martedì 28 ottobre 2014

(Rifondare) La Città

Poniamoci delle riflessioni sulla Città. E’ ancora libera o è schiava dell’urbanizzazione globale?
Siamo ben chiari, la Città, come la intendiamo oggi, non sarebbe esistita senza l’esperienza essenziale e storica della  città comunale indipendente, caratteristica dell’Italia e della Germania. In questo schema organizzativo di Città i Cittadini, subalterni si, ma autonomi rispetto ai feudatari svilupparono sia la libertà di commercio che le prime forme di democrazia attraverso le libere elezioni dei propri rappresentanti. Questo modello di Città  sviluppò un ordine sociale basato sul diritto alla cittadinanza per tutti quelli che vi risiedevano, non basato su vincoli di sangue o etnici, compreso il diritto alla protezione e alla sicurezza per lo “straniero”.
 
L’attuale modello di Città lo possiamo considerare politicamente e strutturalmente in crisi?
Io credo di si!
Oggi nelle Città non si respira più serenità ma paura e senso del pericolo, ciò è dovuto a parecchie motivazioni di vario aspetto, ma tutte legate ad un fenomeno comune.

Intanto oggi, al contrario di allora, quando ben in pochi si spostavano di luogo, le aree urbanizzate accolgono più della metà degli abitanti della terra; all'interno, anche, di aree metropolitane con più di 10 milioni di abitanti.

Oltretutto le aree urbanizzate, pur occupando solo il 2% della superficie terrestre, consumano tre quarti delle risorse del pianeta, producendo una massa enorme di gas inquinanti, di rifiuti e di sostanze tossiche.

Consideriamo che negli inizi del secolo scorso la più popolosa Città al mondo (Londra) contava  6,5 milioni di abitanti. Oggi l’urbanizzazione selvaggia materializza enormi problemi ambientali e sociali nei confronti ad esempio della sicurezza urbana e dell’aumento delle malattie.

Consideriamo che le  25 maggiori città della terra producono più della metà della ricchezza del pianeta.

Si sviluppa attraverso questo fenomeno di intesa delle Città Metropolitane un secondo, conseguente, fenomeno: la mega regione. Dati delle N.U. informano che all’interno di queste mega regioni viva un quinto degli abitanti della Terra e che in questi ambiti si svolga il 66% delle attività economiche e l’85% di quelle tecnologiche e scientifiche sviluppando un giro d’affari intorno ai 100 miliardi di dollari minimo, che le pone al di sopra della 40a più grande nazione in termine di PIL.

La mega-regione in pratica svolge la funzione che una volta era svolta dalla città ma
semplicemente su scala molto maggiore…ma numeri di questa caratura sono ecologicamente e democraticamente sostenibili?

L’impronta ecologica sostenibile del pianeta, necessaria a produrre le risorse utilizzate per assorbire i nostri rifiuti, equivale a un indice di 1,78 annuo  pro-capite. Ma un americano ne necessita di 9,5, un italiano di 4,8. Ogni metro dell’Africa, invece, ha invece un’impronta ecologica inferiore all’indice. Oggi consumiamo il 23% in più delle risorse che la Terra riesce a produrre in un anno.

Per essere ancora più chiari le risorse che la biosfera produce in 365 giorni noi le bruciamo in 282. Più la città è estesa, più questa impronta è forte. L’impronta ecologica è direttamente connessa al consumo di suolo sottratto alla natura e al suo uso produttivo primario. Stando ad uno studio dell’ISPRA  il nostro paese è passato da un consumo di suolo pari a 8.000 kmq nel 1956, ai 20.500 kmq nel 2010, equivalente a 343 mq pro capite rispetto 170 mq nel 1956, pari ad un consumo medio di territorio del 6,9% a fronte di una media del 2,8% nel 1956. Le media europea di consumo di suolo equivale al 2,3%.

