domenica 5 aprile 2020

La "Devoluzione", un pò di numeri e considerazioni


Un cappello iniziale da mettere sopra a tutti i numeri e i meccanismi che elencherò qui sotto. 
Siamo davanti a un emergenza unica e drammatica, qui non si tratta di colori politici, si tratta di salvaguardia nazionale e delle diversità dei comportamenti che i vari Governi, di diverse nazioni stanno tenendo in questi giorni.
Il nostro (spero di essere smentito), asservito alle banche andrà a Bruxelles col cappello in mano e tornerà con nuovi debiti per gli Italiani, altri Paesi erogano coraggiosamente fondi che non potrebbero erogare. Quello che leggerete qui sotto è figlio di questa politica che ripeto non ha colore politico ma semplicemente finanziario, buona lettura.


Partiamo da due presupposti, i servizi alla persona e quelli sanitari sono a carico gestionalmente e in parte anche finanziariamente a enti locali quali Comuni e Regioni.

Negli anni lo Stato ha ridotto enormemente i trasferimenti alle Regioni (che poi a loro volta trasferiscono ai Comuni) in nome del “Patto di stabilità e crescita”, delegando proprio agli enti locali l’onere di mantenere fede a questo accordo, la più subdola mossa in questo campo la trovate definita in questo mio vecchio articolo: “Patto di stabilità spiegato ad un bambino”.

Quindi, tra le altre cose l’ente locale rischia la limitazione della spesa corrente, l’impossibilità di contrarre alcun tipo di finanziamento, il  blocco delle assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

Due cifre attinte da un sito abbastanza affidabile su queste tematiche:

"In Lombardia, di fronte ai 6.623 euro di tasse pagate da ogni cittadino (fonte CGIA di Mestre)  lo Stato restituisce solo 1.263 euro (con un saldo negativo pari cosi' a 5.360 euro). E non va meglio nemmeno al Lazio, dove ogni residente versa 5.787 euro e se ne vede ritornare 1.359 (con un saldo negativo di 4.428 euro). Anche il Piemonte registra una situazione deficitaria. Di fronte ai 4.761 euro pro capite di  imposte versate all'erario la regione piemontese e' all'ultimo posto per quanto gli viene restituito come valore assoluto: solo 881 euro facendo registrare un ''deficit'' di 3.880 euro pro capite. Sulla scia delle regioni maggiormente svantaggiate anche l'Emilia Romagna e il Veneto. Ogni contribuente emiliano-romagnolo che versa allo Stato 4.317 euro, ne riceve appena 900; con un saldo negativo quindi pari a 3.417 euro. I  veneti, a loro volta, ne danno 3.915  e ne vengono loro restituiti 955. All'appello cosi' mancano 2.960 euro. A vivere, invece, ancor oggi una situazione di vantaggio nel meccanismo del dare/avere con lo Stato centrale - secondo lo studio della Cgia di Mestre - sono gran parte delle regioni del Sud e soprattutto quelle a statuto speciale."

Qui trovate un articolo ben dettagliato.

Estraggo da qui invece delle considerazioni:

la frenata più importante è arrivata dagli investimenti degli enti locali (-48% tra il 2009 e il 2017) e dalla spesa per le risorse umane (-5,3%), una combinazione che in termini pratici si ripercuote sulla quantità e sull’ammodernamento delle apparecchiature, oltre che sulla disponibilità di personale dipendente, calato nel periodo preso in considerazione di 46mila unità (tra cui 8mila medici e 13mila infermieri). I mancati investimenti si fanno sentire soprattutto nel sud Italia, dove tutte le regioni (eccezion fatta per il Molise) spendono meno della media nazionale.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Italia ha a disposizione 164mila posti letto per pazienti acuti (272 ogni centomila abitanti), dato calato di un terzo dal 1980 a oggi. I posti in terapia intensiva sono invece poco più di 3.700, che diventano 5.300 (8,4 ogni 100mila abitanti) se consideriamo anche le strutture private. Attualmente, sul territorio nazionale, i pazienti ricoverati in terapia intensiva a causa del Covid-19 sono 1.028, di cui 560 nella sola Lombardia”.

