mercoledì 8 ottobre 2014

Il valore del territorio

Abbiamo scritto spesso su queste pagine di obbiettivi da raggiungere e di filosofie innovative da tracciare e seguire. L’abbiamo già scritto più volte, l’obbiettivo primario è ridurre al minimo la dipendenza dalle fonti fossili e realizzare la maggiore autosufficienza produttiva, opporsi alla realizzazione delle grandi opere e alla privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, il tutto emarginandosi dalla globalizzazione e rivalutando le economie locali. In questo contesto può, deve avvenire la coordinazione armonica tra i piccoli contadini, i commercianti al minuto, le piccole e medie aziende, gli artigiani e i professionisti radicati nel territorio in cui vivono ed i movimenti che sponsorizzano quanto sin qui illustrato per giungere alla materializzazione di una nuova economia.

Al contrario di quanti sperano in passaggi naturali che convoglino verso questa teoria, sono convinto che quanto decritto qui sopra avviene solamente grazie ad una spinta volontaria, deliberata da chi intende raggiungere le massime autonomie nelle produzioni alimentari ed  energetiche e nelle fabbricazioni necessarie a soddisfare i bisogni fondamentali: edilizia, abbigliamento, arredamento, utensileria, attività artigianali, riparazioni e manutenzioni.

E’ ovvio che la  riduzione, la scomparsa quasi totale della dipendenza dalle fonti fossili implica lo sviluppo dell’agricoltura biologica, l’accorciamento delle filiere e la riduzione delle intermediazioni commerciali tra produttori e acquirenti.

E’ ovvio si debba optare verso un “nuovo” stile di vita. Singoli cittadini, famiglie, amministrazioni (locali e non) piccole (o meno) cooperative, hanno un futuro avanti a se solo se intraprendono la strada virtuosa della autosufficienza energetica etica ed alimentare. Ho espresso spesso concetti di comunità; ecco occorrono comunità capaci di produrre energia rinnovabile sufficiente ai propri bisogni, produrre cibo per se stessi e non per il “mercato”, di realizzare autonomia idrica e magari di sostenersi su una moneta locale.

All’interno un’economia globalizzata le piccole e medie aziende recitano solo una parte terza, limitata alla produzione di semilavorati e componenti per le aziende che
operano sul mercato mondiale. Solamente liberandosi da questo giogo queste aziende possono valorizzare la ricchezza della loro professionalità, della loro creatività e della loro esperienza.

Quanto occorre per vivere decorosamente e nel giusto benessere può tranquillamente essere prodotto tramite piccole e medie aziende distribuite sul territorio.

Esiste anche il lato politico/amministrativo della questione. In parte si è già innescato un meccanismo di autodifesa durante questi ultimi anni, un netto radicamento della popolazione sul territorio anche a livello politico, persone, movimenti, comunità che rivendicano se non l’autodeterminazione quantomeno l’autogoverno. Potrebbe essere questo lo scenario futuro europeo: una serie di tanti Stati, piccoli sì, ma più radicati con i popoli e quindi sempre più espressione di una forte identità, da cui poter far ripartire il corso democratico interrotto con l’avvento della dittatura della finanza internazionale.

Si delinea su alcuni fronti una volontà popolare orientata verso una maggiore identificazione con la propria terra, in risposta alle mire di un sistema senza Stati teorizzato e portato avanti dagli architetti del nuovo ordine mondiale.
Anche se qualche globalizzatore nega questa possibilità esistono innegabili le radici "vere" della nostra identità, il legame con la madre terra.
La cultura, la storia, la lingua, identificano (legando l’uomo al territorio che calca o in cui è nato) ogni tentativo posto in essere a negare l’esistenza di tali elementi e chi nega questo scoprirà nel tempo una reazione crescente, del tutto opposta, da parte dell’individuo stesso.

Giorgio Bargna

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