Continuiamo a scorrere il capitolo "fondamenti", del cartello politico del movimento "La Nuova Destra",
sempre attraverso quanto ho trovato, scritto da Alain de Benoist e Charles Champetier su
"DIORAMA LETTERARIO" - Numero 229-230 (ottobre-novembre 1999). Buona
lettura, Giorgio.
5. L’economico: al di là del mercato
Per quanto lontano si risalga nella storia delle
società umane, talune regole presiedono sempre alla produzione, alla
circolazione e al consumo dei beni necessari alla sopravvivenza degli individui
e dei gruppi. Pertanto, contrariamente ai presupposti sia del liberalismo che
del marxismo, l’economia non ha mai formato l’"infrastruttura" della
società: la sovradeterminazione economica ("economicismo") è
l’eccezione, non la regola. Numerosi miti associati alla maledizione del lavoro
(Prometeo, stupro della Terra-Madre), del denaro (Creso, Gullveig, Tarpea),
dell’abbondanza (Pandora) rivelano del resto che l’economia è stata assai
presto intesa come la "parte maledetta" di ogni società, l’attività
che minaccia di spezzarne l’armonia. L’economia era allora svalutata non perché
non fosse utile, ma per il fatto stesso che era soltanto quello. Così come si
era ricchi in quanto si era potenti, e non l’inverso: la potenza era
accompagnata da un dovere di condivisione e di protezione nei confronti degli
affidati. Il "feticismo della merce" non è solo un inconveniente del
capitalismo moderno, ma rinvia a una costante antropologica: la produzione in
abbondanza di beni differenziati solleva l’invidia, il desiderio mimetico, che
produce a sua volta disordine e violenza. In tutte le società premoderne,
l’economico è incastrato, contestualizzato negli altri ordini dell’attività
umana. L’idea secondo la quale, dal baratto al mercato moderno, gli scambi
economici sarebbero sempre stati regolati dal confronto tra offerta e domanda e
dal conseguente emergere di un equivalente astratto (il denaro) e di valori
oggettivi (valori d’uso, di scambio, di utilità, ecc.) è una favola inventata
dal liberalismo. Il mercato non è un modello ideale, che sarebbe possibile
universalizzare in virtù della sua astrattezza. Prima di essere un meccanismo è
un’istituzione, e questa istituzione non può essere astratta dalla sua storia,
né dalle culture che l’hanno generata. Le tre grandi forme di circolazione dei
beni sono la reciprocità (dono associato al controdono, suddivisione paritaria
o egualitaria), la redistribuzione (centralizzazione e ripartizione della
produzione da parte di un’autorità unica) e lo scambio. Esse non rappresentano
degli "stadi di sviluppo", ma si sono più o meno sempre trovate a
coesistere. La società moderna è caratterizzata dall’ipertrofia dello scambio
mercantile: passaggio dall’economia con mercato all’economia di mercato, poi
alla società di mercato. L’economia liberale ha tradotto l’ideologia del
progresso in religione della crescita: si suppone che il "sempre più"
di consumo e di produzione condurrà l’umanità alla felicità. È innegabile che
lo sviluppo economico moderno ha soddisfatto certi bisogni primari sino ad
allora inaccessibili alla maggior parte delle persone; ma è nondimeno vero che
l’accrescimento artificiale dei bisogni grazie alle strategie di seduzione del
sistema degli oggetti (pubblicità) sfocia per forza in una impasse. In un mondo
dalle risorse limitate e soggetto al principio di entropia, una certa
decrescita costituisce l’orizzonte inevitabile dell’umanità. Per l’ampiezza
delle trasformazioni messe in atto, la mercantilizzazione del mondo è stata,
fra il XVI e il XX secolo, uno dei fenomeni più importanti che l’umanità abbia
conosciuto. La sua demercantilizzazione sarà una delle principali poste in
gioco nel XXI secolo. Per arrivarci, bisogna ritornare all’origine
dell’economia: "oikos-nomos", le leggi generali del nostro habitat
nel mondo, leggi che includono gli equilibri ecologici, le passioni umane, il
rispetto dell’armonia e della bellezza della natura, e più in generale tutti
gli elementi non quantificabili che la scienza economica ha arbitrariamente
escluso dai suoi calcoli. Ogni vita economica implica la mediazione di un ampio
ventaglio di istituzioni culturali e di strumenti giuridici. Oggi, l’economia deve
essere ricontestualizzata all’interno del mondo vivente, nella società, nella
politica e nell’etica.
