveremo alcuni inviti.

Nel pomeriggio di sabato il Consiglio Comunale di Cantù ha approvato la nostra proposta di delibera di avvio del procedimento costituzionale per la creazione della nuova regione a statuto speciale composta dalle nostre provincie di Como, Lecco e Sondrio.

Il viaggio è certamente lungo, ma non per questo non va affrontato. I passaggi successivi saranno i seguenti:
1 - approvazione da parte di altri consigli comunali (che insieme rappresentino almeno 1/3 della popolazione interessata);
2 - referendum popolare di approvazione da parte della popolazione delle tre provincie;
3 - parere della Regione;
4 - legge costituzionale conforme alla volontà espressa dai consigli comunali e dalla popolazione.

Sabato Cantù ha fatto la propria parte, dando l'input iniziale. Ora di fatto toccherà agli altri Consigli Comunali (ai quali verrà inviata la nostra bozza di delibera), alla Regione ed al Parlamento. Il referendum potrà essere indetto solo a seguito dell'approvazione della delibera da parte dei numero previsto di Consigli Comunali.
L'esito del referendum è scontato. 

Le incognite sono altre:
1) Cosa faranno gli altri Comuni?
2) Cosa dirà la Regione?
3) Cosa farà il Parlamento e cosa faranno i singoli parlamentari?

Ogni livello di potere sarà coinvolto e dovrà esprimersi pro o contro.
Ogni elettore potrà così osservare e giudicare il proprio Sindaco, il proprio Consiglio Comunale, i consiglieri regionali, i parlamentari, insomma tutti sotto esame popolare. Questo è il trionfo della democrazia attraverso una procedura costituzionale di cui nessun altro nel nostro territorio e nella nostra regione ha mai pensato di ricorrere prima d'ora.

Per una volta, in un paese in cui tutto viene fatto "de sfruss", tutto sarà molto chiaro e trasparente. Tutti vedranno chi c'è e chi no. E giudicheranno di conseguenza.
Al voto è risultato contrario il Partito Democratico, ma il Consigliere Spinelli nel 2008 votò a favore, sarebbe interessante capire cosa ha fatto cambiare idea al membro di un partito che ha sempre avuto nel DNA il Federalismo. A favore il mio amico Giorgio Masocco, di Indipendenza Lombarda, che nel 2008 da militante Lega votò contro; onore al merito di aver capito (a mio avviso) le differenze su chi l’autonomia la vuole davvero e chi no. La Lega non ha neppure preso parte alla votazione.

Il deputato leghista (nonché Consigliere Comunale e candidato Sindaco) Nicola Molteni ha dichiarato: “Un percorso lungo e arduo, secolare” ed ha invitato a  ritirare la delibera in questione per lavorare insieme verso il processo atto a far diventare la Lombardia Regione a Statuto Speciale. Esso dice, rivolto al Sindaco di Cantù: “Dimentichi che è guidata da Maroni, Sindaco e metta sul tavolo il peso che la nostra città può avere, io sarò al suo fianco”.

Nel 2008 la Lega comunicò più o meno questo concetto: “Con Bossi Ministro delle Riforme non ci servono queste iniziative”. Siamo ancora qui ad aspettare concrete azioni che già ce ne propinano altre.

Quando si tratta della creazione di nuove Regioni il primo passo, precisa la Costituzione, spetta ai Consigli Comunali. Non al Presidente della Repubblica o al Presidente del Consiglio o al Presidente della Regione: ai Consigli Comunali, ossia agli organi istituzionali rappresentativi delle comunità locali. 
La Costituzione richiede dunque che il primo passo lo facciano i Comuni, ossia le comunità locali.

Si tratta di un esempio di “Democrazia dal Basso”. Si tratta di un Federalismo che si fonda sul localismo, sull’autonomia, sulla responsabilità e sulla partecipazione popolare; un Federalismo che si fonda sul Municipio e che vuole arrivare lontano. Si tratta di portare avanti dei valori; valori fondati sull’Autonomia, la Responsabilità, sulla Partecipazione, sul Localismo, sulla Sostenibilità. Si tratta di dare a quei movimenti politici che vogliono il “Bene Comune” le risorse economiche necessarie a farlo; senza denaro non esiste la possibilità di governare bene. Non si tratta di mero egoismo, tutt’altro, si tratta di sopravvivenza di fronte ad uno stato che ci vuole prosciugare fino all’ultimo centesimo senza contropartita sociale, economica e democratica.

