In questi giorni su un altro mio blog, dove ritrasmetto miei
vecchi pensieri, ho postato un articolo
dove qualche anno fa andavo ad analizzare quale approccio avrebbe dovuto usare
un nuovo movimento nascente dal basso nei confronti di un “potere
autoalimentato”. Se in quell’articolo mi cimentavo a razionalizzare i passi di
un movimento in crescita, “oggi” (potrebbe sembrare le ipotesi cozzino),
teorizzo su una possibile, nuova modalità di intendere un movimento politico.
Quanto esposto è stata la mia riflessione su questo tema,
nata questa estate dopo un paio di conversazioni con Emilio (Mimmo) Arnaboldi (Capogruppo
Consiliare di “Lavori in Corso”) che ho inviato ad alcuni membri di LiC con l’intesa di averne un ritorno in pareri,
proposte e discussione.
Dividerò in parti la riflessione lunghissima, ma che
comprende parecchi temi, augurandomi che qualcuno abbia la forza di leggersi il
tutto.
Dei
primi come e perchè
Ci si chiede spesso perché non vi sia un vero moto di
ribellione rivolto verso certe situazioni. Un motivo è certo e dimostrato
spesso dai corsi e ricorsi della storia: giunti ad un certo livello di
prevaricazione, i potenti, cercano di cautelarsi, cercando di farsi amare dai
loro schiavi. Nell’insieme di un gruppo abbondantemente assuefatto e ripulito
da possibili dubbi residenti nel cervello, automaticamente, anche chi non
condivide viene costretto ad accettare suo malgrado, per non correre il rischio
di essere un oggetto di scherno, un personaggio isolabile, un escluso, esso
alla fine si persuade di compiere volontariamente ciò a cui viene costretto.
Dovrebbe entrare in ballo, ad un certo punto, la volontà;
accalorati da un volere, sostenuti da un idea chiara di un dovere, non risulta
difficile “fare”. L’eventuale difficoltà
subentra nel momento in cui la chiarezza dell’idea, per vari motivi,
svanisce, si adombra, e ci si rende conto che è difficile sopportare questo
mutamento. E’ vero anche che nell’istante esatto in cui prendiamo una
decisione, un partito, una convinzione, il senso, la voglia, del dovere sono
presenti e concreti, ma la fatica ed il percorso non sono ancora percepibili,
quantificabili. Si dovrebbe, quando le bocce sono ancora quasi ferme, darsi una
programmazione da attuare, concretizzare, nel momento in cui, durante la
procedura ci si sentirà deboli.
Un
primo approccio a Partiti e Movimenti alternativi
In questi miei appunti non parlo certamente di nulla che
possa risultare nuovo a chi mi conosce, punto il dito contro la “partitocrazia”
e seguo un sogno costituito da piccole patrie federate e possibilmente cerco di
segnare le tracce di queste patrie e di come si dovrebbe intender un movimento
politico alternativo. Un imposizione intellettuale e mediatica dilagante ci
opprime, per liberarsene occorre, senza dubbio, essere forniti di libertà
interiore e autonomia pensante … le si trovano scavando dentro se stessi … si
utilizzano solo se convinti che la fatica, il tempo, un percorso, degli
ostacoli non spaventano. Non mi invento certo io le ipotesi possibili di un
percorso, vi sono persone più intelligenti e colte di me che le ipotesi di
percorso le hanno già tracciate.
Diamo per scontato che la soppressione dei partiti politici
non può e non deve avvenire con un atto di forza, essa per intanto deve avvenire
dentro di noi, come un’opera di disinganno collettivo che orienterà il lavoro
delle future generazioni.
Ogni nuova idea potrà essere presentata e sviluppata solo
attraverso movimenti alternativi che si richiamino ai club aperti, a ciò che si
concretizza solamente attorno, ad esempio, ad una rivista o a una “scuola” o a
un “circolo” e che ad una “logica di partito” sostituiscano la convergenza
delle idee di un gruppo che lavora in attuazione di un bene comune, idee che
uniscono l’uomo, anziché contrapporlo ai propri “comproprietari” del bene
convissuto.