6. L’etica: costruzione di sé
Le categorie fondamentali dell’etica sono
universali: ritroviamo dappertutto la distinzione tra il nobile e l’ignobile,
il bene e il male, il buono e il cattivo, l’ammirabile e lo spregevole, il
giusto e l’ingiusto. In compenso, la designazione degli atti che si
accompagnano a ciascuna di queste categorie varia a seconda delle epoche e
delle società. La Nuova Destra respinge qualunque concezione puramente morale
del mondo, ma ovviamente ammette che nessuna cultura può fare a meno di
distinguere il valore etico degli atteggiamenti e dei comportamenti. La morale
è indispensabile a quell’essere aperto che è l’uomo; è una conseguenza della
sua libertà. Pur esprimendo delle regole generali che costituiscono ovunque la
condizione della sopravvivenza delle società, si ricollega anche alle abitudini
(mores) e non può essere completamente dissociata dai contesti al cui interno
si applica. Ma non può essere considerata sotto l’esclusivo punto di vista
della soggettività. La massima "right or wrong my country", ad
esempio, non significa che il mio paese ha sempre ragione, ma che resta il mio
paese anche quando ha torto. Il che implica che io possa eventualmente dargli
torto, e dunque che dispongo di una norma che va al di là della mia sola
appartenenza ad esso. Sin dal tempo dei Greci, l’etica indica per gli europei
le virtù il cui esercizio costituisce il fondamento della "vita buona":
la generosità contro l’avarizia, l’onore contro la vergogna, il coraggio contro
la vigliaccheria, la giustizia contro l’iniquità, la temperanza contro
l’esagerazione, il senso del dovere contro la diserzione, l’audacia contro la
cautela, il disinteressamento contro la cupidigia e via dicendo. Il buon
cittadino è quello che tende sempre verso l’eccellenza in ciascuna di queste
virtù, diceva Aristotele. Questa volontà di eccellenza non esclude affatto che
esistano vari modi di vita (contemplativa, attiva, lucrativa, ecc.), ciascuno
dei quali è legato a codici morali diversi, che si trovano disposti in ordine
gerarchico nella città: la tradizione europea, espressa dall’antico modello
trifunzionale, fa ad esempio prevalere la saggezza sulla forza e la forza sulla
ricchezza.
La modernità ha soppiantato l’etica
tradizionale, al contempo aristocratica e popolare, con due tipi di morale
borghese: la morale utilitaristica di Bentham, fondata sul calcolo
materialistico dei piaceri e delle pene (è bene ciò che aumenta il piacere
della maggioranza degli individui), e la morale deontologica di Kant, fondata
su una concezione unitaria di ciò che è giusto, verso la quale dovrebbero
tendere tutti gli individui, conformandosi a una legge morale universale.
Quest’ultimo approccio sottintende l’ideologia dei diritti dell’uomo, che è
contemporaneamente morale minima e arma strategica dell’etnocentrismo
occidentale. Si tratta di un’ideologia basata su una contraddizione in termini.
Tutti gli uomini hanno dei diritti, ma non possono esserne titolari in quanto
esseri isolati: il diritto sanziona un rapporto di equità, che implica la
dimensione sociale. Nessun diritto è dunque concepibile senza un contesto
specifico in grado di definirlo, una società in grado di riconoscerlo e definire
i doveri che ne rappresentano la contropartita e degli strumenti di costrizione
sufficienti a farlo applicare. Quanto alle libertà fondamentali, esse non si
decretano, ma esigono di essere conquistate e garantite. Il fatto che gli
europei abbiano conseguito questo risultatoimponendo a forza di lotte un
diritto delle genti fondato sull’autonomia non implica minimamente che tutti i
popoli del pianeta siano tenuti a considerare allo stesso modo la garanzia dei
diritti. Contro l’"ordine morale", che confonde norma sociale e norma
morale, bisogna poi sostenere la pluralità delle forme della vita sociale,
pensare assieme l’ordine e la sua trasgressione, Apollo e Dioniso. Si potrà
uscire dal relativismo e dal nichilismo di quello che Nietzsche ha chiamato "l’ultimo
uomo", che oggi si svelano su un fondale di materialismo pratico,
solamente ricreando un senso, vale a dire facendo ritorno ai valori condivisi,
portatori di certezze concrete sperimentate e difese da comunità consapevoli di
se stesse.
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