Quanti mi conosco sanno di quanto io sia in
sintonia con il pensiero di Alain
de Benoist, del filosofo francese ho appena letto un
pensiero su come l’Europa abbia ignorato negli anni i popoli che
dell'Istituzione ne dovrebbero essere i titolari.
Possiamo tranquillamente osservare un trand
europeo della fusione dei partiti tradizionali conservatori e socialisti in
governi di unità nazionali, una fusione funzionale alla difesa delle politiche
partorite a Bruxelles contro la volontà degli elettori e destinate alla difesa
di pochi ma importanti interessi. Si tratta di una lunga deriva che ha continuato
a prendere velocità dopo la firma del Trattato di Maastricht.
Ogni persona che segue, con attenzione, gli
andamenti credo si sia ormai resa conto che la Commissione europea sfugga ad
ogni controllo democratico, che il Consiglio dei ministri, composto dai governi
europei, non ha l'obbligo di rendere conto a nessuno, che le scelte della Banca
centrale non devono essere confermate dal Parlamento. I Commissari agiscono a
“loro” piacimento l’ ”Europa” non ha fatto altro che procedere senza i popoli,
il Trattato
di Lisbona insegna.
Come me il pensatore francese, parafando una
frase di Nietzsche, è convinto che l'Europa si farà sull'orlo di una tomba. Il
che significa che l’assetto della costruzione europea potrà modificarsi e
rendersi digeribile solo quando le istituzioni attuali saranno crollate del
tutto. De Benoist paragona la situazione al sistema capitalista che ha meno da
temere dai suoi avversari che da se stesso: “saranno le sue stesse contraddizioni a distruggerlo”.
Entrambi crediamo nel Federalismo, ma non in
quello spacciato in Europa ed Italia negli ultimi decenni, quello calato
dall’alto, imposto od imponibile senza un percorso condiviso. Credo, crediamo,
invece che il Federalismo sia ben altra cosa e che come nella costruzione
europea il tutto avvenga dal basso, dal quartiere e dal vicinato verso il
comune, dal comune verso la regione, dalla regione verso la nazione, dalla
nazione verso l'Europa. Questo avrebbe consentito l'applicazione rigorosa del
principio di sussidiarietà. La sussidiarietà esige che l'autorità superiore
intervenga nei soli casi in cui l'autorità inferiore è incapace di farlo (è il
principio di competenza sufficiente).
La burocrazia accentratrice di Bruxelles invece
norma tutto a proprio piacimento, altro che federale, l’attuale Europa è
somministratrice di autoritarismo punitivo, centralismo ed opacità.
Questa Europa ci ha imposto una moneta unica che
di per se stessa era anche un idea pertinente, soprattutto nella prospettiva
della creazione di una moneta di riserva alternativa al dollaro. I guai, i
problemi, i drammi di questa scelta sono solo stati la conseguenza della
parificazione di valore tra Euro e Marco; teoricamente, alla nascita, l'euro
avrebbe dovuto favorire la convergenza delle economie nazionali, in realtà,
proprio per la sua sopravvalutazione, ha favorito la loro divergenza.
Anche l’uscita dall’Euro avrebbe la necessità di
essere di stampo federativo, unitario, condiviso; il ritorno ad una moneta
nazionale, singola in Europa, seguito da una svalutazione, avrebbe tra le
conseguenze quella di rincarare il debito pubblico che rimarrebbe in euro, l'uscita
dall'euro avrebbe senso solo se fosse presa di concerto.
Oltretutto il nostro debito è stato si aggravato
dall’avvento dell’euro, ma nasce altrove e paga sostanzialmente la dipendenza
degli Stati rispetto ai mercati finanziari, trova la sua origine nella natura
stessa del sistema capitalista. La scomparsa dell'euro non ci farebbe comunque,
di proprio, uscire da quel sistema.
