lunedì 26 settembre 2016

La Nuova Destra (IV)



Continuiamo a scorrere il capitolo "fondamenti", del cartello politico del movimento "La Nuova Destra", sempre attraverso quanto ho trovato, scritto da Alain de Benoist e Charles Champetier su "DIORAMA LETTERARIO" - Numero 229-230 (ottobre-novembre 1999). Buona lettura, Giorgio.




5. L’economico: al di là del mercato
Per quanto lontano si risalga nella storia delle società umane, talune regole presiedono sempre alla produzione, alla circolazione e al consumo dei beni necessari alla sopravvivenza degli individui e dei gruppi. Pertanto, contrariamente ai presupposti sia del liberalismo che del marxismo, l’economia non ha mai formato l’"infrastruttura" della società: la sovradeterminazione economica ("economicismo") è l’eccezione, non la regola. Numerosi miti associati alla maledizione del lavoro (Prometeo, stupro della Terra-Madre), del denaro (Creso, Gullveig, Tarpea), dell’abbondanza (Pandora) rivelano del resto che l’economia è stata assai presto intesa come la "parte maledetta" di ogni società, l’attività che minaccia di spezzarne l’armonia. L’economia era allora svalutata non perché non fosse utile, ma per il fatto stesso che era soltanto quello. Così come si era ricchi in quanto si era potenti, e non l’inverso: la potenza era accompagnata da un dovere di condivisione e di protezione nei confronti degli affidati. Il "feticismo della merce" non è solo un inconveniente del capitalismo moderno, ma rinvia a una costante antropologica: la produzione in abbondanza di beni differenziati solleva l’invidia, il desiderio mimetico, che produce a sua volta disordine e violenza. In tutte le società premoderne, l’economico è incastrato, contestualizzato negli altri ordini dell’attività umana. L’idea secondo la quale, dal baratto al mercato moderno, gli scambi economici sarebbero sempre stati regolati dal confronto tra offerta e domanda e dal conseguente emergere di un equivalente astratto (il denaro) e di valori oggettivi (valori d’uso, di scambio, di utilità, ecc.) è una favola inventata dal liberalismo. Il mercato non è un modello ideale, che sarebbe possibile universalizzare in virtù della sua astrattezza. Prima di essere un meccanismo è un’istituzione, e questa istituzione non può essere astratta dalla sua storia, né dalle culture che l’hanno generata. Le tre grandi forme di circolazione dei beni sono la reciprocità (dono associato al controdono, suddivisione paritaria o egualitaria), la redistribuzione (centralizzazione e ripartizione della produzione da parte di un’autorità unica) e lo scambio. Esse non rappresentano degli "stadi di sviluppo", ma si sono più o meno sempre trovate a coesistere. La società moderna è caratterizzata dall’ipertrofia dello scambio mercantile: passaggio dall’economia con mercato all’economia di mercato, poi alla società di mercato. L’economia liberale ha tradotto l’ideologia del progresso in religione della crescita: si suppone che il "sempre più" di consumo e di produzione condurrà l’umanità alla felicità. È innegabile che lo sviluppo economico moderno ha soddisfatto certi bisogni primari sino ad allora inaccessibili alla maggior parte delle persone; ma è nondimeno vero che l’accrescimento artificiale dei bisogni grazie alle strategie di seduzione del sistema degli oggetti (pubblicità) sfocia per forza in una impasse. In un mondo dalle risorse limitate e soggetto al principio di entropia, una certa decrescita costituisce l’orizzonte inevitabile dell’umanità. Per l’ampiezza delle trasformazioni messe in atto, la mercantilizzazione del mondo è stata, fra il XVI e il XX secolo, uno dei fenomeni più importanti che l’umanità abbia conosciuto. La sua demercantilizzazione sarà una delle principali poste in gioco nel XXI secolo. Per arrivarci, bisogna ritornare all’origine dell’economia: "oikos-nomos", le leggi generali del nostro habitat nel mondo, leggi che includono gli equilibri ecologici, le passioni umane, il rispetto dell’armonia e della bellezza della natura, e più in generale tutti gli elementi non quantificabili che la scienza economica ha arbitrariamente escluso dai suoi calcoli. Ogni vita economica implica la mediazione di un ampio ventaglio di istituzioni culturali e di strumenti giuridici. Oggi, l’economia deve essere ricontestualizzata all’interno del mondo vivente, nella società, nella politica e nell’etica.

