lunedì 17 febbraio 2014

Modelli

Stiamo vivendo senza ombra di dubbio un tempo che esprime la propria forma sostanzialmente in termini economici, un tempo giunto però, ormai all’epilogo con l’espandersi della crisi economica che ha raggiunto dimensioni globali. Contiamo ormai a migliaia, o forse servirebbe un altro parametro, quante sono le persone rimaste senza lavoro e denaro e le aziende in crisi e fallite. Un tempo, un modello di vita che basava il proprio benessere col solo parametro del possesso di beni economici, quando questi sono rimasti erosi le certezze non sono più state solide e il modello ha cominciato a vacillare.

Oggi iniziamo a toccare con mano, senza il flusso del denaro in cassa familiare, il problema di poter assolvere ai bisogni primari, cibo, acqua, casa; in termini pratici abbiamo un futuro praticamente, drammaticamente, insicuro.

Il dramma, oltre che concreto, è anche psicologico, per qualche decennio ci siamo valutati soprattutto in base a quanto possedevamo e quanto potevamo spendere, ora che possiamo poco ci sentiamo nulli ed in base anche a questi parametri ed alla dignità, che comunque non si cancella dal DNA, oggi non sono rari i casi di persone suicide a causa della perdita di un lavoro, perse ed impaurite in questa situazione.

La vergogna di questo tempo è aver equiparato il valore dell’uomo alla sua sola capacità di produrre reddito, di averlo reso nulla senza questo.

Forse, no sicuramente, questo meccanismo mortale, per somma grazia, si è inceppato; un meccanismo che ha falsato i valori, i ceti sociali, che ha minato il futuro nostro, dei nostri figli, dei nostri nipoti.

Abbiamo generato una cupidigia che ha ignorati le situazioni disperate dei terzomondisti (che oggi, è un giro naturale, cercano di imitarci), che ha minato l’equilibrio naturale del nostro pianeta, che ci ha portato a programmare il nostro futuro in brevi lassi di tempo, che ha portato alla disoccupazione prima i giovani ed ora i più maturi e che porterà ad una lotta tra generazioni per avere un posto di lavoro … un posto comunque sempre meno stabile e sempre più schiavizzante.


Ora c’è il futuro da affrontare, le modalità, le tempistiche che contraddistingueranno i comportamenti, sempre se ci sarà dato il tempo di vivere il tutto.

Il primo acchito sarà certamente caratterizzato dalla paura, dallo sconcerto, dallo sconforto, dallo scoprire che tutto quello che era il nostro mondo è svanito; verrà logico pensare che tanto vale arrendersi, arrangiarsi, sopravvivere depressi.

Poi verrà un passaggio obbligatorio, saranno prima i più forti ad innescarlo, poi i sopravvissuti tra i meno forti.


Stiamo vivendo una crisi, andiamo al suo significato etimologico, dal greco: [krisis] scelta, da [krino] distinguere:


"Dal decorso di una malattia alla vita di un governo, dal turbamento davanti a certi problemi ad una ciclica patologia dell'assetto economico, la crisi riempie i nostri discorsi. E non è un male. Certo, non pare una parola simpatica. Rappresenta un momento difficile, duro, spiacevole, e se ne farebbe volentieri a meno. Ma ciò che la sua saggia etimologia ci racconta è che la crisi altro non è che un momento di scelta, di decisione forte. Di rado capita che parole tanto potenti si ritrovino ad essere allocate tanto bene nella nostra lingua: ciò che possiamo fare, usandola come comunque faremmo, è solo ripulirla dal connotato pessimista che si concentra sul dolore o su un venturo esito funesto. Le crisi esistono e sono una delle infinite cifre della vita. Dicono che l'ideogramma cinese per 'crisi' sia composto dai segni che rappresentano 'pericolo' e 'opportunità'. È una baggianata. Ma quello che è vero è che, senza andare oltre la propria lingua, la crisi già rappresenta pericolo e opportunità. La crisi è la scelta che, volenti o nolenti, si è chiamati a fare".

In questo secondo passaggio potranno emergere (non è sicuro succeda) le qualità, le capacità, le infinite risorse dell’uomo, ci si renderà conto (volenti o nolenti) che la vita vale più di un sistema economico, del denaro, del lusso.

Verrà necessario cambiare rotta, rivalutare priorità di vita nascoste in cantina in nome di altro.

Tra chi vive già da tempo la crisi vi sono persone che hanno ridotto nel proprio piccolo gli sprechi di ogni genere, che hanno riprogrammato lo stile di vita, che hanno affittato un orto, che consumano in modo consapevole. C’è chi si è votato all’autoproduzione “casalinga” di beni, ai GAS, magari anche al co-housing.


