giovedì 22 settembre 2016

La Nuova Destra (II)



Oggi continuiamo ad iilustrarne il "Cartello Politico" de "La Nuova Destra" sempre attraverso quanto ho trovato, scritto da Alain de Benoist e Charles Champetier
su "DIORAMA LETTERARIO" - Numero 229-230 (ottobre-novembre 1999). Buona lettura, Giorgio.


I. SITUAZIONI
Ogni pensiero critico è prima di tutto una visione prospettica dell’epoca in cui si manifesta. Noi oggi ci situiamo in un periodo-cardine, una svolta sotto forma di "interregno", che si inserisce sullo sfondo di una crisi di grande importanza: la fine della modernità.

1. Che cos’è la modernità?
La modernità designa il movimento politico e filosofico degli ultimi tre secoli della storia occidentale. Si caratterizza principalmente per cinque processi convergenti: l’individualizzazione, attraverso la distruzione delle vecchie comunità di appartenenza; la massificazione, attraverso l’adozione di comportamenti e modi di vita standardizzati; la desacralizzazione, attraverso il riflusso dei grandi racconti religiosi a vantaggio di una interpretazione scientifica del mondo; la razionalizzazione, attraverso il dominio della ragione strumentale tramite lo scambio mercantile e l’efficacia tecnica; l’universalizzazione, attraverso l’estensione planetaria di un modello di società implicitamente considerato come l’unico razionalmente possibile, e quindi come superiore.
Questo movimento ha radici antiche. Per più di un verso, rappresenta una secolarizzazione di nozioni e prospettive prese a prestito dalla metafisica cristiana, che sono state trasferite sulla vita profana dopo averle svuotate di ogni dimensione di trascendenza. Nel cristianesimo troviamo infatti in germe le grandi trasformazioni che hanno irrigato le ideologie laiche dell’era post-rivoluzionaria. L’individualismo già presente nel concetto di salvezza individuale e di rapporto intimo privilegiato che il credente intrattiene con Dio, rapporto che prevale su qualunque radicamento terreno. L’egualitarismo trova la sua sorgente nell’idea che gli uomini siano tutti egualmente chiamati alla redenzione, in quanto tutti a pari titolo dotati di un’anima individuale il cui valore assoluto è condiviso dall’intera umanità. Il progressismo nasce dall’idea che la storia possiede un inizio assoluto e una fine necessaria, il suo sviluppo essendo globalmente assimilato al piano divino. L’universalismo, infine, è l’espressione naturale di una religione che afferma di detenere una verità rivelata, valida per tutti gli uomini e che ne esige la conversione. La stessa vita politica si fonda su concetti teologici secolarizzati. Il cristianesimo, oggi ridotto alla condizione di un’opinione fra le altre, è stato a sua volta vittima, suo malgrado, di quel movimento che ha avviato: nella storia dell’Occidente, lo si ricorderà come la religione dell’uscita dalla religione.
Le diverse scuole filosofiche della modernità, in concorrenza e a volte in contrasto nei rispettivi
fondamenti, si trovano nondimeno d’accordo sull’essenziale: l’idea che esista una soluzione unica e universalizzabile per tutti i fenomeni sociali, morali e politici. In questo quadro, l’umanità è percepita come una somma di individui razionali che, per interesse, per convinzione morale, per simpatia o anche per paura, sono chiamati a realizzare la loro unità nella storia. In questa prospettiva, la diversità del mondo diventa un ostacolo e tutto ciò che differenzia gli uomini è visto come accessorio o contingente, superato o pericoloso. Nella misura in cui non è stata solamente un corpus di idee, ma anche una modalità di azione, la modernità ha cercato in tutti i modi di strappare gli individui alle loro appartenenze particolari, con lo scopo di sottometterli a un modo universale di associazione. Il più efficace, nell’uso, si è dimostrato il mercato.

