mercoledì 1 gennaio 2014

Visioni alternative

In questi giorni su un altro mio blog, dove ritrasmetto miei vecchi pensieri, ho postato un articolo dove qualche anno fa andavo ad analizzare quale approccio avrebbe dovuto usare un nuovo movimento nascente dal basso nei confronti di un “potere autoalimentato”. Se in quell’articolo mi cimentavo a razionalizzare i passi di un movimento in crescita, “oggi” (potrebbe sembrare le ipotesi cozzino), teorizzo su una possibile, nuova modalità di intendere un movimento politico.

Quanto esposto è stata la mia riflessione su questo tema, nata questa estate dopo un paio di conversazioni con Emilio (Mimmo) Arnaboldi (Capogruppo Consiliare di “Lavori in Corso”) che ho inviato ad alcuni membri di LiC  con l’intesa di averne un ritorno in pareri, proposte e discussione.

Dividerò in parti la riflessione lunghissima, ma che comprende parecchi temi, augurandomi che qualcuno abbia la forza di leggersi il tutto.

Dei primi come e perchè

Ci si chiede spesso perché non vi sia un vero moto di ribellione rivolto verso certe situazioni. Un motivo è certo e dimostrato spesso dai corsi e ricorsi della storia: giunti ad un certo livello di prevaricazione, i potenti, cercano di cautelarsi, cercando di farsi amare dai loro schiavi. Nell’insieme di un gruppo abbondantemente assuefatto e ripulito da possibili dubbi residenti nel cervello, automaticamente, anche chi non condivide viene costretto ad accettare suo malgrado, per non correre il rischio di essere un oggetto di scherno, un personaggio isolabile, un escluso, esso alla fine si persuade di compiere volontariamente ciò a cui viene costretto.

Dovrebbe entrare in ballo, ad un certo punto, la volontà; accalorati da un volere, sostenuti da un idea chiara di un dovere, non risulta difficile “fare”. L’eventuale difficoltà  subentra nel momento in cui la chiarezza dell’idea, per vari motivi, svanisce, si adombra, e ci si rende conto che è difficile sopportare questo mutamento. E’ vero anche che nell’istante esatto in cui prendiamo una decisione, un partito, una convinzione, il senso, la voglia, del dovere sono presenti e concreti, ma la fatica ed il percorso non sono ancora percepibili, quantificabili. Si dovrebbe, quando le bocce sono ancora quasi ferme, darsi una programmazione da attuare, concretizzare, nel momento in cui, durante la procedura ci si sentirà deboli.

Un primo approccio a Partiti e Movimenti alternativi

In questi miei appunti non parlo certamente di nulla che possa risultare nuovo a chi mi conosce, punto il dito contro la “partitocrazia” e seguo un sogno costituito da piccole patrie federate e possibilmente cerco di segnare le tracce di queste patrie e di come si dovrebbe intender un movimento politico alternativo. Un imposizione intellettuale e mediatica dilagante ci opprime, per liberarsene occorre, senza dubbio, essere forniti di libertà interiore e autonomia pensante … le si trovano scavando dentro se stessi … si utilizzano solo se convinti che la fatica, il tempo, un percorso, degli ostacoli non spaventano. Non mi invento certo io le ipotesi possibili di un percorso, vi sono persone più intelligenti e colte di me che le ipotesi di percorso le hanno già tracciate.

Diamo per scontato che la soppressione dei partiti politici non può e non deve avvenire con un atto di forza, essa per intanto deve avvenire dentro di noi, come un’opera di disinganno collettivo che orienterà il lavoro delle future generazioni.

Ogni nuova idea potrà essere presentata e sviluppata solo attraverso movimenti alternativi che si richiamino ai club aperti, a ciò che si concretizza solamente attorno, ad esempio, ad una rivista o a una “scuola” o a un “circolo” e che ad una “logica di partito” sostituiscano la convergenza delle idee di un gruppo che lavora in attuazione di un bene comune, idee che uniscono l’uomo, anziché contrapporlo ai propri “comproprietari” del bene convissuto.