La globalizzazione ha inciso sicuramente in questi aspetti, le Città inizialmente si sviluppavano per motivi di industrializzazione, oggi sicuramente  diventano sempre più luoghi dove estrarre profitto attraverso la loro valorizzazione immobiliare e la loro rielaborazione intesa alle esigenze di mobilità delle persone e delle merci, luoghi di estrazione di forza-lavoro a basso costo, di consumi di massa, dove si concentra il potere finanziario e direzionale dell’economia globale. Si tratta di meccanismi di dominio e di controllo economico, sociale, culturale del mondo: al vertice le grandi città sedi della finanza e del potere a seguire le grandi metropoli terziarie  orientate ai consumi di massa, poi il famoso terzo mondo figlio dalla privatizzazione della terra e dell’acqua.

In questo modello urbano risiede una molteplicità di collocazioni, intesa di bassorilievo nei confronti di un cerchia di stampo aristocratico disinteressata al bene comune, troviamo un “secondo valore di umanità” rinchiuso, emarginato, in enclave identitarie anche a base etnica, che lottano per la vita ai margini o fuori della legalità nelle anonime periferie urbane, dove regnano lo sradicamento, la solitudine, l’esclusione sociale e dove sembrano smarrite le speranze di emancipazione e integrazione sociale.
Questa impronta globalista, attraverso la quale la Città non riesce più a produrre Società, travolge e snatura le nostre città, e con esse la nostra democrazia trasformandola progressivamente in oligarchia e forse in tirannia.

Dove, come possiamo rifondare la Città?
Innanzitutto risfoderando i simboli ed il senso di Appartenenza, ridando la bellezza, architettonica e sociale, riprendendo nelle nostre mani il destino delle nostre città perché al principio del danno ci sono la crisi ed il fallimento della politica. E’ stato annientato il potere delle comunità locali nell’orientare le scelte dello sviluppo locale; il governo e la politica locale non conducono più le città in nome dei cittadini e nell’intesa del bene comune. Le Città sono state trasformate in merce e privatizzate a favore dei poteri forti della speculazione finanziaria e immobiliare, della rendita urbana: i comuni si finanziano con l’espansione urbana e il consumo di territorio, svendendo e privatizzando i propri beni comuni. L’effetto è evidente: insostenibilità ecologica e  centralizzazione del sistema decisionale in nome della necessità di governare le emergenze ambientali, le grandi opere infrastrutturali attraverso il conferimento di poteri eccezionali che aggirano le regole e le norme di legge.

L’unica alternativa non può che trovare le sue radici nel vero municipalismo e in un nuovo policentrismo territoriale e metropolitano ecologicamente auto-sostenibile, basato sulle bioregioni e sulla cooperazione municipale.
Necessita puntare su convenzioni di cooperazione orizzontale tra comuni  per riallacciare e
riunificare ambiti territoriali di area basandosi su delle specifiche peculiarità storiche, culturali, ambientali, morfologiche e geologiche del territorio, per promuovere sviluppo locale auto sostenibile.

Individuate, sviluppate queste aree governate attraverso patti federativi tra comunità locali, occorre rimettere in discussione l’attuale assetto delle Regioni e delle Province puntando ad una forte decentralizzazione degli ambiti decisionali e di governo a scala di Area, Comune e Quartiere.
Il territorio va inteso quale bene comune non alienabile assoggettato ad un governo collettivo da parte delle comunità locali aderendo al modello policentrico e multipolare della bioregione come ecosistema urbano e rurale dotato di una forte capacità di auto sostenibilità.

Necessita valorizzare la comunità e la capacità di autogoverno dei cittadini nella gestione dei beni in comune, l’educazione a coltivare il luogo di vita quale bene comune, con istituzioni e leggi che le promuovano e sorreggano.

Il rinnovo delle nostre Città e della nostra Società in generale è legato al protagonismo e impegno civico del cittadino da cui può rinascere la Città con la C maiuscola come nuova democrazia saldamente ancorata in città a misura d’uomo.

Giorgio Bargna

Nessun commento: