Poniamoci delle riflessioni sulla Città. E’
ancora libera o è schiava dell’urbanizzazione globale?
Siamo ben chiari, la Città, come la
intendiamo oggi, non sarebbe esistita senza l’esperienza essenziale e storica
della città comunale indipendente,
caratteristica dell’Italia e della Germania. In questo schema organizzativo di
Città i Cittadini, subalterni si, ma autonomi rispetto ai feudatari
svilupparono sia la libertà di commercio che le prime forme di democrazia
attraverso le libere elezioni dei propri rappresentanti. Questo modello di Città sviluppò un ordine sociale basato sul diritto
alla cittadinanza per tutti quelli che vi risiedevano, non basato su vincoli di
sangue o etnici, compreso il diritto alla protezione e alla sicurezza per lo
“straniero”.
L’attuale modello di Città lo possiamo
considerare politicamente e strutturalmente in crisi?
Io credo di si!
Oggi nelle Città non si respira più serenità
ma paura e senso del pericolo, ciò è dovuto a parecchie motivazioni di vario
aspetto, ma tutte legate ad un fenomeno comune.
Intanto oggi, al contrario di allora, quando
ben in pochi si spostavano di luogo, le aree urbanizzate accolgono più della
metà degli abitanti della terra; all'interno, anche, di aree metropolitane con
più di 10 milioni di abitanti.
Oltretutto le aree urbanizzate, pur occupando
solo il 2% della superficie terrestre, consumano tre quarti delle risorse del
pianeta, producendo una massa enorme di gas inquinanti, di rifiuti e di sostanze
tossiche.
Consideriamo che negli inizi del secolo
scorso la più popolosa Città al mondo (Londra) contava 6,5 milioni di abitanti. Oggi l’urbanizzazione
selvaggia materializza enormi problemi ambientali e sociali nei confronti ad
esempio della sicurezza urbana e dell’aumento delle malattie.
Consideriamo che le 25 maggiori città della terra producono più della
metà della ricchezza del pianeta.
Si sviluppa attraverso questo fenomeno di
intesa delle Città Metropolitane un secondo, conseguente, fenomeno: la mega
regione. Dati delle N.U. informano che all’interno di queste mega regioni viva un
quinto degli abitanti della Terra e che in questi ambiti si svolga il 66% delle
attività economiche e l’85% di quelle tecnologiche e scientifiche sviluppando
un giro d’affari intorno ai 100 miliardi di dollari minimo, che le pone al di
sopra della 40a più grande nazione in termine di PIL.
La mega-regione in pratica svolge la
funzione che una volta era svolta dalla città ma
semplicemente su scala molto maggiore…ma
numeri di questa caratura sono ecologicamente e democraticamente sostenibili?
L’impronta ecologica sostenibile del
pianeta, necessaria a produrre le risorse utilizzate per assorbire i nostri
rifiuti, equivale a un indice di 1,78 annuo pro-capite. Ma un americano ne necessita di
9,5, un italiano di 4,8. Ogni metro dell’Africa, invece, ha invece un’impronta
ecologica inferiore all’indice. Oggi consumiamo il 23% in più delle risorse che
la Terra riesce a produrre in un anno.
Per essere ancora più chiari le risorse che
la biosfera produce in 365 giorni noi le bruciamo in 282. Più la città è
estesa, più questa impronta è forte. L’impronta ecologica è direttamente
connessa al consumo di suolo sottratto alla natura e al suo uso produttivo
primario. Stando ad uno studio dell’ISPRA
il nostro paese è passato da un consumo di suolo pari a 8.000 kmq nel
1956, ai 20.500 kmq nel 2010, equivalente a 343 mq pro capite rispetto 170 mq
nel 1956, pari ad un consumo medio di territorio del 6,9% a fronte di una media
del 2,8% nel 1956. Le media europea di consumo di suolo equivale al 2,3%.
