Nel settembre 2008 pubblicai sul mio vecchio blog Giorgio Partecipativo una mia
opinione sull’immigrazione divisa in tre tranche; la ripropongo oggi pari pari
ad allora.
In questo periodo, all'interno di “Lavori in Corso” , si è avviata una
discussione sull'immigrazione clandestina. Ne segue diviso in tre parti il mio
pensiero che ho inviato a tutti, Giorgio.
Ritorno a parlare di immigrazione ripartendo da quella che è una mia
profonda convinzione, l’immigrazione “malgestita”, così come in Italia accade,
è un imposizione per noi ed una denigrazione della figura umana di chi entra
nel nostro paese seguendo una speranza, spesso irraggiungibile. Se così fosse
in realtà ogni discussione sul tema potrebbe risultare inutile, ma anche lo
fosse si può sempre tentare di sovvertire l'ordine delle cose, del resto il
nostro impegno politico va proprio in questa direzione. Molte volte, dalla
parte di pensiero opposta alla mia, chi la pensa come me viene additando
dell'etichetta di “razzista mascherato”, viene guardato con sospetto e con
pietà da chi ritiene di avere nelle mani la verità assoluta. Non sono certo un esperto
in psichiatria ma è noto anche a me che dopo l'avvento della dottrina freudiana
tutte le negazioni possono essere intese come conferma del sintomo: in tal modo
Marx potrebbe ben essere considerato un “anticomunista mascherato”. Io non mi
considero razzista, vedrò di non limitarlo a parole ma cercherò di dimostrarlo
con le mie teorie e se possibile con delle proposte.
Intanto ordiniamoci le idee sui due significati che
riesco a dare al termine razzismo:
- sul piano ideologico possiamo considerarlo una dottrina
che fa della razza il fattore principale dell’esistenza umana
-sul piano sociologico possiamo descriverlo come
un’attitudine di sistematica ostilità verso uno o più gruppi umani
Al di là della parentesi nazista, considero il razzismo
teorico meno pericoloso di quello sociologico, la razza (quanto l' economia)
non potra mai essere concetto che illumina la storia; chi si richiama ad esso
come parte essenziale di un pensiero dona poca vita alla durata del proprio
potere.
Il razzismo sociologico invece lo trovo molto più
pericoloso, è una delle varianti della paura dell’altro, vale a dire
l’incapacità di riconoscere il valore delle differenze e il carattere positivo
dell’alterità; ho sempre modo di tremare davanti alle paure, in particolare
innanzi alla xenofobia.
Cerco, spesso ma non sempre vi riesco, nella mia
“filosofia” il rigetto di tutti gli atteggiamenti consistenti nel porre l’“Io”
o il “noi” come criterio del valore della verità.
Pur non avendo affatto “l’ossessione” della differenza a
tutti i costi, constato comunque che viviamo in un mondo dove le identità
culturali, i modi di vita differenziati, tendono mano a mano ad essere
sradicati dalla logica del capitale, il quale omogeneizza il sociale
assoggettandolo all’immaginario della merce.
Ma usciamo dalla divagazione sulla mia persona e torniamo
al fenomeno dell'immigrazione.