Dicevamo che Cantù ha fatto la propria parte, ora occorre la facciano altri. Con Claudio Bizzozero proseguiremo l'opera di costruzione di una rete di Comuni che vogliono andare in questa direzione. L’invito è anche a far si che anche in altre Città, in altre Province, in altre Regioni partano iniziative simili: il chiaro messaggio che il cambiamento si vuole.

Giorgio Bargna

mercoledì 5 novembre 2014

Si vota la delibera

Ne abbiamo già scritto qualche settimana fa, ma ora siamo al concreto; il prossimo sabato, 8 Novembre, alle ore 15,00 è convocato il Consiglio Comunale di Cantù: all’ordine del giorno anche la già citata delibera che intende portare alla nascita di una nuova Regione Autonoma a Statuto Speciale. Il percorso è lungo e complicato, certo, le istituzioni si in traverseranno, certo, questo non significa che non bisogna provarci e che non si debbano coinvolgere più Consigli Comunali, più movimenti indipendenti dalla “politica tradizionale”.

Non si tratta di mero egoismo, tutt’altro, si tratta di sopravvivenza di fronte ad una staterello delle banane che ci vuole prosciugare fino all’ultimo centesimo senza contropartita sociale, economica e democratica, ma soprattutto si tratta di portare avanti dei valori; valori fondati sull’Autonomia, la Responsabilità, sulla Partecipazione, sul Localismo, sulla Sostenibilità.

Da troppo tempo (utilizzando le parole di Claudio Bizzozero, Sindaco di Cantù) “non mi riesce proprio di scrivere i termini "provincia, regione, stato e paese utilizzando l'iniziale maiuscola  (…) continuo invece a scrivere Comune con l'iniziale maiuscola e non nascondo che mi piacerebbe tornare a farlo anche per gli altri enti, ma lo farò solo quando vi saranno buoni motivi per farlo e per ora a me pare che non ve ne siano affatto”.

Come ricorda il Segretario Politico di “Lavori in Corso” Enzo Latorraca, rispondendo alle attese critiche piddine,  “l'autonomia (tanto declamata quanto disattesa dal nostro ordinamento) è uno dei pilastri su cui deve fondarsi un'amministrazione responsabile. Autonomia e responsabilità sono le due facce della stessa medaglia: ognuno, secondo il concetto di sussidiarietà orizzontale, deve assumersi le responsabilità delle scelte che incidono sulla comunità amministrata. Oggi l'autonomia è relegata a mera decorazione, priva di reale incidenza, dovendo, gli enti locali, subire l'etero-direzione in buona parte delle competenze loro attribuite, a cominciare dalla finanza locale, rimasta tale solo nominalmente. Le istanze recenti, di tutti i partiti nazionali, occorre dirlo, vanno nel senso opposto: la sottrazione di autonomia (e di democrazia), come è accaduto per le province e come accade per i tagli lineari imposti, senza alcun dialogo, oltre che per il patto di stabilità che, come un giogo, costringe i comuni al livello di sussistenza pur avendo bilanci in ordine e con potenzialità di investimento. Ritengo, nella mia veste di segretario di Lavori in Corso che il tema sia troppo importante per essere relegato a semplice boutade: ecco perché il percorso, assolutamente legittimo (e non eversivo), previsto dalla stessa Carta Costituzionale, deve accedere ad una discussione senza pregiudiziali, in cui tutti gli attori della politica locale sono chiamati a confrontarsi nel merito. Per quanto riguarda Lavori In Corso il dialogo è aperto, senza preclusioni nei confronti di alcuno, nel solo ed esclusivo interesse dei nostri territori che scontano decenni di aride politiche centriste”.

Io, Giorgio Bargna, dalle pagine che diffondono quanto scrivo invito quanti credono in questi ideali a partecipare a questo Consiglio Comunale ma soprattutto a diffondere la notizia ed a prodigarsi nei propri territori affinchè questa Delibera venga replicata.

