Partiamo, scrivendo e leggendo questo
ragionamento, dal concetto che io di tutto sono tranne che un esperto in
comunicazione.
Quando leggo articoli che provengono da
“Il Ribelle” in genere mi trovo in larga parte in linea; nel caso di questo articolo invece non succede proprio così.
L’autore, accusa Facebook di inutilità e
controproducenza a livello di informazione e cultura.
L’autore ritiene che è necessario approfondire un argomento
prima di imbrattare il web di messaggi a più non posso, che basterebbe
andarseli a studiare.
Non gli posso certo dare torto, ma la dispersione di
idee grezze e non approfondite non è certo un esclusiva dei social network in
genere. Basta entrare in qualsiasi bar, in qualsiasi negozio, in qualsiasi
luogo di lavoro per sentire riprodotto a voce quanto espresso a parole sui muri
del web.
Ci si chiede nell’articolo, tra le altre cose, i
motivi per i quali si ricerchi il contatto, il raffronto, la condivisione con
degli sconosciuti. Questo in realtà è il senso (visto dalla parte del fruitore
del servizio) dell’esistenza dei social, si ricercano contatti con cui
condividere e ragionare, confrontarsi e supportarsi. Nella mia bacheca Facebook
risultano presenti 2.900 amici, credo di conoscerne personalmente circa il 10%,
di cui abbastanza bene non più del 2%, i veri amici li conto con le dita delle
mani.
Malgrado tutto in questi anni sono riuscito a catalizzare attorno alle
mie pubblicazioni prettamente politiche molti lettori e qualche condivisore:
questi ritengo siamo coloro che fruiscano al massimo del sevizio che da il
social.
Più raramente è successo sulla mia bacheca di discutere … è bello
quando si ragiona lo è meno quando ci si pone quali scudieri di un idea. Per
qualche tempo mi son perso in discussioni sviluppatesi all’interno di “gruppi”
… era realmente tempo perso, quando ci si trova di fronte a chi non accetta che
vi possa una visione diversa c’è poco da fare, sia per apprendere che per
convincere.
Vi sono aspetti negativi probabilmente nell’utilizzo
dei social, c’è chi condivide la propria privacy a più non posso, senza ritegno
ed a rischio di condivisione incontrollata; anche qui però dipende dall’utilizzo: posso
volendo divulgare ilo mio stato d’animo attraverso frasi e/o brani musicali, ma
se voglio dire quante volte faccio plin plin o se mia moglie mi mette le corna
ho modo di dirlo con funzioni personalizzate.
Certo che oltre alla velocità di comunicazione si è
accelerata anche la pubblicità delle intenzioni di una persona; io non ritengo
sia un male, anzi.
Su una cosa ha ragione chi ha scritto il
testo, oggi chi è vicino a qualcuno. In un luogo, in una situazione, rischia di
essere catapultato nel mondo, sarà questo un danno? Sarà un reato? Forse non
sono ancora maturati i tempi per stabilirlo.
Di sicuro i social, usati al meglio,
catalizzano, come si dice sono virali, ma quanti leggono e ragionano e quanti
viaggiano a carisma e /o simpatia? Quante persone in realtà vengono veramente
raggiunte? Secondo me non ce lo diranno mai, noi resteremo i fruitori del
servizio, i conteggi saranno sempre appannaggio di chi gestisce il giro del fumo.
Una cosa è certa,
utilizzare un social con tutti i crismi porta ad uno spreco di energia enorme
seguendo i “mi piace”, le condivisioni e le pubblicazioni per ottenere poi un
ritorno che non sappiamo valutare in toto?
Ne vale la pena? Non lo
so, ma ho corso il rischio e lo correrò ancora per molto.
Giorgio Bargna
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