Per chiunque mi segua non è un
segreto che il mio pensiero vada spesso e volentieri di pari passo
con quello del pensatore francese Alain de Benoist, personaggio, come
me, difficile da collocare e incastonare in una precisa area politica
di senso tradizionale.
Pur senza volere assolutamente
paragonarmi al suo valore entrambi scriviamo delle stesse cose e se
da lui ho affinato le idee vi assicuro che a queste ci ero arrivato
solo.
Ribadiamo ancora una volta, non fa
mai male, alcuni principi comuni.
Critichiamo entrambi, legandole
l'una alle altre, ogni forma di individualismo e di universalismo
oltre che, comunque, i nazionalismi etnocentrici; tutte formule
basate sulla soggettività. Entrambi spingiamo verso dei passaggi che
possano portare alla decomposizione di questa attualità basata sulla
ragione mercantile e adagiata sui danni psicomorali esercitati dalla
Forma-Capitale. Entrambi ci spendiamo in favore delle autonomie
locali basate sulla difesa delle differenze e delle identità
collettive, ma mai sull'esclusione.
Entrambi sponsorizziamo un
federalismo reale, concreto, basato sul principio di sussidiarietà e
sulle comunità, sulle tradizioni ma anche sul multiculturalismo.
Vi lascio in calce una sua
intervista rilasciata alla rivista “Tradizione”.
Buona lettura.
De Benoist, a più riprese
Lei ha parlato del fenomeno della “colonizzazione dell’immaginario”
prodotta dalla Forma-Capitale. In sintesi, in cosa consiste?
“E’ stato Serge Latouche che,
per primo, ha parlato di “colonizzazione” dell’ immaginario
simbolico per indicare l’invasione e il condizionamento degli
spiriti da parte dei valori mercantili. Nell’epoca moderna,
l’affermazione dell’individualismo borghese si è accompagnato
all’espansione del capitalismo liberale, che ne è stato il
principale strumento di diffusione. Ora, il capitalismo non è
soltanto un sistema economico, ma è anche latore di un’antropologia:
non concepisce in effetti l’uomo che come Homo oeconomicus,
produttore-consumatore la cui esistenza è protesa a massimizzare in
modo egoistico il suo non limitabile interesse materiale. In tale
prospettiva, cioè quella dell’assiomatica dell’interesse, i
componenti di una stessa società non sono più vincolati gli uni
agli altri che dal contratto giuridico o dallo scambio mercantile.
Questa “reificazione” (Verdinglichung) dei rapporti sociali, che
Karl Marx aveva così bene anticipato, si sviluppa di pari passo con
l’idea che “l’economia, è il destino”. Mentre tutti gli
ambiti dell’esistenza, compresi quelli che un tempo vi si
sottraevano almeno in parte (la terra, il lavoro, lo sport, l’arte,
la cultura etc.), si sono progressivamente mercantilizzati, vale dire
è stata loro imposta la sola legge della resa economica e del
profitto, tutti i valori umani che non sono quantificabili cedono il
passo al valore di scambio. L’economia considerata (a torto) come
una scienza, può allora pervadere il mondo del pensiero.
La Forma-Capitale mette in vendita
dei prodotti solo per riprodursi, cioè per accrescere la propria
dimensione quantitativa senza alcuna considerazione di possibili
limiti. Essa può così essere definita quale auto valorizzazione del
profitto in una prospettiva illimitata. La novità del capitalismo fa
si che tutte le cose, in esso, si trasformino in merci – a
cominciare dall’uomo stesso, ridotto a vendersi sul “mercato del
lavoro”. Ora, produrre per il mercato, significa produrre per un
campo d’equivalenza ove ogni cosa vale l’altra, in quanto il
valore è stato ridotto all’unità monetaria. L’immaginario
simbolico, così “colonizzato”, diviene strettamente dipendente
dal sistema del denaro, nel quale è possibile leggere la forma
aggiornata del regno della quantità”.
La ragione mercantile tende
a presentare lo stato attuale delle cose come invalicabile, la
società dei consumi come il migliore dei mondi possibili e la “fine
della storia” quale orizzonte esistenziale definitivo per l’ultimo
uomo. Cosa pensa di tale rappresentazione della realtà?
“La maggior parte degli storicismi
moderni, a partire dall’ideologia del progresso, postulano che la
storia umana sia votata a concludersi in una fase terminale, verso la
quale sarebbero incamminate necessariamente tutte le culture. Per
altri liberali, tale stadio terminale si confonde con il regno
planetario del mercato, considerato sistema autoregolatore ed
autoregolato. Quando il mercato, avrà fornito la prova della propria
superiorità assoluta, la storia recederà. E’ in tale ottica che
si situò Francis Fukuyama quando annunciò la “fine della storia”
per il solo motivo che dopo l’implosione del sistema sovietico, il
mondo occidentale aveva perso il suo principale competitore. Ben
inteso, la storia si è rapidamente ripresa i suoi diritti. Si è
allora realizzato un periodo di transizione, un Zwischenzeit, dal
quale oggi non siamo ancora usciti, ma che annuncia con tutta
evidenza il darsi di un nuovo “Nomos della terra”, per dirla con
Carl Schmitt.