Buona Democrazia e buona Autonomia a tutti!!!

martedì 4 novembre 2014

Di nuovo su "Il Lavoro"

Non dico certamente qualcosa di nuovo asserendo che la crisi economica degli ultimi anni, su cui poi magari bisognerebbe approfondire le cause, abbia accentuato le difficoltà nell’impiego di risorse umane e che soprattutto abbia peggiorato gli indicatori di qualità della condizione dei lavoratori. Si moltiplica la presenza di contratti temporanei (anche a lungo periodo) che sempre più raramente si concretizzano con la loro stabilità temporale, spesso inoltre si accede ad una mansione tramite la richiesta di un titolo di studio superiore alla necessità reale di fronte alla bassa retribuzione e all’irregolarità dei contratti.

Ne ero già persuaso prima di perdere il mio ultimo contratto a tempo indeterminato, lo sono ancora di più oggi che ne inseguo uno: difficilmente per qualità e retribuzione trovero qualcosa di pari livello; lo sanno in molti anche e forse soprattutto coloro che nella scala delle mansioni pagano la diminuzione del lavoro partendo dalla crisi dell’edilizia (settore che è stato però drogato negli ultimi anni) scendendo per gli accessori quali magari arredamento e similari.
Si sono mantenute, a mio avviso, costanti le percentuali di differenza statistica tra nord e sud mentre alla problematica del lavoro giovanile si è aggiunta la crisi occupazionale di chi è definibile over 45. Se si leggono le statistiche, qualcuno parla di non partecipazione al mondo del lavoro, a mio avviso dietro a queste cifre si nasconde il lavoro in nero, genere di lavoro che approfitta delle difficoltà degli stranieri e che diametralmente avvicina coloro che sono supportati da ammortizzatori sociali; si legge anche della crescita dei dati tra gli ultracinquantenni, mi pare chiaro che i prolungamenti resi possibili dalle ultime scelte di natura pensionistica invitino a continuare a lavorare, più che a sopravvivere con la “pensione”, ovvio che l’aumento di lavoro in questa fascia di età provochi collassi in fasce più giovani.

Da sempre poi il mondo del lavoro in Italia per le donne è insito di difficoltà volute e/o dovute sia a causa di mentalità primordiali che a causa della scarsità di servizi sociali fornite ad una donna che decide di diventare moglie e madre.

A qualcuno potrebbe apparire retorico parlare di qualità di lavoro in questa situazione, a mio avviso sempre e comunque deve, dovrebbe, valere un principio di “adeguamento del lavoro all’uomo e non viceversa” anche se il lavoro è altresì un elemento centrale per il progresso economico della collettività.

Partendo da aspetti statistici potremmo concentrarci su quattro dimensioni della qualità del lavoro.
La prima dimensione, ergonomica, fa riferimento ai bisogni dell’individuo sul posto di lavoro.
La seconda, la dimensione della complessità, corrisponde alle esigenze di creatività, sviluppo di competenze e problem-solving della persona.
La dimensione dell’autonomia riguarda invece la possibilità di avere una certa libertà decisionale.
La dimensione del controllo si riferisce al bisogno di controllare le condizioni generali del proprio lavoro.

Un ruolo centrale svolge tuttavia la cosiddetta dimensione economica, ovvero la retribuzione percepita dal lavoratore, associata alla possibilità di soddisfare i bisogni basilari ed essenziali per la sopravvivenza.

Aldilà della retribuzione che a mio avviso si rivela incostante nei risultati passando dal sottopagato al supervalutato molte volte, spesso, viene negata al lavoratore la possibilità gestionale del proprio ruolo vuoi per scelte aziendali, vuoi per l’imposizione egoistica del classico “capoufficio”.

E’ poi l’OCSE ad esprimere una durissima poi la descrizione su tipologia e qualità del lavoro in Italia:< < contratto a tempo determinato è pari al 70%, una delle più elevate tra i paesi Ocse.  E contare troppo su queste forme contrattuali “è pregiudizievole nei confronti dei singoli e dell’economia” perché può “avere un effetto negativo sia sull’equità, sia sull’efficienza”>>. 

Sempre basandosi su dati OCSE possiamo osservare altri dati allarmanti. In Italia non è solo elevata la quota di disoccupati, ma anche quella di occupati con un lavoro di scarsa qualità. Appare che il lavoro in Italia sembra essere caratterizzato da un basso livello di sicurezza, a causa dell’elevato rischio di disoccupazione e di un sistema di protezione sociale caratterizzato da un tasso di copertura relativamente ridotto e da un contributo poco generoso agli aventi diritto.
Concordo, per esperienze personali, ad altre osservazioni OCSE secondo le quali in Italia anche la qualità dell’ambiente di lavoro è modesta de un alto numero di persone ritiene di lavorare in condizioni difficili e stressanti, caratterizzate da un elevato livello di pressione e dalla necessità di svolgere mansioni complesse con risorse limitate. 