Se notate bene ho evidenziato in grassetto una specifica. Se cercate sui motori di ricerca capirete che lo Stato Centrale “suggeriva” alle Regioni di deviare verso il privato a livello di politiche sanitarie. Non andiamoci a perdere troppo a evidenziare cifre e colpevoli, limitiamoci a quanto qui sotto, tratto da un articolo che ora non ritrovo, ed un altro riferibile a Gianluigi Paragone :

I tagli alla Sanità italiana portano il nome, primo fra tutti, del governo Mario Monti (2011-12): così l’ex presidente del think tank Bruegel, che aveva per membri le più grandi aziende multinazionali europee, ha agito in pochi giorni, sulla scorta dello choc dello spread.

I governi seguenti hanno continuato nel solco del pilota automatico innestato da Monti. Come spiega lo studio dell’Osservatorio Gimbe sopra linkato, il definanziamento si è avuto con una crescita degli stanziamenti inferiore a quello dell’inflazione. Sono stati i governi Letta (2013-14), Renzi (2014-2016), Gentiloni (2016-18)”.

Nel 1980 i posti per malati acuti erano 922 ogni 100.000 abitanti. Il 1998 è stato l’anno di svolta, l’ultimo in cui l’Italia si era sopra la media europea, poi il governo D’Alema da il via ad una discesa costante

Una scelta politica sancita anche dal piano Sanitario nazionale 2003/2005 che tra gli obiettivi metteva «la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per acuti». Di fronte a una popolazione sempre più anziana e con patologie croniche, si è scelto di potenziare soprattutto l’assistenza territoriale e domiciliare, cercando di evitare il ricovero in ospedale”.
Tutto è iniziato con il governo di Mario Monti. “La stagione della spending review ha portato in dote una sforbiciata alla spesa sanitaria da 6,8 miliardi fino al 2015. Da allora le cose sono andate sempre peggio. In nome del risanamento dei bilanci locali e delle aziende sanitarie sono scattati i piani di rientro per le Regioni. Così i governatori hanno tagliato ancora.
Nel Lazio, ad esempio, Nicola Zingaretti ha cassato 3.600 posti letto e chiuso diversi ospedali. In compenso il bilancio regionale della sanità è tornato in positivo, ma il prezzo da pagare per la collettività è stato alto in termini di costi e servizi”.

Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, “le risorse per il personale sono scese di due miliardi fra il 2010 e il 2018. Ma per Gimbe le cose starebbero anche peggio: nello stesso periodo dei 37 miliardi di risparmi, almeno il 50% dei tagli è stato ‘scaricato’ sul personale dipendente e convenzionato riducendo di fatto i servizi per i cittadini”.

Il numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali è sceso di gran lunga sotto la media europea. Secondo il centro studi dell’ufficio parlamentare, l’indicatore era al 3,9 nel 2007 e al 3,2 nel 2017 contro una media europea diminuita da 5,7 a 5.
Anche il ticket è progressivamente aumentato. “In dieci anni, il gettito complessivo dei cosiddetti ticket, escluse le strutture accreditate dove il dato non viene rilevato, è passato da 1,8 miliardi nel 2008 a 3 miliardi nel 2018”.
Il costo della sanità sulle famiglie è dunque aumentato ed è raddoppiata la quota dei più poveri che rinunciano alle cure. E i livelli minimi di assistenza? Una chimera. Così come la diminuzione delle liste d’attesa. Il futuro? Le prospettive non sono affatto rosee. “Per il futuro, le previsioni di spesa sanitaria a legislazione vigente contenute nella Nadef 2019 indicano una ulteriore lieve riduzione in rapporto al Pil, dal 6,6% del 2019 al 6,5% nel 2022”, precisa l’ufficio studi parlamentare. Ma non doveva servire il coronavirus per farci rendere conto della gravità della situazione dei tagli”.




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