2. La crisi della modernità
L’immaginario della modernità è stato dominato dai desideri di libertà e di eguaglianza. Questi due valori cardinali sono stati traditi. Staccati dalle comunità che li proteggevano, dando senso e forma alla loro esistenza, gli individui si trovano ormai sotto il tallone di immensi meccanismi di dominio e di decisione al cospetto dei quali la loro libertà resta puramente formale. Essi subiscono il potere globalizzato del mercato, della tecnoscienza o della comunicazione senza mai poter deciderne il corso. Anche la promessa di eguaglianza ha subìto un duplice fallimento: il comunismo l’ha tradita instaurando i regimi totalitari più omicidi della storia; il capitalismo se ne è fatto gioco legittimando con una eguaglianza di principio le ineguaglianze economiche e sociali più odiose. La modernità ha proclamato dei "diritti" senza peraltro offrire i mezzi per esercitarli. Ha esasperato tutti i bisogni e ne crea di continuo di nuovi, riservando però l’accesso ad essi a una piccola minoranza, il che alimenta la frustrazione e la collera di tutti gli altri. Dal canto suo, l’ideologia del progresso, che aveva risposto all’attesa degli uomini coltivando la promessa di un mondo sempre migliore, oggi attraversa una crisi radicale: il futuro, che si sta rivelando imprevedibile, non è più portatore di speranza, ma incute paura ai più. Ogni generazione affronta ormai un mondo diverso da quello dei padri: questa perpetua novità fondata sulla squalifica della filiazione e delle vecchie esperienze, aggiunta alla trasformazione continuamente accelerata dei modi di vita e degli ambienti dove si vive, non produce felicità, bensì angoscia. La "fine delle ideologie" designa l’esaurimento storico dei grandi racconti mobilitanti che si sono incarnati nel liberalismo, nel socialismo, nel comunismo, nel nazionalismo, nel fascismo o nel nazismo.
Il XX secolo ha suonato a morto per la maggior parte di queste dottrine, i cui effetti concreti sono stati i genocidi, gli etnocidi e i massacri di massa, le guerre totali tra le nazioni e la concorrenza permanente tra gli individui, i disastri ecologici, il caos sociale, la perdita di tutti i punti di riferimento significativi.
Distruggendo il mondo vissuto a profitto della ragione strumentale, la crescita e lo sviluppo materiali si sono tradotti in un impoverimento senza precedenti dello spirito. Hanno generalizzato la preoccupazione, l’inquietudine di vivere in un presente sempre incerto, in un mondo privo sia di passato che di futuro. La modernità ha così partorito la civiltà più vuota che l’umanità abbia mai conosciuto: il linguaggio pubblicitario è diventato il paradigma di tutti i linguaggi sociali; il regno del denaro impone l’onnipresenza della merce; l’uomo si trasforma in oggetto di scambio in un’atmosfera di edonismo povero; la tecnica rinserra il mondo vissuto nella rete pacificata e razionalizzata del riserbo; la delinquenza, la violenza e l’inciviltà si propagano in una guerra di tutti contro tutti e di ciascuno contro se stesso; l’individuo, incerto, sguazza nei mondi derealizzati della droga, del virtuale e del massmediale; le campagne si desertificano, trasformandosi in periferie invivibili e in megalopoli mostruose; l’individuo solitario si fonde in una folla anonima ed ostile, mentre le vecchie mediazioni sociali, politiche, culturali o religiose diventano sempre più incerte e indifferenziate.
Questa crisi diffusa che stiamo attraversando segnala che la modernità giunge alla fine, nel momento stesso in cui l’utopia universalista che ne era a fondamento si sta trasformando in una realtà sotto l’egida della globalizzazione liberale. La fine del XX secolo segna, contemporaneamente alla fine dei tempi moderni, l’ingresso in una postmodernità caratterizzata da una serie di tematiche nuove: l’emergere della preoccupazione ecologica, la ricerca della qualità della vita, il ruolo delle "tribù" e delle "reti", il recupero di importanza delle comunità, la politica di riconoscimento dei gruppi, la moltiplicazione dei conflitti infra-o sovra-statali, il ritorno delle violenze sociali, il declino delle religioni istituzionalizzate, la crescente opposizione dei popoli alle loro élites, e così via. Non avendo più nulla da dire e constatando il crescente malessere delle società contemporanee, i sostenitori dell’ideologia dominante sono ridotti a dover tenere un discorso incantatorio, martellato dai media in un universo in pericolo di implosione. Implosione, non più esplosione: il superamento della modernità non assumerà la forma di un "grande tramonto" (versione profana della parusia), ma si manifesterà attraverso l’apparizione di migliaia di aurore, cioè tramite la dischiusura di spazi sovrani liberati dal dominio moderno. La modernità non sarà oltrepassata con un ritorno all’indietro, ma con un ricorso a taluni valori premoderni in un’ottica risolutamente postmoderna. L’anomia sociale e il nichilismo contemporaneo saranno scongiurati a prezzo di una rifondazione radicale di tale portata.