Partiamo da un pensiero che io definisco in un certo
senso “ecologico” che un blogger che scrive nella mia stessa piattaforma ha
pubblicato giorni addietro, una visione certamente parziale del fenomeno, da
cui però potremmo prendere qua e la qualcosa di effettivo. Leggiamo dunque
questo appello alla sostenibilità scritto per una volta da un uomo di destra:
“Una popolazione di dimensioni stabili è essenziale per
proteggere l'ambiente. La politica dell'immigrazione dovrebbe essere basata su
un dato di fatto che una popolazione di dimensioni stabili è essenziale se
vogliamo evitare un'ulteriore deterioramento del sistema che ci sostiene, il
nostro ambiente e le nostre risorse naturali, indipendentemente da quanto
risparmiamo in termini di risorse, rimane un fatto fondamentale che un numero
sempre maggiore di persone pesa inevitabilmente in modo crescente sul nostro
ambiente naturale e sociale. Più gente significa un maggiore impiego di
energia, maggiori ingorghi nel traffico, maggiore produzione di rifiuti tossici
e una accresciuta tensione che risulta dal vivere in ambienti urbani
sovraffollati. Per quanto efficienti possiamo essere nel nostro utilizzare le
risorse e per quanto risparmiamo nel tentativo di preservare l'ambiente, più
persone significano semplicemente un maggiore stress per l'ecosistema. E il
sistema sociale, fenomeni di affollamento esasperato deforestazione, dimostrano
ampiamente che ogni persona, per quanto punti alla conservazione, aggiunge un
ulteriore carico all'ambiente in cui vive. La considerazione chiave è la
capacità di carico del territorio tenetelo presente per "capacità di carico" s'intende
il numero di persone che possono essere mantenute in modo sostenibile da una
determinata area senza degradare l'ambiente naturale, sociale, culturale e
economico per le generazioni presenti e future. La capacità di carico comprende
la capacità dell'ambiente naturale di fornire le risorse, il cibo,
l'abbigliamento e il rifugio dei quali abbiamo bisogno, e la capacità
dell'ambiente sociale di fornire una qualità della vita ragionevole, questa
capacità di carico in Italia è prossima ai limiti ma le mezze seghe della
politica non hanno il coraggio di dirvelo, potrebbero essere scelti molti
fattori (ad esempio, l'energia, le foreste, gli inquinanti) per illustrare i
limiti che la capacità di carico impone alle dimensioni della popolazione,
esaminare un esempio lampante, l'energia, fornisce molto rapidamente la misura
dell'importanza e dell'utilità del concetto di capacità di carico, inoltre, non
esistono modi economicamente o energeticamente efficienti all'orizzonte per
incrementarne la disponibilità.”
Quanto Oscar abbia
torto o ragione poco importa, poiché il fenomeno delle trasmigrazioni, che
esiste dalla notte dei tempi, se ne strafotte di questo genere di discussione,
continuando imperterrito il proprio corso; negli ultimi due decenni un
massiccio trasferimento di popolazione, sta spostando milioni di esseri umani dai
paesi in via di sviluppo, o sottosviluppati, del cosiddetto Sud del mondo,
verso le aree geografiche dove è maggiormente diffuso il benessere economico:
l'Europa e il continente nordamericano in primo luogo, ma anche verso zone meno
analizzate ad oggi da sociologi e demografi, quali magari l'Oceania e il
Sud-Est asiatico, portando alla luce fenomeni di diffidenza, rifiuto e
intolleranza connessi all'incontro/scontro tra popoli di diversa estrazione
etnica.
E' chiaro, con questo dato di fatto, che le migrazioni
intercontinentali ed interculturali, nelle proporzioni attuali, rappresentino
un serio banco di prova per la tenuta dell'ordine sociale in Occidente, non a
caso tanto nel campo
"conservatore" quanto in quello "progressista" va crescendo
una consapevolezza che travalica la sfera dei commenti dettati da pregiudizi o
dagli storici dettami ideologici.
Trovo molte concordanze col mio pensiero
“popolar-partecipativo” intriso di sussidiarietà, ecolocalismo, antiglobalismo
e valore della persona, nel modo di pensare di Alain de Benoist, un “pensatore”
francese, che nasce ideologicamente a destra ma che nel portare avanti la sua
ideologia fondando un movimento chiamato “La Nuova Destra” in Francia si
ritrova nel fuoco incrociato delle due posizioni storiche del pensiero
politico. Tanto per illustrare velocemente vi lascio un suo brevissimo
pensiero:
“Alcune idee che erano state coltivate soprattutto a
destra, passano oggi a sinistra (ad esempio la critica dell’ideologia del
progresso) mentre altre che erano state coltivate soprattutto a sinistra
passano a destra (ad esempio, la critica del mercato). Ne risulta che le
nozioni di destra e sinistra non sono più efficaci per comprendere il paesaggio
politico-intellettuale che abbiamo di fronte. Se qualcuno mi dicesse che è “di
sinistra” – o “di destra” non saprei praticamente nulla di ciò che pensa. Tutti
i grandi avvenimenti degli ultimi anni (costruzione europea, guerra del Golfo,
riunificazione tedesca, intervento dell’occidente nel Kossovo ecc..) hanno creato
degli smottamenti all’interno delle famiglie politiche. È l’annuncio di una
ricomposizione di cui mi rallegro.”
(continua)
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