Troppo spesso i temi legati alla salute ed alla sicurezza di lavoratori finiscono con l'essere marginali nonostante morti, infortuni, malattie professionali ed ambientali, forniscono ogni anno statistiche impietose. La visibilità dei lavoratori e delle loro problematiche sono, spesso, legate a vicende tragiche. Parimenti si continua ad ignorare la relazione tra l'ambiente interno alla fabbrica, le sue problematiche e quanto accade fuori i perimetri di alcuni indotti, andrebbe rivendicato oggi più che mai il diritto alla salute e sicurezza nel segno di quelli sanciti dalla Costituzione italiana, unitamente alla loro dignità di lavoratori e cittadini. E'facile constatare ed affermare che salvaguardando l'ambiente di lavoro, là dove si crea l'inquinamento, si tutela la salute dei lavoratori e di conseguenza quella degli abitanti residenti nei pressi della fabbrica. La questione ambientale e quella occupazionale diventano facce della stessa medaglia e non fattori in competizione tra loro, né tantomeno oggetti di scambio, sono semplicemente due diritti da rispettare.

Oggi il lavoro è sempre più in direzione del contenimento dei costi e dei tempi di produzione legati alla consegna del manufatto prevista dal mercato, costi quel che costi, spesse volte anche nel non rispetto dei parametri ambientali. Sappiamo che ad esso si sacrificano investimenti sulla sicurezza considerati come costi aggiuntivi, se non proprio perdite di tempo, in alcuni casi da conciliare, in altri da evitare. Investire nella sicurezza e sull'ambiente di lavoro non può essere considerato un peso economico, né una mera enunciazione.

Mi chiederete dopo tante critiche una scelta alternativa; sarò breve in questo, non conosco scelte alternative e quindi vi rimando  a questo articolo, ed a questo secondo, tutte le vie passano da li.
Giorgio Bargna

venerdì 31 ottobre 2014

L'omissione

Non è raro sentire il “popolo” inveire pesantemente in rapporto ad amministratori della cosa pubblica, politici e/o politicanti in genere.
Nulla di sbagliato in fondo in questo atteggiamento, se non che la colpa sia sostanzialmente, in via generale, condivisa.
E’ pur vero che vi sono dei rapaci spesso al potere, ma è altrettanto vero che gli è stato concesso, tramite  abulia o indolenza, di farlo. Il “popolo” ha rafforzato, tramite la propria “non azione”, il potere di certi personaggi; di fatto apre la serratura a chi la sta scardinando.

La Natura, è noto, rende, anzi fa nascere, l’uomo ladro, disonesto, furbo; non si può delegare un uomo a gestire bene pubblico senza alcune accortezze morali e legislative.
Per quanto riguarda la legge, mille possono essere le proposte, ma tutte sarebbero vane senza l’apporto morale: ognuno di noi, sotto le varie forme, dovrebbe essere
presente in prima persona sulla scena sociale, anche per controllare l’ingordigia insita in ogni uomo, prima di tutto in noi stessi.

La mancanza di questi correttivi ha consentito che gli apici siano gestiti da nebulosi personaggi che ci accompagnano con costanza verso una situazione che definire fallimentare è poco. Necessita chiaramente un cambio di rotta, questo però può essere suggerito od imposto solamente da chi è penalizzato da questo stato di cose; chi ne trae giovamento ben se ne guarda, non pensiate che siano i predoni a cambiare e la parte lesa immacolata.

Il cittadino medio di questo Paese si considera senza macchia, ma per supponenza, abulia o indolenza “lascia che sia” ogni cosa in questioni politiche, economiche, militari, finanziarie; lascia che sia nelle mani di una classe dirigente o poco dotta o troppo furba la gestione della Cosa Pubblica, salvo poi lagnarsi.
Vige un indifferenza clamorosa verso un mondo dove svettano egoismo e cupidigia, dove il tornaconto personale pare scontato per chi siede su certe poltrone.

L’ho scritto qualche paragrafo qui sopra: è la Natura a plasmare l’indole umana. Esiste dai tempi biblici la lotta tra bene e male, tra crederci o lasciare andare.
I veri nemici da elencare non sono tanto i politici, gli sfruttatori o i burocrati; i veri nemici sono il Male e l’Accidia.

