venerdì 6 giugno 2014

L'unica battaglia spendibile

Sono passate le elezioni europee, non vi erano fronti comuni veramente coesi e saldi a favore della sovranità e contro l'euro, solo cavalli sciolti che hanno cavalcato l'ondata solo per intercettare voti a valanga.

Ci prometteva qualche annetto fa un personaggio: Con l'euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più.
Di certo noi oggi sappiamo che oggi la sovranità esiste solo nella versione di sovranità del mercato e della finanza.

E’ sintomatico che quanti non amino il genere “Europa del denaro”, anche quando si tratta di semplici cercatori di voto, vengano tacciati di populismo, termine vago coniato ad hoc dall’establishment per screditare chi è contro il sistema di potere che esso alimenta.
Non ritengo in se stesso l’euro il nemico assoluto, se strutturato con sostenibilità sarebbe anche stato un bene enorme, ma è certo che così impiantato sopra i danni già creati dalle ideologie degli ultimi anni è stato il colpo di grazia inferto ai nostri futuri.

A ben vedere i federalisti europei del dopoguerra sognavano una moneta unica europea, una politica estera unica europea, un esercito unico europeo, il tutto ponendo il federalismo tra i punti chiave e come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita.

Forse si era anche partiti bene nell’impresa, il risultato finale però è un contenitore politico/amministrativo ospitante una dittatura finanziaria ed eurocratica.
Ne da una significativa descrizione ce la da Diego Fusaro:
«L'Europa è una perversa reductio ad unum in cui dietro l'unità si nasconde la volontà impositiva di neutralizzare la pluralità. È questa un'Europa coerente con il progetto della globalizzazione perché neutralizza le culture, le tradizioni, il “diritto alla differenza”, imponendo l'unica lingua che è l'inglese della finanza, l'unico modo di pensare e di produrre del capitale finanziario, l'unico modo di strutturare le tradizioni».

Chiunque sia dotato di un minimo di senso federalista sa che il popolo europeo è ben altro, sa che si alimenta delle singole tradizioni locali, un vero e proprio raggruppamento di pluralità.
Di fatto però questo popolo oggi è vittima di una tecnocrazia spietata. Tramite il debito è stata imposta la schiavitù e le armi puntate verso i prigionieri non sparano più proiettili ma bensì debito pubblico e spread. Forse possiamo parlare di un nuovo, strisciante, sottile, totalitarismo di stampo nazista.

Dinanzi a questo scenario oggi, più che mai nella storia umana, la battaglia localista assume un ruolo fondamentale.
L’Uomo, il Cittadino, il Sovrano spogliato del proprio ruolo di protagonista sociale e politico necessita di dover di ritrovare i propri punti di riferimento, i propri valori, la propria dimensione e dignità e li può ritrovare e rigenerare solo poggiandosi su due identità, la propria e quella della Comunità a cui appartiene.

Solo ripartendo dai territori e da una gestione diretta delle scelte si potrà combattere la globalizzazione e le sue branche: omologazione, standardizzazione, appiattimento
delle culture e alienazione dell’identità e del senso di appartenenza.

Il fulcro della battaglia localista sta nella promozione dell’idea che diversità non è reato ma
bensì valore aggiunto, nell’antitesi alla globalizzazione, a colei che aliena l’identità dei popoli e degli uomini. Solo e soltanto un sistema basato su  piccole patrie e localismi, sul risolutivo ridimensionamento della tecnocrazia ed i suoi apparati industriali e virtuali può garantire la costruzione di una società che valorizza le risorse locali e le identità culturali e valorizza una struttura comunitaria basata su microeconomie autocentriche all’interno delle quali il cittadino partecipi in prima persona alle decisioni che lo riguardano, una società dunque che torna a reggersi sulla cooperazione e non più sulla competizione.

Visti i danni e le inefficienze di mille altre ideologie quella localista è l’unica battaglia che abbia senso combattere per il semplice motivo che si arma della fierezza del suolo di nascita e della solidarietà verso i prossimi più vicini e, poi di conseguenza, verso il mondo intorno a sé; partendo dalla cura dell’erba di casa propria si colora di verde tutto il mondo, con consapevolezza e determinazione.

Giorgio Bargna 

4 commenti:

nadiaconsani.blogspot.it ha detto...

Il problema, caro Giorgio, è questo: come si può ripartire se non ci danno i mezzi per farlo? Tutto quello che hai scritto nel post è molto bello, da me condivisibile al 100%, ma mi sembra ormai un'utopia, c'è troppa disonestà in chi ci governa e la corruzione ha preso il sopravvento. Spero soltanto una cosa, che la nuova generazione riesca a fare questa santa "battaglia localista" del sogno.

giorgio bargna ha detto...

E' chiaro Nadia che occorre gestire il denaro, presto sentirai qualcosa in merito...cerco di non scrivere solamente ma anche di applicare...qualche volta mi, ci, riesce.
Un bacio

Frannico ha detto...

Chiaramente la strada indicata da G.Bargna è l'unica percorribile per creare la Regioni Unite d'Europa, in una forma confederale appropriata. Permettendo a tutte quelle città che superano il milione di abitanti di potere divenire regione.
Il fatto che oggi la "Etica", sia sconosciuta e disattesa dalla maggioranza dei cittadini e non solo dai politici e dai più potenti è una verità incontrovertibile, l'importante è sperare di non avere raggiunto in questo il punto di "non ritorno". Senza Etica tutto finisce in drammatica e tragica rovina.

giorgio bargna ha detto...

Io spero nell'attuazione di un federalismo municipale che lasci spazio a federazioni spontanee e non vincolate...forse un sogno forse no