mercoledì 17 settembre 2014

Un concetto moderno di dignità

L’argomento  in essere probabilmente poteva rientrare in quel blocco di riflessioni dedicate ai “Valori”, non lo abbiamo fatto allora, recuperiamo oggi.

Parlando di dignità ci si riferisce essenzialmente ad uno stato, un sentimento che scaturisce dall’importanza, dall’autorevolezza che utilizziamo, in quanto esseri umani, per certificare il nostro valore morale e la nostra onorabilità ritenendo che esse non possano assolutamente essere lese per motivo alcuno. Non tutti viviamo un concetto di dignità comune, la gradazione dipende in massima parte dal percorso che ciascuno sceglie di compiere, sviluppando il proprio "io".

E’ incontestabile quanto possiamo leggere su Wikipedia: In filosofia, con il termine dignità umana si usa riferirsi al valore intrinseco e inestimabile di ogni essere umano: tutti gli uomini, senza distinzioni di età, stato di salute, sesso, razza, religione, grado d'istruzione, nazionalità, cultura, impiego, opinione politica o condizione sociale meritano un rispetto incondizionato, sul quale nessuna "ragion di Stato", nessun "interesse superiore", la "Razza", o la "Società", può imporsi. Ogni uomo è un fine in se stesso, possiede un valore non relativo (com’è, per esempio, un prezzo), ma intrinseco.

Chi sulla dignità ha puntato alto si vota senza indugio a questa frase: “L'orgoglio si può mettere da parte ma la dignità non si perde per nessuno”.

Sono parecchie le idee da difendere e per cui lottare nel percorso di una vita, ma in assenza di questo valore gli uomini, nella loro concreta vita di ogni giorno, sono in balia della sopraffazione, della schiavitú, del nichilismo.

Scrive Moni Ovadia in Madre Dignità:“La dignità umana è inviolabile ed è un valore che non ha prezzo. Non può esistere dignità sociale o collettiva senza dignità individuale della persona, cosí come non può esistere dignità della persona senza dignità sociale. La cosiddetta rivoluzione liberale, nel grembo delle sue derive mercantili, ha generato il piú efficace e terrificante dei totalitarismi, e cioè il totalitarismo del denaro e del profitto, responsabile dei due piú vasti e perduranti crimini della storia: il colonialismo e l'imperialismo. La micidiale deriva ideologica del sedicente liberismo ha fatto carne di porco della dignità della persona, nel suo aspetto individuale come in quello sociale, e i suoi sacerdoti si ingegnano cinicamente a persistere, giorno dopo giorno, in quest'opera nefasta”.

Orgoglio, onore ed autostima, tre vocaboli, tre modi di essere, tre valori che si sono persi nel tempo.

Come perdere la dignità senza accorgersene. Oggi parliamo della dignità sotto quello che considero il suo lato moderno e più infido. Sono anni ormai che sentiamo parlare della piaga dell’assistenzialismo, un governo dopo l’altro, senza soluzione di continuità, hanno riproposto questa subdola ricetta.

Come funziona? Semplice: se sei una ragazza madre ti danno soldi, se hai molti figli ti danno soldi, se sei povero ti danno soldi (e fin qui possiamo annoverare casi di veri bisognosi a cui un aiuto va dato senza ombra di dubbio alcuno tramite formule costruttive), se voti per quel politico ti danno soldi, viene l’amministratore di turno e ti dice: “Bene, se vuoi ti do una pensione per invalidità…”

Il meccanismo è viscido ed i cittadini, gradualmente, hanno riprogrammato il cervello su un unico input: “Ti voto se mi dai”. Come oche da ingrasso inghiottono di tutto, riempiono la pancia ignari di firmare la  condanna a morte propria e quella dei loro discendenti.

Ne parliamo tutti ogni giorno, con i colleghi e con gli amici del bar, ci sono cose che non funzionano, smodatezze delle autorità alla luce del sole, eppure ci si limita a constatare subendo. Si tratta, del resto, della scappatoia più comoda visto l’ambiente che è andato creandosi; il sistema assistenzialista è un salvagente che ti fa galleggiare quantomeno. Peccato, perché abbiamo braccia e gambe, e qualcuno potrebbe anche insegnarci a nuotare…

Chi si ferma davanti ai facili benefici dissipa la possibilità di dimostrare la grandezza della propria persona, la sua capacità di sopportare la situazione critica e di agire per superarla. Viene a diminuire anche il valore del bene comune: ognuno pensa ai benefici personali tralasciando la dimensione comunitaria della vita.
La gente ormai attende per anni le cose, perché le aspetta dall’istituzione, eppure la maggior parte delle cose sono attuabili anche dai cittadini, soli od accompagnati dallo Stato, occorre almeno una volta decidersi e farle di propria iniziativa. Si ascolta in sostanza un lamento continuo contro l’autorità, si denota un’apatia spiazzante di fronte a situazioni che gridano ingiustizia… un sistema perfetto per un potere politico che, dando contentini, continua senza ostacoli le sue strategie di proprio interesse, personale o lobbistico.

