martedì 26 novembre 2013

Né Marxismo né Capitalismo, sosteniamo il Localismo

Ne scrivo spesso, ma vale la pena di ritornarci sopra anche mille volte.
Quali sono i frutti negativi della modernità?

Essa ci ha portato sicuramente qualche beneficio sia chiaro, ma non morire più per un mal di denti od avere il bagno in casa, essere dotati di un cellulare e di un auto comodissima presenta un conto veramente salatissimo.

Viviamo in questi decenni una sovrappopolazione che rischia di divenire insostenibile (se la terra è nata per ospitare un tot numero di persone mica possiamo decuplicarle).
Viviamo le conseguenze imposte dalla natura ai nostri comportamenti partendo dal riscaldamento globale arrivando alle alluvioni ed alle frane sempre più frequenti.
Viviamo sicuramente una diminuzione delle risorse alimentari naturali e siamo schiavi della crisi energetica.

Viviamo la schiavitù di una globalizzazione finanziaria che cede enormi poteri alle banche.
Sono sintomi questi di una malattia gravissima, fattori di una crisi di sostenibilità sempre più aggressiva irrisolvibili tramite quei metodi “tradizionali” che ci vengono propinati.

Ci sono persone che governano il paese, non aspettiamoci da loro ricette alternative, “fanno politica” nel senso brutto; il senso per il quale le logiche del profitto prevalgono sempre, per cui l’economia ha sempre dettato legge, e la politica senza poter guidare l’economia non conta nulla.

Abbiamo vissuto negli ultimi decenni divisi, pro o contro, sui due regimi in voga quello capitalista e quello comunista. In sostanza due facce della stessa medaglia, due regimi che hanno bisogno di grandi masse di schiavi salariati da sfruttare, dove è indifferente se chi comanda è il padrone o il partito.
Nel nostro paese, tra i partiti “tradizionali”, non ricordo voci veramente tuonanti che orientino verso termini diversi dalle logiche capitaliste, tutti negano la strutturalità della crisi e la necessità di cambiare profondamente il modello economico.                                 
Dobbiamo optare (lo facciano almeno i giovani, noi oltre una certa età faticheremmo, scrivo soprattutto per loro) ad un “nuovo” stile di vita. Singoli cittadini, famiglie, amministrazioni (locali e non) piccole (o meno) cooperative, hanno un futuro avanti a se solo se intraprendono la strada virtuosa della autosufficienza energetica etica ed alimentare. Ho espresso spesso concetti di comunità; ecco occorrono comunità capaci di produrre energia rinnovabile sufficiente ai propri bisogni, produrre cibo per se stessi e non per il “mercato”, di realizzare autonomia idrica e magari di sostenersi su una moneta locale.
Immaginatevi oggi cosa potrebbe significare per una metropoli (ma non solo per essa) una crisi energetica dovuta alla mancanza di petrolio, nel giro di poche ore si esaurirebbero le scorte alimentari e nel breve fiorirebbero il mercato nero e la delinquenza della rapina per sopravvivenza.  Un esempio non lontanissimo, il black out di non ricordo quale city americana, grazie al quale assistemmo a  saccheggi e uccisioni, la democrazia e l’onestà vennero polverizzate da comportamenti da età della pietra.
Ci siamo scordati tutti che la maggior parte delle merci necessarie può essere prodotta in casa o tramite aziende locali dalle dimensioni umane, azione che contrasterebbe e limiterebbe ferocemente la creazione di grossi interessi economici, di monopoli, origine di molti mali. La società della piccola produzione, dell’indipendenza energetica autoprodotta, dell’agricoltura biologica, del rispetto dell’aria e dell’acqua è l’unica società che non avrà paura di nessuna crisi e che avrà un futuro.                                                                                       
I corsi ed i ricorsi storici hanno una valenza, la Roma “globalizzatrice” del S.R.I. ebbe sino a due milioni di abitanti e merci provenienti da tutto il mondo, ma fallì, la città si svuotò scemando a 35mila abitanti ed alle persone non rimase che di spandersi per le campagne a fare i contadini.

Giorgio Bargna

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