Sono scelte belle e forti se vogliamo, che aiutano alla sopravvivenza quotidiana ma che non incidono più di tanto se non verrà ridisegnato quel quadro chiamato macroeconomia.

Si perché le scelte di vita familiari, personali, di gruppo sono vane se non si abbattono alcuni costi fissi calati dall’alto; si può anche guadagnare di meno, autoprodurre e scambiarsi quante più cose possibili, ma se bisogna sostenere delle spese fisse inevitabili diventa tutto molto difficile.


E’ chiaro, logico, che vadano abbassate le tassazioni, come i costi energetici, come gli affitti ed i costi sanitari, che vadano rivalutati gli stipendi ed i contratti di lavoro, o forse meglio, che vada ridisegnato il “lavoro”; concepire nuove forme ed orari di lavoro, con meno tassazione è una delle svolte che questa crisi deve produrre, tenendo presente le tematiche ambientali, generando così nuovi posti di lavoro e formando nuovi lavoratori.

Esistono realtà imprenditoriali di ogni formato che sono vere eccellenza, che possono essere dei veri esempi per creare posti di lavoro nuovi ed utili.

Vi sono decisioni che possono sorgere solo dal basso, ma devono essere espresse anche e soprattutto da chi è nella stanza dei bottoni.

Se venissimo dotati degli strumenti necessari generati da una politica produttiva rispettosa dell’uomo e dell’ambiente sono convinto ci rigenereremo.


Lo scrivo spesso, è soprattutto nel Locale che ritroviamo quello spazio naturale in cui l’individuo torna ad essere un tassello organizzativo, torna a sentire in se stesso lo status di appartenenza, torna a sentirsi responsabile del proprio territorio; in questo “terreno fecondo” possono crescere, oltre alla vera democrazia partecipativa ed il vero federalismo, il commercio sostenibile e l’abbattimento del consumo energetico.

Occorre, senza ombra di dubbio alcuna, ri-localizzare quelle risorse che risultano fondamentali alla comunita'; potremmo inserire in scaletta ad esempio cibo, energia, edilizia, sanita', oggetti  ad uso essenziale.

Ogni buon amministratore locale potrebbe così riuscire ad analizzare le ricchezze della propria comunita' e costruire un piano di trasformazione che miri al massimo dell’autonomia, intesa nel significato completo del termine.

Si possono, si devono, stimolare gli artigiani, le imprese nel produrre in prospettiva al consumo locale e non di quello esportativo.

I manufatti che passano direttamente dal produttore al consumatore si ritrovano ad essere sgravati dei costi dei sistemi di distribuzione, inoltre un trasporto a breve raggio permette di abbattere una delle cause dell’inquinamento.

Chi amministra un ente locale spesso si ritrova in difficoltà quando cercando di adempiere ad un proprio compito cerca soluzioni di rilancio economico e produttivo. La cosa vista con  superficialità appare spesso arida di soluzioni, ma esistono visioni più profonde e coraggiose. Possiamo pesare la ricchezza della comunita', se la vogliamo intendere veramente per tale, anche tramite la capacità di autoprodurre quanto poi viene acquistato ed usufruito sul territorio, sia come servizi, che come consumo generico.

Possiamo su questo tema aiutare sia chi produce che chi consuma; ad esempio l’acquisto consociativo di cibo e beni essenziali si traduce in risparmio.

La  creazione di una rete di produzione locale efficiente e che porti realmente ad un servizio valido, ad un abbattimento dei costi ed una certa sostenibilità consente di proporre di investimenti localmente. Cittadini ed imprese spesso e volentieri investono i propri risparmi o gli utili in titoli di stato o in svariati fondi di investimento; occorre invece dirottarli verso un investimento locale, economicamente anche più sicuro e controllabile.

Aldilà dell’investimento su un edilizia cooperativa e solidale i nostri amministratori possono puntare anche verso lo sviluppo di una rete di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che renda autosufficiente il territorio. Potrebbero investire e far investire aziende e consumatori indicando la via di un perfezionamento energetico degli edifici tramite azioni quali l’ isolamento dei tetti, tripli vetri, muri coibentati.

Non va sottovalutato neppure l’aspetto monetario locale. Se ben intesa e sviluppata la moneta locale crea un meccanismo di doppio prezzo, spendendo denaro locale (che viene così reinserito in circolo) hai uno sconto sulle merci.


Quanto scritto, sebbene possa avere un valore, però sono parole, oggi NOI abbiamo un dovere, quello di portare avanti queste od altre idee alternative e rigeneratrici e renderle al più presto concrete.

Presto si, perché il presente, per molti ormai è divenuto invivibile.


Giorgio Bargna

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