Ne scrivo spesso, ma vale la pena di ritornarci sopra anche
mille volte.
Quali sono i frutti negativi della modernità?
Essa ci ha portato sicuramente qualche beneficio sia chiaro,
ma non morire più per un mal di denti od avere il bagno in casa, essere dotati
di un cellulare e di un auto comodissima presenta un conto veramente
salatissimo.
Viviamo in questi decenni una sovrappopolazione che rischia
di divenire insostenibile (se la terra è nata per ospitare un tot numero di
persone mica possiamo decuplicarle).
Viviamo le conseguenze imposte dalla natura ai nostri
comportamenti partendo dal riscaldamento globale arrivando alle alluvioni ed
alle frane sempre più frequenti.
Viviamo sicuramente una diminuzione delle risorse alimentari
naturali e siamo schiavi della crisi energetica.
Viviamo la schiavitù di una globalizzazione finanziaria che
cede enormi poteri alle banche.
Sono sintomi questi di una malattia gravissima, fattori di
una crisi di sostenibilità sempre più aggressiva irrisolvibili tramite quei
metodi “tradizionali” che ci vengono propinati.
Ci sono persone che governano il paese, non aspettiamoci da
loro ricette alternative, “fanno politica” nel senso brutto; il senso per il
quale le logiche del profitto prevalgono sempre, per cui l’economia ha sempre
dettato legge, e la politica senza poter guidare l’economia non conta nulla.
Abbiamo vissuto negli ultimi decenni divisi, pro o contro,
sui due regimi in voga quello capitalista e quello comunista. In sostanza due
facce della stessa medaglia, due regimi che hanno bisogno di grandi masse di
schiavi salariati da sfruttare, dove è indifferente se chi comanda è il padrone
o il partito.
Nel nostro paese, tra i partiti “tradizionali”, non ricordo
voci veramente tuonanti che orientino verso termini diversi dalle logiche
capitaliste, tutti negano la strutturalità della crisi e la necessità di
cambiare profondamente il modello economico.
Dobbiamo optare (lo facciano almeno i giovani, noi oltre una
certa età faticheremmo, scrivo soprattutto per loro) ad un “nuovo” stile di
vita. Singoli cittadini, famiglie, amministrazioni (locali e non) piccole (o
meno) cooperative, hanno un futuro avanti a se solo se intraprendono la strada
virtuosa della autosufficienza energetica etica ed alimentare. Ho espresso
spesso concetti di comunità; ecco occorrono comunità capaci di produrre energia
rinnovabile sufficiente ai propri bisogni, produrre cibo per se stessi e non
per il “mercato”, di realizzare autonomia idrica e magari di sostenersi su una
moneta locale.
Immaginatevi oggi cosa potrebbe significare per una
metropoli (ma non solo per essa) una crisi energetica dovuta alla mancanza di
petrolio, nel giro di poche ore si esaurirebbero le scorte alimentari e nel
breve fiorirebbero il mercato nero e la delinquenza della rapina per
sopravvivenza. Un esempio non
lontanissimo, il black out di non ricordo quale city americana, grazie al quale
assistemmo a saccheggi e uccisioni, la
democrazia e l’onestà vennero polverizzate da comportamenti da età della pietra.
Ci siamo scordati tutti che la maggior parte delle merci
necessarie può essere prodotta in casa o tramite aziende locali dalle
dimensioni umane, azione che contrasterebbe e limiterebbe ferocemente la
creazione di grossi interessi economici, di monopoli, origine di molti mali. La
società della piccola produzione, dell’indipendenza energetica autoprodotta,
dell’agricoltura biologica, del rispetto dell’aria e dell’acqua è l’unica
società che non avrà paura di nessuna crisi e che avrà un futuro.
I corsi ed i ricorsi storici hanno una valenza, la Roma
“globalizzatrice” del S.R.I. ebbe sino a due milioni di abitanti e merci
provenienti da tutto il mondo, ma fallì, la città si svuotò scemando a 35mila
abitanti ed alle persone non rimase che di spandersi per le campagne a fare i
contadini.
Giorgio Bargna
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