Vi sono
nette differenze tra "Nazione" e “Stato” tra “Individui” e “Uomini”.
La
mercantilizzazione innata di quanti
possono essere considerati libertari moderni considera gli individui legati
gli uni agli altri solo dalla loro interazione in un libero mercato; è
innegabile che ci si accomuni anche per logiche di mercato ma è innegabile un
concetto ben più fondato, tutti siamo parte integrante di una famiglia, di una
data
realtà
linguistica e culturale, di una data comunità.
Se ogni
individuo complementa un tessuto economico, ogni persona nasce, cresce ed è
parte integrante in una o più comunità sovrapposte, ogni uomo è parte comune di
un gruppo etnico definito, di un insieme di persone che condividono determinati
valori morali, elementi
distintivi culturali, credenze religiose e tradizioni.
Lo Stato-Nazione
di concezione moderna, che cerca dalla sua nascita di identificarsi, di fatto, nella
tipica "grande potenza", non possiamo considerarlo una vera “Nazione”
poiché esso si espande attraverso la conquista imperialista messa in atto da
una nazione “centralista” che produrrà una capitale ed una base politica
d’elìte che si imporranno su una serie di altre nazionalità, che rimarranno in
posizione periferica e di sottomissione.
Non sempre
però lo “Stato” riesce a domare in toto la “Nazione”, ne sono esempi lampanti i
marcati tratti indipendentisti delle popolazioni celtiche, di quelle catalane,
basche, galiziane ed andaluse, quelli dei bretoni e di molte popolazioni del
circuito sovietico e, perché no, quelli dei veneti e della parte “sveglia” del
popolo insubre.
La
"nazione", le nazioni, non hanno una nascita comune ben definita
proprio perché non sono imposizioni belliche ma nascono dall’unione spontanea,
o quantomeno non imposta con la forza, di diverse forme di comunità, lingue,
etnie e religioni.
Esistono
nazioni sottomesse che a distanza di anni, secoli, conservavano un proprio
nazionalismo, una propria lingua sempre determinate a lottare per mantenere
vivo ciò che il centralismo vorrebbe cancellare.
Il futuro
non può che imporci, viste le “strutture congiunturali”, nient’altro che “Nazioni
effettive” o meglio ancora "Nazioni per conformità", ovvero nazioni
volute e costituite da comunità che sole hanno deciso di federarsi in nome dei
propri principi e delle proprie necessità. Esse potrebbero intraprendere una
via solitaria oppure staccarsi od aggregarsi, a seconda delle convenienze,
rispetto a degli Stati-Nazione.
Anche a
livello economico, forse questa sarebbe la liberazione maggiore, lo
sganciamento da una economia collettiva imposta metterebbe in risalto le
sventure procurate dalle “monete fiat”; il conio di monete locali garantite da
oro e similari darebbe garanzie stabili su quanto è possibile e su quanto è invece
semplicemente ipotizzabile.
Una base
certa in una “Nazione per conformità" non può che essere il diritto, il diritto di decidere, partecipare, revocare;
il potere di privare le istituzioni di determinate funzioni o
addirittura di cambiare le istituzioni stesse, in sostanza la “Sovranità
Popolare”.
Difficile
è la via dell’indipendenza totale, almeno nelle prime fasi, il percorso
probabilmente, ce lo insegnano alcune situazioni in essere, migliore è quello
dell’autonomia forte, la quale a volte annulla la necessità dell’indipendenza.
Un
amico del web, Enzo Trentin parla, scrive, spesso di un contratto da stipulare
tra stato e cittadini. Dobbiamo partire dal concetto che il popolo non
è un raggruppamento casuale di uomini, ma una associazione sviluppatasi per
accordo nell’osservare la giustizia e per comunanza di interessi. In base a
questa concezione di nascita romana lo Stato è il risultato di un patto, di un
“contratto” tra gli individui. Quindi l’unità e i poteri dello Stato non precedono, ma conseguono da questo
accordo stipulato tra i cittadini, questo, tornando a qualche riga fa, è il concetto
di sovranità e più precisamente di Sovranità Popolare,
ossia l’emanazione umana del Potere.
Non
proprio ieri Alexis de Tocqueville affermava che la democrazia di per se stessa è una scatola
vuota non funzionante perché esclude la viva partecipazione e che il suo antidoto
si chiama Federalismo: “Eliminando l’accentramento all’interno della
struttura dello stato, il Federalismo moltiplica le occasioni di partecipazione,
mentre il Centralismo tende a soffocarle”.
E’
leggibile in ogni mio testo, le istituzioni comunali sono le palestre della vera
Democrazia.
Negli anni più di un
federalista italiano vedeva questo agglomerato di Nazioni come Federazione dei suoi Popoli, possiamo discutere sulla
necessità di questa federazione, ma il concetto vale. Dei tanti amo, per le
loro idee, due personaggi in particolare.
Adriano
Olivetti per la sua critica ai partiti ed al parlamentarismo integrale e per l’idea
di comunità come spazio naturale dell’uomo; per l’idea che non ci può essere
democrazia senza quella base di esperienza umana ed affettiva dei rapporti
interpersonali che è possibile alimentare e conservare solo a livello di una
comunità naturale, federale e di dimensioni limitate.
Gianfranco
Miglio, con queste sue parole sul Federalismo: “Con il consenso della gente si può fare
di tutto: cambiare il governo, sostituire la bandiera, unirsi a un altro paese,
formarne uno nuovo”.
Vi è solo un limite a
tutto ciò: il contratto va prima chiesto, poi, se occorre, imposto; prima
ancora bisogna però convincere il Cittadino di essere tale, cioè con la C
maiuscola e Sovrano. Dopo i lavaggi di cervello subiti non sarà operazione
semplice.
Giorgio Bargna
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