Se all’interno dell’arena non riconosci chi organizza l’incontro tu perderai sempre, qualsiasi sia l’attore in scena di fronte a te.
Amico mio devi risvegliarti dal torpore e riconoscere i tuoi nemici, uno sta intorno a te, l’altro dentro di te….sconfiggili ed il bene (comune) vincerà.

Occorre che tu diventi virtuoso e che rifondi il Sistema su principi più sani.
La decadenza non ci abbandona spontaneamente, occorre la tua azione per
colpire il male alla radice. L’omissione è moralmente e penalmente un reato grave, non sono più tollerabili ormai quei cittadini passivi che in silenzio (o palando a vanvera) subiscono.
Riconosciamo di non aver fatto abbastanza sinora ed attiviamoci.

Giorgio Bargna

martedì 28 ottobre 2014

(Rifondare) La Città

Poniamoci delle riflessioni sulla Città. E’ ancora libera o è schiava dell’urbanizzazione globale?
Siamo ben chiari, la Città, come la intendiamo oggi, non sarebbe esistita senza l’esperienza essenziale e storica della  città comunale indipendente, caratteristica dell’Italia e della Germania. In questo schema organizzativo di Città i Cittadini, subalterni si, ma autonomi rispetto ai feudatari svilupparono sia la libertà di commercio che le prime forme di democrazia attraverso le libere elezioni dei propri rappresentanti. Questo modello di Città  sviluppò un ordine sociale basato sul diritto alla cittadinanza per tutti quelli che vi risiedevano, non basato su vincoli di sangue o etnici, compreso il diritto alla protezione e alla sicurezza per lo “straniero”.
 
L’attuale modello di Città lo possiamo considerare politicamente e strutturalmente in crisi?
Io credo di si!
Oggi nelle Città non si respira più serenità ma paura e senso del pericolo, ciò è dovuto a parecchie motivazioni di vario aspetto, ma tutte legate ad un fenomeno comune.

Intanto oggi, al contrario di allora, quando ben in pochi si spostavano di luogo, le aree urbanizzate accolgono più della metà degli abitanti della terra; all'interno, anche, di aree metropolitane con più di 10 milioni di abitanti.

Oltretutto le aree urbanizzate, pur occupando solo il 2% della superficie terrestre, consumano tre quarti delle risorse del pianeta, producendo una massa enorme di gas inquinanti, di rifiuti e di sostanze tossiche.

Consideriamo che negli inizi del secolo scorso la più popolosa Città al mondo (Londra) contava  6,5 milioni di abitanti. Oggi l’urbanizzazione selvaggia materializza enormi problemi ambientali e sociali nei confronti ad esempio della sicurezza urbana e dell’aumento delle malattie.

Consideriamo che le  25 maggiori città della terra producono più della metà della ricchezza del pianeta.

Si sviluppa attraverso questo fenomeno di intesa delle Città Metropolitane un secondo, conseguente, fenomeno: la mega regione. Dati delle N.U. informano che all’interno di queste mega regioni viva un quinto degli abitanti della Terra e che in questi ambiti si svolga il 66% delle attività economiche e l’85% di quelle tecnologiche e scientifiche sviluppando un giro d’affari intorno ai 100 miliardi di dollari minimo, che le pone al di sopra della 40a più grande nazione in termine di PIL.

La mega-regione in pratica svolge la funzione che una volta era svolta dalla città ma
semplicemente su scala molto maggiore…ma numeri di questa caratura sono ecologicamente e democraticamente sostenibili?

L’impronta ecologica sostenibile del pianeta, necessaria a produrre le risorse utilizzate per assorbire i nostri rifiuti, equivale a un indice di 1,78 annuo  pro-capite. Ma un americano ne necessita di 9,5, un italiano di 4,8. Ogni metro dell’Africa, invece, ha invece un’impronta ecologica inferiore all’indice. Oggi consumiamo il 23% in più delle risorse che la Terra riesce a produrre in un anno.