Sfortunatamente, l’ideologia
dominante continua a pensare che lo stato attuale delle cose sia più
o meno insuperabile. Essa non sostiene che viviamo indubitabilmente
nel migliore dei mondi possibili, ma che nonostante i difetti del
mondo attuale (che si spera di poter progressivamente emendare), non
sia più possibile realizzare un nuovo tipo di società. Ogni
tentativo rivoluzionario, e non più soltanto riformista, condurrebbe
al peggio (il “totalitarismo”) o equivarrebbe ad un “ritorno al
passato”. Tale posizione è assai paradossale: l’ideologia del
progresso non ha smesso di idolatrare il novum, ma tende ormai a
rifiutare l’idea della novità radicale! Per fare un confronto con
l’ideologie messianiche, l’ideologia progressista considera che
il Regno non sia da porsi ancora nell’avvenire, ma che si sia già
realizzato. I nostri contemporanei non sono molto felici nel mondo
attuale, ma vivono schiacciati dall’orizzonte della fatalità,
dell’inevitabilità. Bisogna che comprendano che la storia non è
finita”.
Per Lei la storia è dunque
inesausta apertura. In quali termini la sua valorizzazione dell’idea
sferica della temporalità dipende dalla opzione “pagana” che ha
caratterizzato la sue posizioni speculative fin dagli anni Settanta?
E soprattutto, è oggi possibile proseguire nella ricerca di Nuove
sintesi ideali su questo specifico tema? Penso in Italia alle
posizioni recentemente espresse in un suo libro da Diego Fusaro.
“Dire che la storia è sempre
aperta, vuol dire rifiutare il fatalismo storico, sia che tale
fatalità sia interpretata come “progresso” necessario o come
inevitabile “declino”. La nozione di “senso della storia”
scaturisce d’altronde, con tutta evidenza, dalla idea
giudaico-cristiana di una storia vettoriale, lineare, con un inizio e
una fine assoluti, per il fatto di essere del tutto antitetica alla
concezione ciclica o sferica della storia propria dell’antichità
europea. Ma la questione delle “nuove sintesi” ha poco a
che vedere con la concezione della storia. In campo politico, essa
emerge molto più dalla decomposizione della vecchia contrapposizione
destra-sinistra, che non corrisponde più a nulla. L’epoca
contemporanea non smette, in effetti, di produrre divisioni di tipo
trasversale, che attraversano tutte le famiglie politiche ed
ideologiche. Tale evoluzione rende possibile dialoghi proficui e
l’affermarsi di “nuove sintesi” E’ in questa prospettiva che
è necessario collocare le posizioni sostenute in Italia da Diego
Fusaro (e prima di lui da Costanzo Preve) e in Francia da Jean-Claude
Michéa”.
La società delle “acque
basse” nella quale viviamo, per dirla con Cornelius Castoriadis, o
dei “narcisi” dell’eterno presente consumistico, è in via di
progressiva femminilizzazione. Questo fenomeno quali contraccolpi
sociali potrebbe determinare?
“A giusto titolo il movimento
femminista ha protestato ai suoi esordi contro la svalutazione dei
valori femminili, che spesso è stata al centro delle società
patriarcali. Il problema è che attualmente sia precipitati
nell’eccesso opposto. A causa di diverse ragioni sociologiche ed
economiche, sono i valori maschili e virili -a cominciare
dall’autorità, dall’affermazione di sé, dal vincolo tra uomini,
etc. – che sono stati via via denigrati e svalutati. Lo stesso
Stato è divenuto uno “Stato terapeutico”, come lo definì
Cristopher Lasch, una sorta di Big Mother che si consacra sempre più
a problemi di gestione, di assistenza, sanitari, etc. L’equilibrio
del maschile e del femminile, pertanto, andrebbe restaurato”.
Negli ultimi anni il mondo
occidentale ha visto prepotentemente avanzare l’ideologia del
genere che nega le identità sessuali. Quali sono i pericoli che essa
nasconde e quali contromisure adottare per riuscire a scongiurarli?
“La teoria del genere è una
teoria che pretende che l’identità sessuale non dipenda in nulla
dal sesso nel senso biologico del termine, ma solo dai ruoli sociali
attribuiti agli individui dall’educazione e dalla cultura. Se ne
deduce che l’individuo sarebbe alla nascita sessualmente “neutro”:
sarebbe sufficiente educare un bambino come una bambina per farne una
femminuccia, o educare come un fanciullo una bambina per farne
un maschietto. L’idea sottesa a tale argomentare rinvia a un
essere indifferenziato. Ciò che bisogna rimproverare alla teoria del
genere, non è di aver distinto il sesso biologico dalla costruzione
dell’identità maschile e femminile, ma di credere che non ci sia
alcun rapporto stretto tra il primo e le seconde, e che tutto ciò
che comunemente viene considerato come maschile e femminile, si
manifesti in un “genere” sconnesso dal sesso biologico. La
costruzione sociale è certo onnipresente nelle società umane, ma
non si realizza mai a partire dal nulla”.
Infine e per concludere. E’
possibile a suo giudizio parlare di “terzo” sesso?
“L’espressione “terzo sesso”
è una semplice metafora letteraria. In senso stretto, non ci sono
che due sessi: da una parte gli uomini, dall’altra le donne. I gay
e le lesbiche sono anch’essi degli uomini e delle donne dal punto
di vista del sesso biologico. Qualificare l’omosessualità come
“terzo sesso”, significa quindi confondere l’orientamento
sessuale con il sesso. Esistono molte pratiche, orientamenti e
preferenze sessuali, sulle quali a mio avviso non c’è bisogno di
articolare un giudizio morale, ma non ci sono che due soli sessi. La
molteplicità delle preferenze sessuali non elimina i sessi biologici
e non ne aumenta il numero. L’orientamento sessuale, qualunque sia,
non mette in discussione il corpo sessuato”.
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