martedì 1 luglio 2014

La fatica di essere "Social"

Partiamo, scrivendo e leggendo questo ragionamento, dal concetto che io di tutto sono tranne che un esperto in comunicazione.

Quando leggo articoli che provengono da “Il Ribelle” in genere mi trovo in larga parte in linea; nel caso di questo articolo invece non succede proprio così.

L’autore, accusa Facebook di inutilità e controproducenza a livello di informazione e cultura.
L’autore ritiene che è necessario approfondire un argomento prima di imbrattare il web di messaggi a più non posso, che basterebbe andarseli a studiare.
Non gli posso certo dare torto, ma la dispersione di idee grezze e non approfondite non è certo un esclusiva dei social network in genere. Basta entrare in qualsiasi bar, in qualsiasi negozio, in qualsiasi luogo di lavoro per sentire riprodotto a voce quanto espresso a parole sui muri del web.

Ci si chiede nell’articolo, tra le altre cose, i motivi per i quali si ricerchi il contatto, il raffronto, la condivisione con degli sconosciuti. Questo in realtà è il senso (visto dalla parte del fruitore del servizio) dell’esistenza dei social, si ricercano contatti con cui condividere e ragionare, confrontarsi e supportarsi. Nella mia bacheca Facebook risultano presenti 2.900 amici, credo di conoscerne personalmente circa il 10%, di cui abbastanza bene non più del 2%, i veri amici li conto con le dita delle mani. 
Malgrado tutto in questi anni sono riuscito a catalizzare attorno alle mie pubblicazioni prettamente politiche molti lettori e qualche condivisore: questi ritengo siamo coloro che fruiscano al massimo del sevizio che da il social. 
Più raramente è successo sulla mia bacheca di discutere … è bello quando si ragiona lo è meno quando ci si pone quali scudieri di un idea. Per qualche tempo mi son perso in discussioni sviluppatesi all’interno di “gruppi” … era realmente tempo perso, quando ci si trova di fronte a chi non accetta che vi possa una visione diversa c’è poco da fare, sia per apprendere che per convincere.

Vi sono aspetti negativi probabilmente nell’utilizzo dei social, c’è chi condivide la propria privacy a più non posso, senza ritegno ed a rischio di condivisione incontrollata; anche qui però dipende dall’utilizzo: posso volendo divulgare ilo mio stato d’animo attraverso frasi e/o brani musicali, ma se voglio dire quante volte faccio plin plin o se mia moglie mi mette le corna ho modo di dirlo con funzioni personalizzate.

Certo che oltre alla velocità di comunicazione si è accelerata anche la pubblicità delle intenzioni di una persona; io non ritengo sia un male, anzi.

Su una cosa ha ragione chi ha scritto il testo, oggi chi è vicino a qualcuno. In un luogo, in una situazione, rischia di essere catapultato nel mondo, sarà questo un danno? Sarà un reato? Forse non sono ancora maturati i tempi per stabilirlo.

Di sicuro i social, usati al meglio, catalizzano, come si dice sono virali, ma quanti leggono e ragionano e quanti viaggiano a carisma e /o simpatia? Quante persone in realtà vengono veramente raggiunte? Secondo me non ce lo diranno mai, noi resteremo i fruitori del servizio, i conteggi saranno sempre appannaggio di chi  gestisce il giro del fumo.

Una cosa è certa, utilizzare un social con tutti i crismi porta ad uno spreco di energia enorme seguendo i “mi piace”, le condivisioni e le pubblicazioni per ottenere poi un ritorno che non sappiamo valutare in toto?
Ne vale la pena? Non lo so, ma ho corso il rischio e lo correrò ancora per molto.

Giorgio Bargna

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