Dignità è l'unico vestito che può e deve essere indossato ad ogni occasione. Chi se ne priva, non solo non si ama, ma rinuncia.

Vi sono stati tempi e luoghi in cui  un uomo provava vergogna di una situazione perché considerato infame oppure disonesto, oggi le situazioni si sono invertite; chi delinque non prova rimorso o vergogna, oggi la dignità se la sentono sfuggire di mano solo i pochi onesti che credono ancora nei valori e  basta per loro semplicemente perdere il posto di lavoro o farlo perdere ai propri dipendenti oppure trovarsi nella situazione di non poter onorare i propri debiti. Le morti disperate susseguenti sono all’onore delle cronache.

Vi lascio un pensiero preso di seconda mano dal Web ma non per questo poco valido:
L'art. 1 della Costituzione italiana, come tutti sappiamo, stabilisce: "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione." Quindi la nostra bella Costituzione inizia esattamente così, con tre parole fondanti per l'Italia: repubblica, democrazia, lavoro. Nonostante questo, ancora oggi, vi sono tante persone per cui il diritto al lavoro non è garantito, conseguenze? Per tre mesi, in estate, aveva lavorato come operatore ecologico stagionale. A novembre, con il passaggio di gestione del servizio di raccolta dei rifiuti, aveva presentato domanda alla nuova ditta, che tuttavia l'ha rifiutata. Un uomo di 45 anni, Paolo N., sposato, con un figlio di 18 anni a carico, ha così ritenuto di farla finita. Si è tolto la vita impiccandosi ad una trave del suo garage, nella tarda serata di ieri, senza lasciare messaggi o annunciare le proprie intenzioni. Così, in silenzio, al culmine di una crisi depressiva dovuta al mancato rinnovo del contratto di lavoro, l'uomo si è lasciato andare al tragico gesto di disperazione! Chi lo conosceva ed aveva lavorato con lui ha raccontato che Paolo soffriva parecchio per questa situazione di precarietà del lavoro. Aveva provato ad intraprendere anche altre strade, ma sempre di breve durata. Per questo motivo aveva riposto tutte le sue speranze nella domanda presentata alla nuova ditta. Quando gli hanno detto che al momento non c'era bisogno di lui, probabilmente colto dallo sconforto, ha deciso di togliersi la vita!!!! Personalmente provo un grande dolore per questa persona, per la sua famiglia. Non si può pensare che fosse impazzito, credo che un uomo, soprattutto se con la responsabilità di una famiglia da mantenere e con un'età non più giovane, possa raggiungere la disperazione assieme alla sensazione di non valere più nulla per la società a cui appartiene. Penso sia tremendo rimanere senza lavoro e perdere la speranza di poterlo riavere. Alcuni dicono che l'art. 1 della Costituzione sarebbe da cambiare, non si può dichiarare che la nostra repubblica è fondata su una merce. Propongono di sostituirla con la parola "libertà", valore importantissimo. Ma se non c'è il lavoro, dov'è la libertà, l'indipendenza di quella persona ?

L’incoraggiamento è quindi ad andare contro questo sistema, a dimostrare che si può fare altrimenti e soprattutto a non perdere la dignità. Non sono avvezzo a mettere in campo i pensieri religiosi ma recentemente Papa Francesco ha toccato il tema: “Non avere lavoro non è soltanto non avere il necessario per vivere, noi possiamo mangiare tutti i giorni: andiamo alla Caritas, andiamo a questa associazione, andiamo al club, andiamo là e ci danno da mangiare. Ma quello non è il problema. Il problema è non portare il pane a casa: questo è grave, e questo toglie la dignità! Il problema più grave non è la fame, è la dignità". 

È fondamentale allora “lavorare e difendere la dignità che dà il lavoro”.

Giorgio Bargna



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