Non possiamo però negare che l’Euro, la sua
sopravvivenza, le scelte del FMI stiano annientando le nostre libertà e
distruggendo sia il presente che il futuro nostro e dei nostri figli. Vengono
varate, sempre più spesso, in nome del Patto di Stabilità misure di “austerità”
che passano attraverso la privatizzazione ad oltranza, la concorrenza
selvaggia, il ribasso degli stipendi, le delocalizzazioni, lo smantellamento
del settore pubblico e dei servizi sociali. Queste politiche annullano il
potere d'acquisto, la conseguente domanda, il consumo, la produzione
aumentando, per naturale percorso, la disoccupazione ed il calo delle entrate
fiscali. Vittime sacrificali di queste scelte innanzitutto le classi popolari e
le classi medie oggi naturalmente destinate a superare la soglia di povertà.
Il cittadino europeo paga dazio, oltre che a
causa di quanto già descritto, anche grazie ad una politica di libertà assoluta
di movimento dei capitali e delle merci, di una totale libertà di circolazione
delle persone. Tutto questo fa il gioco delle classi dominanti, che trovano
agevolazioni e vantaggi fiscali tanto nel movimento del denaro che
nell’immigrazione, fattore che consente loro di esercitare una pressione al
ribasso sui salari dei lavoratori “autoctoni”.
L’Europa, la forma-capitale in se stessa, hanno
ucciso anche la politica, annientato la differenza tra destra e sinistra; la
maggior parte della gente non riesce più contraddistinguere la destra dalla
sinistra. Non ci riesce perché da decenni si alternano governi che dovrebbero
ispirarsi a dogmi diversi che invece si fondano sulle stesse politiche.
Si è creato un modello, non solo economico ma anche culturale, da cui ora è impossibile
uscire durante la corsa; come afferma de Benoist nel pensiero citato all’inizio
“esistono certamente modelli alternativi
al sistema capitalista attuale, ma non hanno nessuna possibilità di essere
applicati finché non saremo andati fino in fondo con la crisi”.
Afferma inoltre il pensatore francese che “non se ne può uscire che totalmente, oppure
rimanerci. Rompere con quel sistema implicherebbe una vera e propria
“decolonizzazione” degli spiriti. Il capitalismo non è infatti solo un sistema
economico, è anche portatore di una dinamica antropologica, nel nostro caso un
uomo che non sarebbe altro che un consumatore-produttore mosso da
considerazioni meramente utilitariste o rilevanti dell'assiomatico
dell'interesse. In questo senso, rompere con il sistema capitalista attuale
implica anche il fatto di rompere con l'ossessione economica ed il primato dei
soli valori di mercato”.
La nuova Europa di cui i cittadini dovrebbero
godere per diritto naturale non potrà certo nascere sulla spinta della politica
tradizionale, tantomeno delle attuali istituzioni europee o delle prossime
elezioni continentali il cui unico scopo
e valore sarà la valutazione del ranking politico di ogni nazione.
Io, come il filosofo francese, non mi aspetto
più nulla dalla politica, quantomeno da quello che è l’intendimento di politica
ad oggi. I cambiamenti strutturali delle società, quelli che cambiano il corso
della storia, a causa delle proprie complessità raramente vengono partoriti da
burocrati, faccendieri e servi di corte. Concordo con de Benoist “sono di una natura troppo complessa per
ridursi ad iniziative politiche o governative che, quasi in tutti i casi, non
sono capaci di andare oltre l'orizzonte del breve termine e gli imperativi
della pura gestione”.
Il cambiamento avverrà con tutta probabilità
grazie al cedimento strutturale di questo sistema, noi liberi cittadini, capaci
di pensare fuori dai dogmi imposti impegniamoci a disegnare il mondo che verrà,
applichiamoci nel far si che esso sia un mondo, nel nostro caso un Europa,
decisamente migliore e più giusta.
Giorgio Bargna
Nessun commento:
Posta un commento