Per essere ancora più chiari le risorse che la biosfera produce in 365 giorni noi le bruciamo in 282. Più la città è estesa, più questa impronta è forte. L’impronta ecologica è direttamente connessa al consumo di suolo sottratto alla natura e al suo uso produttivo primario. Stando ad uno studio dell’ISPRA  il nostro paese è passato da un consumo di suolo pari a 8.000 kmq nel 1956, ai 20.500 kmq nel 2010, equivalente a 343 mq pro capite rispetto 170 mq nel 1956, pari ad un consumo medio di territorio del 6,9% a fronte di una media del 2,8% nel 1956. Le media europea di consumo di suolo equivale al 2,3%.

La globalizzazione ha inciso sicuramente in questi aspetti, le Città inizialmente si sviluppavano per motivi di industrializzazione, oggi sicuramente  diventano sempre più luoghi dove estrarre profitto attraverso la loro valorizzazione immobiliare e la loro rielaborazione intesa alle esigenze di mobilità delle persone e delle merci, luoghi di estrazione di forza-lavoro a basso costo, di consumi di massa, dove si concentra il potere finanziario e direzionale dell’economia globale. Si tratta di meccanismi di dominio e di controllo economico, sociale, culturale del mondo: al vertice le grandi città sedi della finanza e del potere a seguire le grandi metropoli terziarie  orientate ai consumi di massa, poi il famoso terzo mondo figlio dalla privatizzazione della terra e dell’acqua.

In questo modello urbano risiede una molteplicità di collocazioni, intesa di bassorilievo nei confronti di un cerchia di stampo aristocratico disinteressata al bene comune, troviamo un “secondo valore di umanità” rinchiuso, emarginato, in enclave identitarie anche a base etnica, che lottano per la vita ai margini o fuori della legalità nelle anonime periferie urbane, dove regnano lo sradicamento, la solitudine, l’esclusione sociale e dove sembrano smarrite le speranze di emancipazione e integrazione sociale.
Questa impronta globalista, attraverso la quale la Città non riesce più a produrre Società, travolge e snatura le nostre città, e con esse la nostra democrazia trasformandola progressivamente in oligarchia e forse in tirannia.

Dove, come possiamo rifondare la Città?
Innanzitutto risfoderando i simboli ed il senso di Appartenenza, ridando la bellezza, architettonica e sociale, riprendendo nelle nostre mani il destino delle nostre città perché al principio del danno ci sono la crisi ed il fallimento della politica. E’ stato annientato il potere delle comunità locali nell’orientare le scelte dello sviluppo locale; il governo e la politica locale non conducono più le città in nome dei cittadini e nell’intesa del bene comune. Le Città sono state trasformate in merce e privatizzate a favore dei poteri forti della speculazione finanziaria e immobiliare, della rendita urbana: i comuni si finanziano con l’espansione urbana e il consumo di territorio, svendendo e privatizzando i propri beni comuni. L’effetto è evidente: insostenibilità ecologica e  centralizzazione del sistema decisionale in nome della necessità di governare le emergenze ambientali, le grandi opere infrastrutturali attraverso il conferimento di poteri eccezionali che aggirano le regole e le norme di legge.

L’unica alternativa non può che trovare le sue radici nel vero municipalismo e in un nuovo policentrismo territoriale e metropolitano ecologicamente auto-sostenibile, basato sulle bioregioni e sulla cooperazione municipale.
Necessita puntare su convenzioni di cooperazione orizzontale tra comuni  per riallacciare e
riunificare ambiti territoriali di area basandosi su delle specifiche peculiarità storiche, culturali, ambientali, morfologiche e geologiche del territorio, per promuovere sviluppo locale auto sostenibile.

Individuate, sviluppate queste aree governate attraverso patti federativi tra comunità locali, occorre rimettere in discussione l’attuale assetto delle Regioni e delle Province puntando ad una forte decentralizzazione degli ambiti decisionali e di governo a scala di Area, Comune e Quartiere.
Il territorio va inteso quale bene comune non alienabile assoggettato ad un governo collettivo da parte delle comunità locali aderendo al modello policentrico e multipolare della bioregione come ecosistema urbano e rurale dotato di una forte capacità di auto sostenibilità.

Necessita valorizzare la comunità e la capacità di autogoverno dei cittadini nella gestione dei beni in comune, l’educazione a coltivare il luogo di vita quale bene comune, con istituzioni e leggi che le promuovano e sorreggano.

Il rinnovo delle nostre Città e della nostra Società in generale è legato al protagonismo e impegno civico del cittadino da cui può rinascere la Città con la C maiuscola come nuova democrazia saldamente ancorata in città a misura d’uomo.

Giorgio Bargna