6. L’etica: costruzione di sé
Le categorie fondamentali dell’etica sono universali: ritroviamo dappertutto la distinzione tra il nobile e l’ignobile, il bene e il male, il buono e il cattivo, l’ammirabile e lo spregevole, il giusto e l’ingiusto. In compenso, la designazione degli atti che si accompagnano a ciascuna di queste categorie varia a seconda delle epoche e delle società. La Nuova Destra respinge qualunque concezione puramente morale del mondo, ma ovviamente ammette che nessuna cultura può fare a meno di distinguere il valore etico degli atteggiamenti e dei comportamenti. La morale è indispensabile a quell’essere aperto che è l’uomo; è una conseguenza della sua libertà. Pur esprimendo delle regole generali che costituiscono ovunque la condizione della sopravvivenza delle società, si ricollega anche alle abitudini (mores) e non può essere completamente dissociata dai contesti al cui interno si applica. Ma non può essere considerata sotto l’esclusivo punto di vista della soggettività. La massima "right or wrong my country", ad esempio, non significa che il mio paese ha sempre ragione, ma che resta il mio paese anche quando ha torto. Il che implica che io possa eventualmente dargli torto, e dunque che dispongo di una norma che va al di là della mia sola appartenenza ad esso. Sin dal tempo dei Greci, l’etica indica per gli europei le virtù il cui esercizio costituisce il fondamento della "vita buona": la generosità contro l’avarizia, l’onore contro la vergogna, il coraggio contro la vigliaccheria, la giustizia contro l’iniquità, la temperanza contro l’esagerazione, il senso del dovere contro la diserzione, l’audacia contro la cautela, il disinteressamento contro la cupidigia e via dicendo. Il buon cittadino è quello che tende sempre verso l’eccellenza in ciascuna di queste virtù, diceva Aristotele. Questa volontà di eccellenza non esclude affatto che esistano vari modi di vita (contemplativa, attiva, lucrativa, ecc.), ciascuno dei quali è legato a codici morali diversi, che si trovano disposti in ordine gerarchico nella città: la tradizione europea, espressa dall’antico modello trifunzionale, fa ad esempio prevalere la saggezza sulla forza e la forza sulla ricchezza.
La modernità ha soppiantato l’etica tradizionale, al contempo aristocratica e popolare, con due tipi di morale borghese: la morale utilitaristica di Bentham, fondata sul calcolo materialistico dei piaceri e delle pene (è bene ciò che aumenta il piacere della maggioranza degli individui), e la morale deontologica di Kant, fondata su una concezione unitaria di ciò che è giusto, verso la quale dovrebbero tendere tutti gli individui, conformandosi a una legge morale universale. Quest’ultimo approccio sottintende l’ideologia dei diritti dell’uomo, che è contemporaneamente morale minima e arma strategica dell’etnocentrismo occidentale. Si tratta di un’ideologia basata su una contraddizione in termini. Tutti gli uomini hanno dei diritti, ma non possono esserne titolari in quanto esseri isolati: il diritto sanziona un rapporto di equità, che implica la dimensione sociale. Nessun diritto è dunque concepibile senza un contesto specifico in grado di definirlo, una società in grado di riconoscerlo e definire i doveri che ne rappresentano la contropartita e degli strumenti di costrizione sufficienti a farlo applicare. Quanto alle libertà fondamentali, esse non si decretano, ma esigono di essere conquistate e garantite. Il fatto che gli europei abbiano conseguito questo risultatoimponendo a forza di lotte un diritto delle genti fondato sull’autonomia non implica minimamente che tutti i popoli del pianeta siano tenuti a considerare allo stesso modo la garanzia dei diritti. Contro l’"ordine morale", che confonde norma sociale e norma morale, bisogna poi sostenere la pluralità delle forme della vita sociale, pensare assieme l’ordine e la sua trasgressione, Apollo e Dioniso. Si potrà uscire dal relativismo e dal nichilismo di quello che Nietzsche ha chiamato "l’ultimo uomo", che oggi si svelano su un fondale di materialismo pratico, solamente ricreando un senso, vale a dire facendo ritorno ai valori condivisi, portatori di certezze concrete sperimentate e difese da comunità consapevoli di se stesse.

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