Non sono certo un filosofo,
neppure uno studioso, cerco semplicemente di vedere il mondo dalla mia
angolatura a tratti anarchica, a tratti autonomista, a tratti comunitaria.
Nell’insieme della mia visione non posso esimermi dal trattare temi quali
possono essere l’autogoverno, il rapporto reciproco tra partecipazione e
progettualità sociale, governo anticentralista fenomeno proprio del municipalismo
e del federalismo municipale. Analizziamo l’angolazione del federalismo
municipale, del suo significato strategico nella possibilità di governare dal
basso il paese nel contesto della geografia politica e sociale di un
amministrazione decentrata, descrivendone soprattutto dei comuni e delle loro
reti.
Mettiamo in chiaro, filosofi o
no che possiamo essere, il programma di governo locale non può essere il
prodotto da un istituzione centralista che risiede in un luogo
“extraterritoriale”.
Il cantiere, la fucina, esiste
già nei territori, e viene prodotto da una sinergia che incorpora quella
relazione tra istituzioni locali e società civile che produce quel programma
vivente incarnato dai cittadini, dalle istituzioni locali, sperimentato già in
percorsi partecipativi ed istituzionali di base, nell’autogoverno dal basso.
In anni recenti, anni
simboleggiati dal “federalismo della devolution”, dal potere dei governatori
accompagnato dal “premierato forte”, disegno della destra italiana,
profondamente neocentralista, statalista e autoritario abbiamo assistito ad
alcune esperienze vive, di possibile governo dal basso, nei
territori; prove valide di Federalismo dal Basso abilmente contrastate dal
centralismo.
Gli anni sopra descritti
rappresentavano, rappresentano, esattamente l’antitesi dell’ipotesi di un
autogoverno locale, composto in reti di scala più ampia e di cooperazione
solidale tra aree regionali ed interlocali nel paese. Non ci si può che votare
ad una opzione di autogoverno che è espressa in modo rigoroso nel federalismo a
base municipale, che è nel “dna” delle nostra storia.
Quanto al sistema centralista,
legato a doppio filo con economia e finanza, dia fastidio una opzione localista
lo intuiamo sia dalla sistematica azione di demolizione delle autonomie
comunali che il governo centrale mette in atto, sia per la sottrazione di
risorse che per l’erosione dello spazio di gestione del territorio e di servizi
in relazione diretta con la società.
Ed i comuni si ritrovano
catapultati nel cuore dell’attacco.
Vivendo di fatto in una nazione
dove il federalismo non è praticabile per legislazione necessita porre le basi
del federalismo attraverso le linee guida di un municipalismo cooperativo
sviluppato tra amministrazioni comunali non suddite ma anzi incarnazione di
azioni e strumenti di cooperazione e co-pianificazione inserite in una catena
di reti interlocali ed arricchite da una relazione partecipativa con le società
insediate: il federalismo municipale, l’autogoverno locale, che viaggia di pari
passo con il tema del welfare “municipale” e della difesa e valorizzazione dei
beni pubblici (che ne sono una delle espressioni fondamentali).
Contro quant0 appena descritto
l’autoritarismo neo-liberista del governo centrale si attiva quotidianamente
nel tentativo di distruggere l’autonomia comunale proprio per costruire la base
della privatizzazione dei beni pubblici e della aziendalizzazione e
commercializzazione dei servizi.
Si sono intesi, in questi anni,
i servizi da offrire ai cittadini/contribuenti quale mercato dove inserire i
propri amici, spesso su vasta scala, anche regionale, mentre i comuni e le loro
reti territoriali venivano spesso espropriati delle possibilità gestionali,
decisionali; in sostanza declassati a “passacarte burocratici”, privati di
capacità di mediazione, programmazione, progettazione. Il mercato trionfa ed il
servizio diventa insostenibile in quanto selettivo e costosissimo.
Se intendiamo riaffermare il
carattere pubblico di beni e servizi e della loro effettiva fruizione sociale
quale bene comune appare sempre più chiaro che vi è una sola basilare garanzia
e si tratta della fondazione della disponibilità dei beni e dei servizi nello
spazio pubblico, della relazione tra istituzione di base e società insediata,
ove la relazione non è mercantile ma fondata sulla cittadinanza. Chi fruisce un
servizio e un bene condiviso non è un cliente ma un cittadino ed un abitante,
che assume corresponsabilità appunto nello spazio pubblico, civile.
Necessita senza ombra di dubbio
alcuna una gestione “civico/municipale” del ruolo di progettazione, definizione
e gestione del servizio e della valorizzazione dei beni comuni.
Il municipio ha l’obbligo, anzi
mi correggo il diritto, di essere in campo, così come le reti di municipi,
verso una incidenza nelle politiche strategiche di welfare di area vasta
(supportate dal ruolo di provincia e regione), ma sempre a partire dalla
relazione locale società / istituzione.
Si può inoltre sostenere che
welfare municipale e produzione pubblica di servizi non possono non avere
fondamento su un controllo, o meglio, una “sovranità” sui beni pubblici (aria,
acqua, cicli delle materie prime e seconde e dell’energia) e sul bene pubblico
primario che li comprende, il territorio.
Attraverso l’attuale implosione
del sistema capitalistico si evidenzia sempre più pressante negli ultimi anni
quella crisi economica che ha radici ormai decennali, a questo punto occorre
trovare una via assolutamente alternativa, antitetica.
La sovranità e la
responsabilità di territorio sono il fondamento della possibilità di un “altro
sviluppo”, che produca un riattivazione del ciclo di riproduzione del valore
territoriale. L’autogoverno in rete, in sostanza il federalismo municipale, si
esprime infatti, strutturalmente, nella attivazione del patrimonio locale, dei
caratteri distintivi propri dei territori e delle società insediate e propone
la formazione di ricchezza durevole che esprime le “chance” dei territori,
differenziati, fondata sui capitali sociali e sulle qualità proprie dei luoghi,
su risorse locali.
La responsabilità di territorio
si esprime prima di tutto evitando processi di espropriazione e di svendita di
suolo e contestualmente attivando economie di valorizziamone del patrimonio
territoriale.
Le diverse vie alla
trasformazione qualitativa sono la base dell’autogoverno e della sovranità e le
reti (inter)locali sono il terreno fertile di “scambio equo tra associati.
Nel manifestarsi della crisi
dello sviluppo industriale e della produzione quantitativa e omologata appare
sempre più chiaro che il futuro delle economie si può concretizzare solo
attraverso la produzione di qualità differenziata nei diversi territori e
culture, caratterizzata localmente, distinta per luogo di origine.
Potrà essere solo questa la
risposta efficace posta di fronte al mercato internazionale invasivo della
produzione omologata a basso costo ed a bassa qualità, un opzione che può
riprodurre a scala mondiale, una rete di scambio delle diversità e delle
qualità differenziate per culture e caratteri locali.
Giorgio Bargna
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