Ho scritto
spesso dell’implosione del sistema (socio)economico attuale basato sulla
produzione sul consumo senza limite che si autoalimentava consumandosi e, come
in un ossimoro, appesantendosi.
Si è scritto
spesso di come uscirne, ho dato sempre valore ad una via localista e sostenibile,
fatta di produzioni dal basso, legata magari anche alle tradizioni, possibilmente
“ecologiche” ed a km 0.
Mi è
capitato di incocciare tramite la rassegna stampa di Arianna Editrice in un articolo
firmato Peppe Carpentieri.
Come me l’autore
reputa una “facile semplificazione” e
descrive come “pensieri
appartenenti allo spesso piano ideologico” una discussione che si basa
su “liberisti e keynesiani”.
Entrambi
concordiamo su una soluzione ben diversa che richiede un salto di qualità
culturale non indifferente verso un “piano
completamente diverso, ordinato da leggi e regole diverse dal sistema economico-politico attuale”.
Stiamo
parlando di nozioni che non sono assolutamente sconosciute, anzi, ma che
vengono eluse, per pura convenienza, dallo “status quo”.
Ai padroni
del vapore (per quanto espresso qualche riga sopra) conviene cercare di
riproporre “politiche degli anni ’20 e
’30 del secolo scorso”, proprio quelle “che
hanno fatto nascere questa crisi (esse ignorano palesemente le leggi della fisica) la quale non è ciclica ma di sistema”; non
è inseguendo vecchie o nuove dottrine
del sistema che si risolve il dunque, ma
uscendone e riscrivendo da zero (o giù di li) il percorso.
Nel
susseguirsi del tempo spesso si è fatta molta confusione su significato da dare
al termine benessere.
In nome (ad
esempio) di “impianti industriali,
miniere, dighe, porti e grandi strade” migliaia, se non milioni, di persone (eludendo quindi, a mio vedere, anche termini
costituzionali) “sono stati cacciati
dalla loro comunità e dalla loro terra”.
L’autore
cita Luciano Gallino “Il danaro serve a
misurare il valore con precisione, e deve essere definito chiaramente e in modo
trasparente e soprattutto non deve essere sottoposto
a manipolazioni da parte di terzi” ed anche le teorie di Arthur Cacil Pigou il
quale distinse al volo tra benessere sociale, esprimibile con la qualità della vita, e benessere economico, che è misurale solo con la moneta.
L’autore
sposa anche le tesi di Frederick Soddy e
Nicholas Georgescu-Roegen così riassumibili: “la reale ricchezza dipende dai flussi di materia e di energia prodotti
dalla natura, e pertanto il danaro non può comportarsi come una macchina
perpetua poiché contraddice il principio termodinamico dell’entropia. L’economia deve tener conto della
ineluttabilità delle leggi della fisica, ed in particolare del secondo
principio della termodinamica”.
La
storia moderna ci dimostra, senza opinabilità, i limiti del pensiero moderno e
liberista che se ne è bellamente infischiato delle leggi della natura, le
uniche da rispettare e che non perdonano.
Volessimo
anche sposare “tecniche” neokeynesiane non potremmo continuare a
sottostimare
le leggi naturali che ci mantengono in vita. Sia per economia, che per qualità
della vita, che sopravvivenza dobbiamo
necessariamente ripartire da quelle dimensioni,
piuttosto
che riproporre vecchi schemi che non parlano di sviluppo umano.
E’
possibile, quasi sicuro, che non si possa uscire completamente da una logica di
sovranità monetaria (possibilmente, sicuramente da contenere), ma vanno
eliminate quelle scelte che spesso hanno portato si alla creazione di
molteplici posti di lavoro “innovativi”, ma anche ad “attività inutili e persino dannose. Stiamo ancora pagando quei danni e
solo oggi possiamo cominciare a misurare il danno biologico ed
ambientale di uno sviluppo mortale”.
Sicuramente
occorrerà indirizzarsi verso “ambiti virtuosi per migliorare la condizione dei cittadini e garantire un futuro alle prossime
generazioni grazie all’uso razionale dell’energia e delle risorse limitate”, premurandoci di cancellare gli sprechi e votandoci a “fonti alternative e sufficienza energetica,
conservazione del patrimonio culturale ed ambientale, conversione ecologica
dell’industria meccanica e manifatturiera, sovranità alimentare”.
Occorre
dunque votarsi a dei modelli alternativi, fare non tanto per fare ma per “fare
meno e meglio” ed in modo virtuoso ed utile a
creare nuova occupazione ed indirizzandosi, in questo, verso “l’innovazione tecnologica indirizzata in
attività virtuose mostra un’altra opportunità straordinaria per una società
migliore: lavorare meno con un salario ugualmente dignitoso e guadagnare tempo
da investire nelle relazioni umane”.
Tutto quanto
sinora ignorato dai nostri governanti “guidati
da un’ideologia dannosa che sta peggiorando l’esistenza degli individui”.
Condivido
sostanzialmente queste posizioni, potrete trovare mie considerazioni più
personali in questo articolo
che si sviluppa partendo dalle città ed arrivando oltre, ed in questo
,che non si diversifica molto da quanto espresso qui, letto volentieri sia da
localisti che da “ambientalisti”.
Grazie dell’attenzione,
Giorgio Bargna
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