domenica 13 aprile 2014

Questa non è l'Europa dei Popoli

Quanti mi conosco sanno di quanto io sia in sintonia con il pensiero di Alain de Benoist, del filosofo francese ho appena letto un pensiero su come l’Europa abbia ignorato negli anni i popoli che dell'Istituzione ne dovrebbero essere i titolari.

Possiamo tranquillamente osservare un trand europeo della fusione dei partiti tradizionali conservatori e socialisti in governi di unità nazionali, una fusione funzionale alla difesa delle politiche partorite a Bruxelles contro la volontà degli elettori e destinate alla difesa di pochi ma importanti interessi. Si tratta di una lunga deriva che ha continuato a prendere velocità dopo la firma del Trattato di Maastricht.

Ogni persona che segue, con attenzione, gli andamenti credo si sia ormai resa conto che la Commissione europea sfugga ad ogni controllo democratico, che il Consiglio dei ministri, composto dai governi europei, non ha l'obbligo di rendere conto a nessuno, che le scelte della Banca centrale non devono essere confermate dal Parlamento. I Commissari agiscono a “loro” piacimento l’ ”Europa” non ha fatto altro che procedere senza i popoli, il Trattato di Lisbona insegna.

Come me il pensatore francese, parafando una frase di Nietzsche, è convinto che l'Europa si farà sull'orlo di una tomba. Il che significa che l’assetto della costruzione europea potrà modificarsi e rendersi digeribile solo quando le istituzioni attuali saranno crollate del tutto. De Benoist paragona la situazione al sistema capitalista che ha meno da temere dai suoi avversari che da se stesso: “saranno le sue stesse contraddizioni a distruggerlo”.

Entrambi crediamo nel Federalismo, ma non in quello spacciato in Europa ed Italia negli ultimi decenni, quello calato dall’alto, imposto od imponibile senza un percorso condiviso. Credo, crediamo, invece che il Federalismo sia ben altra cosa e che come nella costruzione europea il tutto avvenga dal basso, dal quartiere e dal vicinato verso il comune, dal comune verso la regione, dalla regione verso la nazione, dalla nazione verso l'Europa. Questo avrebbe consentito l'applicazione rigorosa del principio di sussidiarietà. La sussidiarietà esige che l'autorità superiore intervenga nei soli casi in cui l'autorità inferiore è incapace di farlo (è il principio di competenza sufficiente).

La burocrazia accentratrice di Bruxelles invece norma tutto a proprio piacimento, altro che federale, l’attuale Europa è somministratrice di autoritarismo punitivo, centralismo ed opacità.

Questa Europa ci ha imposto una moneta unica che di per se stessa era anche un idea pertinente, soprattutto nella prospettiva della creazione di una moneta di riserva alternativa al dollaro. I guai, i problemi, i drammi di questa scelta sono solo stati la conseguenza della parificazione di valore tra Euro e Marco; teoricamente, alla nascita, l'euro avrebbe dovuto favorire la convergenza delle economie nazionali, in realtà, proprio per la sua sopravvalutazione, ha favorito la loro divergenza.

Anche l’uscita dall’Euro avrebbe la necessità di essere di stampo federativo, unitario, condiviso; il ritorno ad una moneta nazionale, singola in Europa, seguito da una svalutazione, avrebbe tra le conseguenze quella di rincarare il debito pubblico che rimarrebbe in euro, l'uscita dall'euro avrebbe senso solo se fosse presa di concerto.

Oltretutto il nostro debito è stato si aggravato dall’avvento dell’euro, ma nasce altrove e paga sostanzialmente la dipendenza degli Stati rispetto ai mercati finanziari, trova la sua origine nella natura stessa del sistema capitalista. La scomparsa dell'euro non ci farebbe comunque, di proprio, uscire da quel sistema.

Non possiamo però negare che l’Euro, la sua sopravvivenza, le scelte del FMI stiano annientando le nostre libertà e distruggendo sia il presente che il futuro nostro e dei nostri figli. Vengono varate, sempre più spesso, in nome del Patto di Stabilità misure di “austerità” che passano attraverso la privatizzazione ad oltranza, la concorrenza selvaggia, il ribasso degli stipendi, le delocalizzazioni, lo smantellamento del settore pubblico e dei servizi sociali. Queste politiche annullano il potere d'acquisto, la conseguente domanda, il consumo, la produzione aumentando, per naturale percorso, la disoccupazione ed il calo delle entrate fiscali. Vittime sacrificali di queste scelte innanzitutto le classi popolari e le classi medie oggi naturalmente destinate a superare la soglia di povertà.

Il cittadino europeo paga dazio, oltre che a causa di quanto già descritto, anche grazie ad una politica di libertà assoluta di movimento dei capitali e delle merci, di una totale libertà di circolazione delle persone. Tutto questo fa il gioco delle classi dominanti, che trovano agevolazioni e vantaggi fiscali tanto nel movimento del denaro che nell’immigrazione, fattore che consente loro di esercitare una pressione al ribasso sui salari dei lavoratori “autoctoni”.

L’Europa, la forma-capitale in se stessa, hanno ucciso anche la politica, annientato la differenza tra destra e sinistra; la maggior parte della gente non riesce più contraddistinguere la destra dalla sinistra. Non ci riesce perché da decenni si alternano governi che dovrebbero ispirarsi a dogmi diversi che invece si fondano sulle stesse politiche.

Si è creato un modello, non solo economico  ma anche culturale, da cui ora è impossibile uscire durante la corsa; come afferma de Benoist nel pensiero citato all’inizio “esistono certamente modelli alternativi al sistema capitalista attuale, ma non hanno nessuna possibilità di essere applicati finché non saremo andati fino in fondo con la crisi”.

Afferma inoltre il pensatore francese che “non se ne può uscire che totalmente, oppure rimanerci. Rompere con quel sistema implicherebbe una vera e propria “decolonizzazione” degli spiriti. Il capitalismo non è infatti solo un sistema economico, è anche portatore di una dinamica antropologica, nel nostro caso un uomo che non sarebbe altro che un consumatore-produttore mosso da considerazioni meramente utilitariste o rilevanti dell'assiomatico dell'interesse. In questo senso, rompere con il sistema capitalista attuale implica anche il fatto di rompere con l'ossessione economica ed il primato dei soli valori di mercato”.
La nuova Europa di cui i cittadini dovrebbero godere per diritto naturale non potrà certo nascere sulla spinta della politica tradizionale, tantomeno delle attuali istituzioni europee o delle prossime elezioni continentali  il cui unico scopo e valore sarà la valutazione del ranking politico di ogni nazione.

Io, come il filosofo francese, non mi aspetto più nulla dalla politica, quantomeno da quello che è l’intendimento di politica ad oggi. I cambiamenti strutturali delle società, quelli che cambiano il corso della storia, a causa delle proprie complessità raramente vengono partoriti da burocrati, faccendieri e servi di corte. Concordo con de Benoist “sono di una natura troppo complessa per ridursi ad iniziative politiche o governative che, quasi in tutti i casi, non sono capaci di andare oltre l'orizzonte del breve termine e gli imperativi della pura gestione”.

Il cambiamento avverrà con tutta probabilità grazie al cedimento strutturale di questo sistema, noi liberi cittadini, capaci di pensare fuori dai dogmi imposti impegniamoci a disegnare il mondo che verrà, applichiamoci nel far si che esso sia un mondo, nel nostro caso un Europa, decisamente migliore e più giusta.

Giorgio Bargna