La globalizzazione ha inciso sicuramente in
questi aspetti, le Città inizialmente si sviluppavano per motivi di
industrializzazione, oggi sicuramente diventano sempre più luoghi dove estrarre profitto
attraverso la loro valorizzazione immobiliare e la loro rielaborazione intesa alle
esigenze di mobilità delle persone e delle merci, luoghi di estrazione di forza-lavoro
a basso costo, di consumi di massa, dove si concentra il potere finanziario e
direzionale dell’economia globale. Si tratta di meccanismi di dominio e di
controllo economico, sociale, culturale del mondo: al vertice le grandi città
sedi della finanza e del potere a seguire le grandi metropoli terziarie orientate ai consumi di massa, poi il famoso
terzo mondo figlio dalla privatizzazione della terra e dell’acqua.
In questo modello urbano risiede una
molteplicità di collocazioni, intesa di bassorilievo nei confronti di un
cerchia di stampo aristocratico disinteressata al bene comune, troviamo un “secondo
valore di umanità” rinchiuso, emarginato, in enclave identitarie anche a base
etnica, che lottano per la vita ai margini o fuori della legalità nelle anonime
periferie urbane, dove regnano lo sradicamento, la solitudine, l’esclusione
sociale e dove sembrano smarrite le speranze di emancipazione e integrazione
sociale.
Questa impronta globalista, attraverso la
quale la Città non riesce più a produrre Società, travolge e snatura le nostre
città, e con esse la nostra democrazia trasformandola progressivamente in
oligarchia e forse in tirannia.
Dove, come possiamo rifondare la Città?
Innanzitutto risfoderando i simboli ed il
senso di Appartenenza, ridando la bellezza, architettonica e sociale,
riprendendo nelle nostre mani il destino delle nostre città perché al principio
del danno ci sono la crisi ed il fallimento della politica. E’ stato annientato
il potere delle comunità locali nell’orientare le scelte dello sviluppo locale;
il governo e la politica locale non conducono più le città in nome dei
cittadini e nell’intesa del bene comune. Le Città sono state trasformate in merce
e privatizzate a favore dei poteri forti della speculazione finanziaria e
immobiliare, della rendita urbana: i comuni si finanziano con l’espansione
urbana e il consumo di territorio, svendendo e privatizzando i propri beni
comuni. L’effetto è evidente: insostenibilità ecologica e centralizzazione del sistema decisionale in
nome della necessità di governare le emergenze ambientali, le grandi opere
infrastrutturali attraverso il conferimento di poteri eccezionali che aggirano
le regole e le norme di legge.
L’unica alternativa non può che trovare le
sue radici nel vero municipalismo e in un nuovo policentrismo territoriale e
metropolitano ecologicamente auto-sostenibile, basato sulle
bioregioni e sulla cooperazione municipale.
Necessita puntare su convenzioni di
cooperazione orizzontale tra comuni per riallacciare
e
riunificare ambiti territoriali di area
basandosi su delle specifiche peculiarità storiche, culturali, ambientali,
morfologiche e geologiche del territorio, per promuovere sviluppo locale auto
sostenibile.
Individuate, sviluppate queste aree
governate attraverso patti federativi tra comunità locali, occorre rimettere in
discussione l’attuale assetto delle Regioni e delle Province puntando ad una
forte decentralizzazione degli ambiti decisionali e di governo a scala di Area,
Comune e Quartiere.
Il territorio va inteso quale bene comune
non alienabile assoggettato ad un governo collettivo da parte delle comunità
locali aderendo al modello policentrico e multipolare della bioregione come ecosistema
urbano e rurale dotato di una forte capacità di auto sostenibilità.
Necessita valorizzare la comunità e la
capacità di autogoverno dei cittadini nella gestione dei beni in comune, l’educazione
a coltivare il luogo di vita quale bene comune, con istituzioni e leggi che le
promuovano e sorreggano.
Il rinnovo delle nostre Città e della nostra
Società in generale è legato al protagonismo e impegno civico del cittadino da
cui può rinascere la Città con la C maiuscola come nuova democrazia saldamente
ancorata in città a misura d’uomo.
Giorgio Bargna