lunedì 30 dicembre 2013

La terza via

Ho scritto spesso dell’implosione del sistema (socio)economico attuale basato sulla produzione sul consumo senza limite che si autoalimentava consumandosi e, come in un ossimoro, appesantendosi.

Si è scritto spesso di come uscirne, ho dato sempre valore ad una via localista e sostenibile, fatta di produzioni dal basso, legata magari anche alle tradizioni, possibilmente “ecologiche” ed a km 0.

Mi è capitato di incocciare tramite la rassegna stampa di Arianna Editrice in un articolo firmato Peppe Carpentieri.

Come me l’autore reputa una “facile semplificazione” e descrive come “pensieri
appartenenti allo spesso piano ideologico” una discussione che si basa  su “liberisti e keynesiani”.

Entrambi concordiamo su una soluzione ben diversa che richiede un salto di qualità culturale non indifferente verso un “piano completamente diverso, ordinato da leggi e regole diverse dal sistema economico-politico attuale”.
Stiamo parlando di nozioni che non sono assolutamente sconosciute, anzi, ma che vengono eluse, per pura convenienza, dallo “status quo”.
Ai padroni del vapore (per quanto espresso qualche riga sopra) conviene cercare di riproporre “politiche degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso”, proprio quelle “che hanno fatto nascere questa crisi (esse ignorano palesemente  le leggi della fisica)  la quale non è ciclica ma di sistema”; non è inseguendo  vecchie o nuove dottrine del sistema  che si risolve il dunque, ma uscendone e riscrivendo da zero (o giù di li) il percorso.

Nel susseguirsi del tempo spesso si è fatta molta confusione su significato da dare al termine benessere.
In nome (ad esempio) di “impianti industriali, miniere, dighe, porti e grandi strade” migliaia, se non milioni, di persone  (eludendo quindi, a mio vedere, anche termini costituzionali) “sono stati cacciati dalla loro comunità e dalla loro terra”.

L’autore cita Luciano Gallino “Il danaro serve a misurare il valore con precisione, e deve essere definito chiaramente e in modo trasparente e soprattutto non deve essere sottoposto a manipolazioni da parte di terzi” ed  anche le teorie di Arthur Cacil Pigou il quale distinse al volo tra benessere sociale, esprimibile con la qualità della vita, e benessere economico, che è misurale solo con la moneta.

L’autore sposa anche le tesi di Frederick Soddy  e Nicholas Georgescu-Roegen così riassumibili: “la reale ricchezza dipende dai flussi di materia e di energia prodotti dalla natura, e pertanto il danaro non può comportarsi come una macchina perpetua poiché contraddice il principio termodinamico dell’entropia. L’economia deve tener conto della ineluttabilità delle leggi della fisica, ed in particolare del secondo principio della termodinamica”.

La storia moderna ci dimostra, senza opinabilità, i limiti del pensiero moderno e liberista che se ne è bellamente infischiato delle leggi della natura, le uniche da rispettare e che non perdonano.
Volessimo anche sposare “tecniche” neokeynesiane non potremmo continuare a
sottostimare le leggi naturali che ci mantengono in vita. Sia per economia, che per qualità della vita, che sopravvivenza  dobbiamo necessariamente ripartire da quelle dimensioni,
piuttosto che riproporre vecchi schemi che non parlano di sviluppo umano.
E’ possibile, quasi sicuro, che non si possa uscire completamente da una logica di sovranità monetaria (possibilmente, sicuramente da contenere), ma vanno eliminate quelle scelte che spesso hanno portato si alla creazione di molteplici posti di lavoro “innovativi”, ma anche ad “attività inutili e persino dannose. Stiamo ancora pagando quei danni e solo oggi possiamo cominciare a misurare il danno biologico ed ambientale di uno sviluppo mortale”.

Sicuramente occorrerà indirizzarsi verso “ambiti virtuosi per migliorare la condizione dei cittadini e garantire un futuro alle prossime generazioni grazie all’uso razionale dell’energia e delle risorse limitate”, premurandoci di cancellare gli sprechi e votandoci a “fonti alternative e sufficienza energetica, conservazione del patrimonio culturale ed ambientale, conversione ecologica dell’industria meccanica e manifatturiera, sovranità alimentare”.

Occorre dunque votarsi a dei modelli alternativi, fare non tanto per fare ma per “fare
meno e meglio ed in modo virtuoso ed utile a creare nuova occupazione ed indirizzandosi, in questo, verso “l’innovazione tecnologica indirizzata in attività virtuose mostra un’altra opportunità straordinaria per una società migliore: lavorare meno con un salario ugualmente dignitoso e guadagnare tempo da investire nelle relazioni umane”.

Tutto quanto sinora ignorato dai nostri governanti “guidati da un’ideologia dannosa che sta peggiorando l’esistenza degli individui”.

Condivido sostanzialmente queste posizioni, potrete trovare mie considerazioni più personali in questo articolo che si sviluppa partendo dalle città ed arrivando oltre, ed in questo ,che non si diversifica molto da quanto espresso qui, letto volentieri sia da localisti che da “ambientalisti”.


Grazie dell’attenzione, Giorgio Bargna

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