lunedì 8 settembre 2014

Un modello anarchico

Viviamo in tempi in cui si vivono e subiscono crisi di valori primari, davanti alla mancanza di opposizione a questa situazione è probabilmente giunta l’ora in cui le dottrine devono lasciare il posto all’istinto.

Chi si riconosce in un pensiero atto a costruire qualcosa di moralmente più alto non può che votarsi a questo, posti davanti ad un disordine distruttivo viene lecito predisporsi ad un disordine costruttivo; Nietzsche insegna che da un nichilismo subdolo e perverso l’uomo, alla fine, alimenta un singolo che tende a diventare padrone di sé.

Difficile, anche se esistono, nel contemporaneo incontrare comunità coese e saldate da principi legati al bene comune; più numerosi e rintracciabili sono i singoli ribelli che con difficoltà però intrecciano legami tra loro. Questo non vieta che nel percorso di questa post-modernità, all’interno della crisi delle comunità, del coesistere, nella
pressione della solitudine di massa, possano nascere reazioni, movimenti di segno avverso, tali da convogliare singoli dissidenti e i ribelli verso gemiti di ribellione morale, quella situazione di fatto che storicamente precede la rivolta e la rivoluzione vera e propria.

L’Anarca, ne parlavo in un certo senso ne “Il Ribelle”, non può essere considerato esattamente un oppositore, esso è più una mina vagante inserita all’interno della società in cui vive e vigila, non è precisamente il nemico di uno, qualcuno o nessuno; ogni presa di posizione gli è estranea.

L’anarchico non si aspetta nulla da quanto la politica e la deviazione della società concepiscono, rimane indifferente a quanto lo circonda, non si lascia assolutamente pressare dagli eventi e mentre la massa viene trascinata, esso avvalendosi della propria forza, sopravvive, macina futuro.

All’interno di una società che considera minata, l’Anarca vive in correlazione ad una sola funzione: alimentare la volontà umana.
L’anarchico di questa epoca è (deve esserlo) in allerta, vigile, è il soggetto che risveglia i dormienti; è colui che da uno spiraglio riesce a germogliare i podromi di un futuro.

Chi “comanda la baracca” oggi spinge verso l’autodistruzione, annullatrice di ogni eredità proveniente dal passato e abolisce lo sviluppo di ogni disegno teso verso il futuro; potrebbe esser un mezzo alimentare la follia autodistruttiva, acutizzarla, spingere verso l’autodistruzione del progressismo.

Di questi tempi non stiamo ormai più filosofeggiando di questo e dell’altro, siamo dinanzi ormai alla lotta per la sopravvivenza e alla ricerca, sanatoria, della capacità di rinascita di un modo di convivenza fra simili fondato, sull’appartenenza che è unico per definizione.


Giorgio Bargna


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