martedì 26 novembre 2013

Svincolarsi

Mi permetto ancora una volta di prendere spunto dai pensieri di colui che considero un mio “guru” in senso politico, Alain de Benoist.
Oggi è noto a tutti coloro che sono “svegli di comprendonio” che imperi la società della crescita, in sostanza un’antisocietà, una via senza ritorno, un omicidio perpetrato ai danni di molti da parte di pochi.
Ogni politico, ogni governante, da qualsiasi estrazione politica “tradizionale” provenga, non vede altre soluzione ai suoi  problemi che quella di un “ritorno alla crescita”… nel frattempo però ci stanno massacrando di rigore e austerità, togliendoci, di conseguenza, potere di acquisto, ma soprattutto di sopravvivenza, come un cane che si morde la coda … sebbene un continente intero stia pagando in termini di recessione, impavidi, i “nostri” inseguono imperterriti la crescita,  malgrado che si viva su un pianeta che, di logica conseguenza, ha uno spazio finito, dove le riserve naturali si fanno sempre più rare … certo recedere non si può in un botto solo, ma da un qualche latidutine bisognerà  pur certo cominciare.
Del resto la difficoltà di una rivoluzione operante dipende da ciò che de Benoist descrive così:
«Proibendo alle proprie banche centrali di farsi prestare capitali ad un tasso d’interesse nullo, come accadeva di norma in passato, gli Stati si sono posti  nell’obbligo di chiedere prestiti alle banche ed ai mercati finanziari a dei tassi variabili, arbitrariamente fissati da questi ultimi. Questo si è tradotto in un innalzamento del  debito pubblico che oggi è divenuto insopportabile. Non arrivando a riassorbire i loro deficit strutturali, gli Stati non possono affrontare il problema del debito, se non indebitandosi sempre più. Di fatto, in tal modo si è creata una situazione simile a quella dell’usura».
Aggiungendo un argomento scottante al dominio della finanza sulla politica e sulla buona amministrazione non posso che condividere il pensiero del filosofo francese, anche perché è quanto affermo, sui miei spazi, da anni: tanto la destra quanto la sinistra approfittano e sponsorizzano l’immigrazione incontrollata. Leggiamo la chiara disamina di de Benoist:
«Fin dalle sue origini, il capitalismo ha rivelato una profonda affinità col nomadismo internazionale. Già Adam Smith  diceva che la vera patria del commerciante è quella dove può realizzare il massimo profitto. Prendere posizione a favore del principio del “lasciar fare, lasciar passare”, cioè della libera circolazione di uomini e merci, così come ha sempre fatto il capitalismo liberale, significa mantenere le frontiere per gli inesistenti. Dal punto di vista della Forma-Capitale, la Terra non è che un immenso mercato che la logica del profitto ha la vocazione di scoprire integralmente, impegnandosi in una perpetua fuga in avanti. Il capitalismo, come aveva ben visto Marx, riguarda tutto ciò che ostacola questa fuga in avanti in quanto ostacolo da far sparire. In questa prospettiva, il ricorso all’immigrazione appare come un mezzo per mantenere bassi i salari e le conquiste sociali dei lavoratori autoctoni. È in questo senso che l’immigrazione costituisce “un’armata di riserva del capitale” bella e buona. Il paradosso è che molti avversari del capitalismo vorrebbero vedere continuare l’immigrazione, perché s’immaginano di trovare nella massa degli immigrati una sorta di “proletariato di ricambio”. E’ una delle varie incongruenze»
Per il momento, nessuno sa veramente come arrivarci, ma questo sistema affonderà, non abbattuto dai suoi avversari, quanto piuttosto sotto l’effetto delle proprie contraddizioni interne.
Oggi, del resto, le sovranità popolari si trovano soverchiate e il potere decisionale è passato nelle mani dei tecnocrati e dei banchieri.
Per un vero cambiamento oggi bisogna, però, operare anche su una rivoluzione interiore dell’essere umano perché capitalismo e consumismo sfrenato non sono solo prerogative della finanza, ma anche dell’uomo, si tratta infatti di rompere non solo col produttivismo, ma anche con l’utilitarismo, lo spirito calcolatore, con l’idea che tutti i valori possono e devono essere ridotti al solo valore di scambio. In altre parole, si tratta di uscire da un mondo dove niente ha più valore, ma dove tutto ha un prezzo.
Sostengo da anni anche ciò che Alain de Benoist descrive chiaramente in questo pensiero:
“L’azione locale, che sia di ordine politico (gioco della democrazia diretta, per rimediare alla mancanza di legame sociale) o economico (rilocalizzazione della produzione e del consumo) può aiutare le comunità viventi a riconquistare la loro autonomia, cioè a dotarsi dei mezzi che permettano loro, conformemente al principio di sussidiarierà (o di competenze sufficienti) di rispondere da sole ai problemi che le riguardano”.

Giorgio Bargna

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