Sebbene il partito sia segnato da un peccato originale sin
dalla sua creazione, decenni fa ancora si poteva vederne dei margini di
sopportabilità. Ora, dopo una conversione in partiti “liquidi”, mi risulta
venuta meno una forma di eticità che i partiti tradizionali conservavano e mi
appare che si siano concretizzati fenomeni di degenerazione democratica quali
possono essere corruzione, concussione e varie forme di malversazione su vasta
scala ben note. Se qualche anno fa ancora si aderiva ad un idea associandosi ad
un comportamento conseguente oggi appare che ci si associ ad un ad un partito
per motivazioni che, come anche la cronaca quotidiana ci mostra, attengono
sempre più all’interesse personale. Interessante è il pensiero di Aleksandr
Solgenitsin: “Se un popolo cerca la libertà troverà la
libertà e anche il pane, se cerca solo il pane perderà questo e anche la
libertà”.
Capita io mi chieda se esista un filo logico, una possibile
trama ideologica, un fondamento comune che ci aggreghi in questo paese. Una
trama in realtà, anche se pienamente disattesa dai fatti, dalle nostre azioni
quotidiane, esisterebbe … il nostro è un paese dove la stragrande maggioranza
delle persone si professa (quantomeno si dichiara) cristiana e dove la cultura
generale stessa è ben intrisa da quanto i Vangeli e la vita di Gesù Cristo ci
indicano ed esemplificano, eppure le cronache quotidiane ci dimostrano che
siamo ben lontani da un cristianesimo veramente “incarnato” che tende verso
l’avvenire … forse da li qualche indicazione possiamo attingerla, senza
esagerare, ma anche senza pregiudizio.
Quando illustro il mio pensiero spesso vengo indicato quale
antidemocratico e soggetto pericoloso verso le generazioni a venire. L’ho detto
più volte, sono estremo nel pensiero, per me non esiste il grigio. A mio
vedere, ma non lo scopro certamente io, chi aderisce ad un partito, per
restarne parte attiva, deve conseguentemente sottomettere la propria
intelligenza e soprattutto la propria autonomia di giudizio al fine ultimo appena
scritto. Il partito nella ricerca sfrenata del proprio scopo non si doma nella
ricerca di ogni mezzo: fomentare le passioni collettive e i lati più deteriori
delle popolazioni per ottenere il consenso, usare la denigrazione sistematica
dell’altro partito, allearsi e cercare l’appoggio di chiunque può guidare la
cosiddetta “opinione pubblica” con i mezzi più svariati che vanno dalla
pressione religiosa, a quella mediatica, a quella dei grandi gruppi economici
finanche, con una contiguità che storicamente è variata di gradazione ma quasi
sempre presente, alla grande criminalità organizzata. Alleanze così strutturate
annullano e/o limitano fortemente l’autonomia del partito rispetto a queste
forze sociali che, teoricamente, un partito dovrebbe regolare nel suo ruolo di
elemento di governo o comunque presente nei Parlamenti. Il partito di fatto
gioca un ruolo di ostruzione tra le istituzioni
e i cittadini, le istituzioni si trasformano in un mezzo per prosperare dando
vita alla degenerazione della democrazia che prende il nome di “partitocrazia”.
Scriveva Simone Weil: “Quando in un Paese esistono i partiti, ne
risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile
intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un
partito e stare al gioco. Chiunque (in buona fede) si interessi alla cosa
pubblica desidera interessarsene efficacemente. Così, chiunque abbia
un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si
rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti, in questo caso sarà preso
da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico..”
La
filosofa francese ci induce, attraverso questo pensiero, a capire la necessità
di doversi liberare dalla convinzione che i partiti siano e debbano essere gli
unici strumenti possibili per riempire le istituzioni sociali che comunque
necessariamente debbono esistere ed a capire che i partiti politici hanno
contribuito, con la loro azione deteriore descritta, a peggiorare l’intera vita
mentale della nostra epoca educando alla faziosità e di conseguenza alla
rinuncia dell’autonomia pensante.
(continua)
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