3. Il liberalismo, nemico principale
Il liberalismo incarna l’ideologia dominante della modernità, la prima ad apparire, che sarà anche l’ultima a scomparire. In un primo tempo, il pensiero liberale ha reso autonoma l’economia rispetto alla morale, alla politica e alla società, nelle quali era precedentemente incastonata. In un secondo tempo, esso ha fatto del valore mercantile l’istanza suprema dell’intera vita comune. L’avvento del "regno della quantità" designa questo passaggio dalle economie di mercato alle società di mercato, vale a dire l’estensione a tutti gli ambiti dell’esistenza delle leggi dello scambio mercantile coronato dalla "mano invisibile". Il liberalismo, d’altronde, ha generato l’individualismo moderno sulla base di un’antropologia falsa tanto dal punto di vista descrittivo che da quello normativo, fondata su un individuo unidimensionale che trae i propri "diritti imprescrittibili" da una "natura"fondamentalmente non sociale e che si suppone cerchi di massimizzare di continuo il proprio interesse eliminando ogni considerazione non quantificabile e ogni valore che non discenda dal calcolo razionale.
Questa duplice pulsione individualista ed economicista si accompagna a una visione "darwiniana" della vita sociale. Quest’ultima è ricondotta in ultima analisi alla concorrenza generalizzata, nuova versione della "guerra di tutti contro tutti", allo scopo di selezionare i "migliori". Ma, a parte il fatto che la concorrenza "pura e perfetta" è un mito, dal momento che le preesistono sempre dei rapporti di forza, essa non dice assolutamente niente sul valore di quel che viene selezionato: ne scaturiscono sia il meglio che il peggio. L’evoluzione seleziona i più adatti a sopravvivere, ma l’uomo non si accontenta, per l’appunto, di sopravvivere: egli ordina la propria vita sulla base di gerarchie di valori nei confronti dei quali il liberalismo pretende di rimanere neutrale.
Il carattere iniquo del dominio liberale ha provocato nel XIX secolo una legittima reazione, con
l’apparizione del movimento socialista; ma quest’ultimo si è fuorviato sotto l’influsso delle teorie marxiste. Ebbene: malgrado ciò che li contrappone, liberalismo e marxismo appartengono fondamentalmente al medesimo universo, ereditato dal pensiero dei Lumi: lo stesso individualismo di fondo, lo stesso universalismo egualitario, lo stesso razionalismo, lo stesso primato del fattore economico, la stessa insistenza sul valore emancipatore del lavoro, la stessa fede nel progresso, la stessa aspirazione alla fine della storia. Da vari punti di vista, il liberalismo si è limitato a realizzare con maggiore efficacia alcuni degli obiettivi che condivideva con il marxismo: sradicamento delle identità collettive e delle culture tradizionali, disincanto del mondo, universalizzazione del sistema di produzione.
I danni causati dal mercato hanno provocato, nello stesso modo, l’apparizione e il rafforzamento dello Stato assistenziale. Nel corso della storia, il mercato e lo Stato avevano già fatto la loro comparsa di pari passo; il secondo cercava di assoggettare a prelievo fiscale degli scambi intracomunitari non mercantili, che in precedenza non potevano essere rilevati, e faceva di uno spazio economico omogeneo uno strumento della propria potenza. In seguito, la dissoluzione dei legami comunitari provocata dalla mercantilizzazione della vita sociale ha reso necessario il progressivo rafforzamento di uno Stato assistenziale incaricato di procedere alle redistribuzioni necessarie per ovviare alla scomparsa delle solidarietà tradizionali. Lungi dall’ostacolare la corsa del liberalismo, quegli interventi statali gli hanno consentito di prosperare evitando l’esplosione sociale, quindi assicurando la sicurezza e la stabilità indispensabili agli scambi. In cambio, però, lo Stato assistenziale, il quale non è altro che una struttura redistributiva astratta, anonima ed opaca, ha generalizzato l’irresponsabilità, trasformando i componenti della società in altrettanti assistiti, che non reclamano più tanto il rovesciamento del sistema liberale, quanto piuttosto l’estensione indefinita e senza contropartita dei diritti di cui godono.
Inoltre, il liberalismo comporta la negazione della specificità del politico, la quale implica sempre l’arbitrarietà della decisione e la pluralità delle finalità. La "politica liberale" appare, da questo punto di vista, come una contraddizione in termini. Mirando a formare il legame sociale a partire da una teoria della scelta razionale che indicizza la cittadinanza sull’utilità, essa si riduce a un ideale di gestione "scientifica" della società globale, che pone sotto l’esclusivo orizzonte della competenza tecnica. Lo Stato di diritto liberale, troppo spesso sinonimo di repubblica dei giudici, crede contemporaneamente di poter astenersi dal proporre un modello di vita buona ed aspira a neutralizzare i conflitti inerenti alla diversità della società tramite procedure puramente giuridiche miranti a determinare ciò che è giusto piuttosto che ciò che è bene. Lo spazio pubblico si dissolve nello spazio privato, mentre la democrazia rappresentativa si riduce ad un mercato nel quale si incontrano un’offerta sempre più ristretta (riorientamento dei programmi verso il centro e convergenza delle politiche) e una domanda sempre meno motivata (astensionismo).
Nell’epoca della globalizzazione, il liberalismo non si presenta più come un’ideologia, ma come un sistema mondiale di produzione e riproduzione degli uomini e delle merci, sovrastato
dall’ipermoralismo dei diritti dell’uomo. Nelle sue forme economica, politica e morale, il liberalismo rappresenta il blocco centrale delle idee di una modernità che si sta consumando. E quindi l’avversario principale di tutti coloro che operano per il suo superamento.

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