martedì 5 agosto 2008

Formule di Democrazia Partecipata: I metodi

La formula partecipiva più nota, la quale ha dato spunto per nuove esperienze, sicuramente è la trasformazione politica sperimentata a Porto Alegre (Orçamento Partecipativo, in italiano “bilancio partecipativo”), la quale porta in sé germi potenzialmente rivoluzionari: la rinuncia della classe politica a vaste fette dei privilegi insiti nel suo potere decisionale, l'attenzione ai più deboli e alle minoranze economiche, etniche, sessuali e culturali, lo stimolo a far sviluppare ai cittadini una forte coscienza critica verso l'operato dei propri eletti.
Vediamo però un poco il contesto europeo.
Sul piano europeo il più grande esperimento di democrazia partecipata è sicuramente la CNDP francese (Commision Cationale du Débat Public). La CNDP è un organismo indipendente a base nazionale che “anima” i dibattiti pubblici su temi riguardanti soprattutto grandi questioni d’amministrazione o di opere pubbliche. La CNDP è costituita da una serie di CPDP (Commision Particulières du Débat Public) che vengono create appositamente per ogni dossier aperto. La CNDP deve decidere entro due mesi dal termine delle varie istanze partecipative che possono differire tra loro a seconda dei casi.
La CNDP ha a propria disposizione varie opzioni: Può organizzare di propria iniziativa un dibattito pubblico affidando l’organizzazione a una CPDP creata all' uopo, affidare l’organizzazione del dibattito pubblico al diretto interessato oppure indirizzare il diretto interessato sule modalità di discussione all’interno del dibattito pubblico.
Nei primi due casi chi ha gestito il dibattito pubblico ha due mesi di tempo per stabilire le
questioni del dibattito e le modalità organizzative. Il dibattito si sviluppa in quattro mesi,
che possono essere portati a sei dalla CNDP in casi eccezionali, alla fine del dibattito gli
organizzatori redigono un report che viene usato come linea guida per una decisione
finale. In Europa troviamo anche significative le esperienze delle cosidette “giurie di cittadini”, su queste però tratteremo più avanti.
Diamo anche uno sguardo al contesto italiano
Il primo comune italiano a dotarsi di uno statuto che vincola la giunta all’approvazione di
un bilancio partecipativo è stato il municipio Pieve Emmanuele, situato in provincia di
Milano, con 17.000 abitanti. La struttura che è stata data alla redazione del bilancio si
articola in tre fasi, la stessa struttura che a grandi linee è stata adottata in molti altri
bilanci partecipati, Novellara, Modena, Piacenza, Pescara, San Benedetto del Tronto, Udine
ecc. Troviamo una prima fase di ascolto della cittadinanza, attraverso raccolta delle proposte dei cittadini o l’emersione dei bisogni, questo a seconda delle varie realtà viene effetuato con modalità differenti: si passa dalle assemblee propositive alla compilazione di apposite schede. Una seconda fase consiste nel vaglio delle proposte, attraverso tavoli di attuabilità con la cittadinanza o direttamente dagli uffici comunali interessati La terza fase genera il voto diretto dei cittadini sulle singole proposte, le proposte che ottengono più voti vengono attuate e inserite nel bilancio cittadino. Purtroppo ad oggi, anche per limiti di legge, non tutti i fondi presenti nel bilancio vengono discussi attraverso forme partecipative, la maggior parte di questi soldi viene destinata alla realizzazione di spazi pubblici come parchi, giardini e campi sportivi.
Non plus ultra, a mio giudizio, è invece l’esperienza del comune di Grottammare (AP) dove la partecipazione dei cittadini alle scelte della pubblica amministrazione è in atto da quasi
vent’anni, dove parlare di partecipazione in un ottica di puro bilancio economico è quanto
meno riduttivo. Grottammare sviluppa la partecipazione grazie a due organi appositamente creati le assemblee e i comitati di quartiere. Le prime vengono riunite periodicamente prima della redazione del Bilancio e hanno lo scopo di arrivare ad una approvazione condivisa di
questo documento contabile cosi importante per la comunità. Le assemblee hanno il
vantaggio di legare al processo partecipativo la dimensione di collettività e di dibattito
pubblico, questo è fondamentale in quanto solo in tali occasioni l’interesse privato viene
scavalcato dalla dimensione comunitaria e un problema individuale diventa battaglia
comune. I comitati di quartiere invece rappresentano la dimensione permanente della
partecipazione dei cittadini, essi hanno il compito di seguire lo stato di attuazione delle
scelte collettive ed eventualmente presentare nuove richieste. I comitati hanno anche il
compito di preparare il dibattito assembleare di cui concordano anche le date assieme alla
pubblica amministrazione e non ultimo svolgono anche un importantissimo ruolo di
informazione per la collettività. Di quanto nato in Toscana, la prima legge regionale sulla partecipazione, abbiamo già parlato, ma una cosa va aggiunta a quanto già detto: la legge sulla partecipazione toscana si è costruita attraverso forme di partecipazione (a marina di Carrara, esempio, si è tenuto un town meeting proprio su questo argomento) a cui i cittadini hanno risposto attivamente, redando, ad esempio, il documento preliminare della legge che, dopo un primo passaggio in Consiglio Regionale, è stato, ulteriormente, discusso dagli stessi partecipanti al town meeting.
(continua)

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