Proseguiamo il discorso parlando di due temi contemporaneamente, la difficoltà dei padri separati e i figlicidi perpetrati dai padri, temi spesso legati a doppio taglio.
Esiste sicuramente il “dramma dei padri separati”, che spesso nelle separazioni corrono il rischio di perdere i figli.
Nulla può giustificare un gesto così orribile come l'uccisione di un figlio. E qui non si tratta certo di giustificare ma di capire. Ammesso che sia possibile. Non ho dubbi che nelle vicende di separazione e affidamento il padre sia la parte debole, almeno a breve e medio termine.
L’aspetto più critico che lo riguarda, quando la separazione è conflittuale è la perdita dei figli.
Sappiamo tutti ormai che vengono sentenziati affidamenti condivisi in percentuali altissime, ma sappiamo bene anche che si tratta in molti casi di pura formula facilmente eludibile da parte della madre con mille escamotage, accompagnati a volte da accuse strumentali di violenze fisiche o, peggio, di abusi sessuali sui figli.
Siamo comunque anche consapevoli che pure i padri danno spesso, nella separazione, il peggio di sé, ignorando il dovere economico del mantenimento dei figli, trascurando in vari modi la prole (per non parlare di coloro che, incapaci di accettare la separazione, agiscono con violenza contro la partner aggredendola, ferendola, uccidendola), il rischio di essere privati del rapporto con i figli è concreto.
Come nei casi di figlicidio "matrigno" incide sicuramente l'equilibrio mentale di un padre.
Separarsi da un figlio è un rischio che può tradursi in un dolore indicibile, esasperare al limite della follia, del gesto inconsulto (non sono pochi i padri che si sono suicidati per il dolore di non riuscire a frequentare i figli).
E’ ovvio che chi commette un gesto tanto drammatico come un figlicidio non è in possesso di un perfetto equilibrio psichico e nervoso, è plausibile che incorpori una debolezza, una fragilità, una paura che lo ha spinto ad arrendersi, nel modo peggiore, anziché combattere per il proprio diritto di genitore.
Non scopriamo certo l'acqua calda asserendo che l’uccisione di un figlio sia l’espressione di una patologia o di uno sconvolgimento della mente, ma quella patologia, non si sarebbe mai manifestata se la separazione non avesse significato, in concreto o in prospettiva, la probabile perdita dei figli.
C'è sicuramente qualcosa di sbagliato nelle leggi, non si può chiedere agli uomini di essere presenze amorevoli per i figli e poi estrometterli brutalmente dalla quotidianità degli affetti per farne dei "visitatori" saltuari e ininfluenti.
Ovviamente non si tratta puramente di colpe legate alle leggi, negli autori di questi gesti a volte sopravvive anche un sentimento patriarcale di possesso e di dominio, che rende loro intollerabile l’idea di essere abbandonati, un modo aberrante di riaffermare un diritto assoluto sulla donna da parte del maschio e un evidente segnale di debolezza, disorientamento, paura.
Crediamo meno ai raptus, anche se la scienza li riconosce, quale causa di un figlicidio, anche se questa carta viene spesso giocata dagli avvocati.
Non dimentichiamoci poi di un elemento che colpisce al giorno d'oggi, con reazioni a volte diverse tra uomo e donna, molte persone, la depressione, che ha due volti in tutti noi: quello autodistruttivo, implosivo, che comprime la persona in un’inquieta inerzia sempre più paralizzante ed il volto aggressivo, che si alimenta di rabbia, di frustrazione, di odio.
Prendo un esempio base, per un uomo perdere il lavoro può essere devastante.
La perdita del lavoro significa una gravissima crisi per l’identità: in un giorno perde reddito, status di lavoratore, relazioni sociali, ritmi quotidiani, rispetto dei familiari.
L’angoscia del domani può diventare pervasiva, la depressione spalanca le porte ai pensieri di morte. Suicidi od omicidi, se l’aggressività viene diretta contro altri, con l’elemento frenante della paura delle conseguenze che perde tutta la sua forza, davanti al pensiero di aver perso tutto: il lavoro, l’amore, il rispetto dei figli.
Quanto elencato sinora dunque, sono fattori che possono armare la mano, soprattutto quando crescono in uomini dal pensiero primitivo, impulsivi, poco capaci di autocontrollo per carattere, educazione o disperazione. Dal punto di vista preventivo sarebbe essenziale non banalizzare la depressione, specie nella sua forma violenta.
Come già in parte concluso nel post precedente all’interno delle famiglia, sarebbe essenziale che tutti ci ascoltassimo, restando su questo tema quanto all'interno di un nucleo famigliare si sa sostenere un uomo, in crisi profonda? Poco e male dico io.
Siamo sempre su quel punto, si lo Stato, si la società, ma soprattutto noi, nel nostro quotidiano, famigliare o sociale che sia, siamo gli artefici di un cambiamento radicale e/o i complici, indiretti a volte, diretti in altre occasioni, di quanto accade.
Grazie per l'attenzione,
Giorgio Bargna

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