Sebbene il partito sia segnato da un peccato originale sin dalla sua creazione, decenni fa ancora si poteva vederne dei margini di sopportabilità. Ora, dopo una conversione in partiti “liquidi”, mi risulta venuta meno una forma di eticità che i partiti tradizionali conservavano e mi appare che si siano concretizzati fenomeni di degenerazione democratica quali possono essere corruzione, concussione e varie forme di malversazione su vasta scala ben note. Se qualche anno fa ancora si aderiva ad un idea associandosi ad un comportamento conseguente oggi appare che ci si associ ad un ad un partito per motivazioni che, come anche la cronaca quotidiana ci mostra, attengono sempre più all’interesse personale. Interessante è il pensiero di Aleksandr Solgenitsin:  “Se un popolo cerca la libertà troverà la libertà e anche il pane, se cerca solo il pane perderà questo e anche la libertà”.

Capita io mi chieda se esista un filo logico, una possibile trama ideologica, un fondamento comune che ci aggreghi in questo paese. Una trama in realtà, anche se pienamente disattesa dai fatti, dalle nostre azioni quotidiane, esisterebbe … il nostro è un paese dove la stragrande maggioranza delle persone si professa (quantomeno si dichiara) cristiana e dove la cultura generale stessa è ben intrisa da quanto i Vangeli e la vita di Gesù Cristo ci indicano ed esemplificano, eppure le cronache quotidiane ci dimostrano che siamo ben lontani da un cristianesimo veramente “incarnato” che tende verso l’avvenire … forse da li qualche indicazione possiamo attingerla, senza esagerare, ma anche senza pregiudizio.

Quando illustro il mio pensiero spesso vengo indicato quale antidemocratico e soggetto pericoloso verso le generazioni a venire. L’ho detto più volte, sono estremo nel pensiero, per me non esiste il grigio. A mio vedere, ma non lo scopro certamente io, chi aderisce ad un partito, per restarne parte attiva, deve conseguentemente sottomettere la propria intelligenza e soprattutto la propria autonomia di giudizio al fine ultimo appena scritto. Il partito nella ricerca sfrenata del proprio scopo non si doma nella ricerca di ogni mezzo: fomentare le passioni collettive e i lati più deteriori delle popolazioni per ottenere il consenso, usare la denigrazione sistematica dell’altro partito, allearsi e cercare l’appoggio di chiunque può guidare la cosiddetta “opinione pubblica” con i mezzi più svariati che vanno dalla pressione religiosa, a quella mediatica, a quella dei grandi gruppi economici finanche, con una contiguità che storicamente è variata di gradazione ma quasi sempre presente, alla grande criminalità organizzata. Alleanze così strutturate annullano e/o limitano fortemente l’autonomia del partito rispetto a queste forze sociali che, teoricamente, un partito dovrebbe regolare nel suo ruolo di elemento di governo o comunque presente nei Parlamenti. Il partito di fatto gioca un ruolo di ostruzione tra le istituzioni  e i cittadini, le istituzioni si trasformano in un mezzo per prosperare dando vita alla degenerazione della democrazia che prende il nome di “partitocrazia”.

Scriveva Simone Weil: “Quando in un Paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque (in buona fede) si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Così, chiunque abbia un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti, in questo caso sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico..

La filosofa francese ci induce, attraverso questo pensiero, a capire la necessità di doversi liberare dalla convinzione che i partiti siano e debbano essere gli unici strumenti possibili per riempire le istituzioni sociali che comunque necessariamente debbono esistere ed a capire che i partiti politici hanno contribuito, con la loro azione deteriore descritta, a peggiorare l’intera vita mentale della nostra epoca educando alla faziosità e di conseguenza alla rinuncia dell’autonomia pensante.
 (continua)


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